PASSA LA NAVE MIA COLMA D’OBLIO RIASSUNTO

PASSA LA NAVE MIA COLMA D’OBLIO RIASSUNTO

-dI FRANCESCO PETRARCA-

FONTE:https://balbruno.altervista.org/index-972.html

FONTE >> SITO DI BALBRUNO.ALTERVISTA<<


Petrarca descrive la sua situazione esistenziale attraverso l’allegoria della vita paragonata ad un viaggio per mare.
Il poeta dice che la sua nave, carica di dimenticanze, attraversa un mare tempestoso, nel cuore della notte e durante l’inverno, in un luogo infido come lo stretto di Messina: al timone della nave sta Amore, suo signore, anzi, addirittura nemico.
I remi sono manovrati da pensieri impulsivi e perversi che lo spingono a sfidare con irrisione la tempesta e l’inevitabile tragica conclusione in un naufragio, mentre un vento incessante (di sospiri, speranze e desideri), gravido di pioggia, straccia le vele.
Sono nascosti alla vista del poeta gli astri che di solito gli indicavano la rotta: in mezzo a questo mare egli non sa più avvalersi né della teoria né dell’arte della navigazione, al punto che inizia a disperare di raggiungere mai il porto.
Fuor di metafora, il Petrarca definisce molto travagliato il suo stato morale e mentale: egli si sente in una condizione di spirito disperata, in completa balia della passione amorosa, che non solo annulla la sua volontà, ma lo porta all’autodistruzione, attraverso ogni sorta di pensieri negativi.
La continua sofferenza, l’alternarsi di speranze e delusioni,  hanno fiaccato le forze positive e razionali del suo animo, travolte da una lunga serie di errori e dalla consapevolezza di non saper gestire la sua passione.
Nulla ormai lo può salvare da questa sua morbosa condizione esistenziale: la vista di Laura, da cui solo attende salvezza, gli è negata ed egli si rende conto di non essere in grado di dirigere la propria vita, così che ormai non spera quasi più di poter recuperare serenità e pace.


TRADUZIONE SONETTO

La mia nave, con il suo carico di oblio, attraversa il mare tempestoso, fra Scilla e Cariddi (stretto di Messina), d’inverno, nel mezzo della notte; e la guida il mio signore, anzi, il mio nemico (amore). Ad ogni remo (sta) un pensiero animoso e malvagio, che sembra ignorare la tempesta e il suo esito: un vento umido, che in eterno trascina sospiri, speranze e desideri, lacera la vela. Una pioggia di pianto, una nebbia di sdegno bagna e distende i già logori cordami, ed io sono avvolto dall’errore e dall’ignoranza. I due miei riferimenti abituali si nascondono: la ragione e l’arte sono morte fra le onde, tanto che io comincio a disperare di poter giungere al porto.


ANALISI

“In questo sonetto – che nella redazione cosiddetta Chigi del Canzoniere (1359-63) costituiva parte di un trittico dedicato al tema del viaggio – Petrarca utilizza la metafora della navigazione per indicare il suo percorso esistenziale e poetico. Qui la navigatio marina, più che la peregrinatio terrestre, consente al poeta di rappresentare il proprio travagliato mondo interiore, la cui condizione non è quella dell’andare ma del fluttuare; lungi dall’approdare a una meta sicura, la navigazione conduce la nave dell’io a una condizione di possibile naufragio.
Come rivela tra l’altro il riferimento ai mortali scogli di Scilla e Cariddi (al v. 3), Petrarca assume le sembianze di un Ulisse navigatore, che rende imprescindibile il riferimento al precedente dantesco. Tuttavia la navicella dell’Ulisse di Dante forza le colonne d’Ercole, rendendo il viaggio espressione della sete indomita di conoscenza dell’uomo che volge il proprio sguardo intellettuale verso l’esterno (l’idea della sapientiae cupido di Ulisse compare per la prima volta nel De finibus di Cicerone). Al contrario la nave dell’UIisse-Petrarca compie il proprio itinerario verso l’interiorità, e non consegue nessuna conoscenza, non giunge a nessuna certezza: spalanca, piuttosto, gli abissi dell’ignorantia (al v. 11: il vocabolo compare solo in questo punto del Canzoniere, e per di più accanto a errore, termine programmatico della poesia petrarchesca). Oblio, errore, ignorantia sono le forze irrazionali che governano il viaggio esistenziale del poeta, in balia del dispotico amore che tiene saldo il timone della sua barca. Errore, poi, trova qui il proprio valore etimologico più pieno e si identifica con lo stesso errare della nave petrarchesca senza rotta, piccolo vascello di un naufrago le cui fragili parti (vela, sarta) sono esposte a una tempesta di elementi che diventano tutt’uno con le forze emotive del poeta: il vento dei sospiri, la pioggia delle lacrime e la nebbia degli sdegni (vv. 8-9). Si ricorda che anche Dante nel Canto l dell’Inferno (vv. 22-27) propone una metafora marina per designare la situazione di chi – lui stesso – si era trovato a un passo dal medesimo naufragio-morte di Ulisse. Nel caso di Dante però interviene un fatto provvidenziale che lo porta a invertire la rotta. Per il Petrarca protagonista di Passa la nave mia, invece, questo intervento provvidenziale non vi è stato. Nel prologo della Commedia il protagonista ha superato il rischio di naufragio e può guardarsi indietro con la rasserenante consapevolezza di esserne ormai fuori; al contrario, nel sonetto petrarchesco il poeta si trova nel pieno del pericolo, con una salvezza che appare lontana e problematica da raggiungere. Pertanto, si potrebbe quasi dire che il mito-modello di Ulisse sia molto più vicino alla realtà di Petrarca che a quella di Dante: se Dante appare anzi una sorta di anti-Ulisse, Petrarca vede rispecchiata nell’eroe greco la propria condizione di errante senza meta e senza pace.