PARAFRASI SERENO DI UNGARETTI

PARAFRASI SERENO DI UNGARETTI

Parafrasi


Dopo la nebbia
Compaiono le stelle
Respiro l’aria fresca del cielo
Mi rendo conto
Di essere un passeggero
Nel ritmo immortale

La poesia parla della natura e della poca importanza dell’uomo nel mondo.
La lunghezza dei versi è varia; questi sono raggruppati in strofe. I versi sono liberi, la punteggiatura è completamente assente e le parole sono semplici.


Commento

L’oscurità più intensa che si produce su di una superficie chiara; la figura che proietta un corpo opaco e che ne riproduce, in maniera confusa e indefinita, la forma. L’ambito di un’azione, di un comportamento protetto dal segreto, dalla noncuranza o all’ignoranza degli altri. Simbolo di vacua apparenza e di quantità inconsistente, irrisoria.
La poesia “Sereno” di Ungaretti, scritta nel Bosco di Courton a pochi mesi dalla fine della Grande Guerra, nel Luglio del 1918 , è un continuo mescolarsi di immagini, visioni e sensazioni. A guerra ormai finita, Ungaretti vuole riempirsi gli occhi di impressioni, immagini e sentimenti che ormai non prova più da molto tempo.
La guerra di trincea, quella combattuta a poche centinaia, a volte poche decine di metri di distanza, rintanati dentro camminamenti scavati per decine di chilometri, il tutto per conquistare pochi metri di terreno che poi venivano regolarmente persi, gli aveva negato tute queste emozioni, mostrandogli ritratti di immane crudeltà e brutalità. Il compagno morto vicino, il suo cadavere livido e gelido illuminato dalla luna. Il paese di San Martino del Carso, di cui non è rimasto che “qualche brandello di muro”. La pietra del San Michele, così fredda, così dura da far impietrire anche il cuore del poeta. E via, e via, e via…
Tutti questi ricordi sono i “doni” che la guerra gli ha fatto, e che lui non ha potuto rifiutare, portando con sé per sempre quello smisurato bagaglio. Ma dopo tante indicibili brutalità, in lui torna il desiderio di riscoprire la natura, di sentirsi legato ad essa e preso nel suo giro immortale. Nella guerra, l’uomo è posto di fronte a situazioni, esigenze e sentimenti elementari, e sente la presenza costante della morte: nonostante questo, o forse proprio per questo, gli riesce ad attaccarsi ad un insperato e disperato vitalismo, a compiere una riscoperta della natura, di fronte alla quale il singolo individuo si sente una ”docile fibra dell’universo”. E’ questa la definizione che Ungaretti dà di sé. Questa ci porta sul terreno di un altro grande aspetto della sua poesia: il desiderio di comunicare con la Natura. Il poeta, infatti, sente l’esigenza di scomparire nell’immensità dell’Universo, dove si “svelano le stelle”, di sentirsi integrato in esso come un qualsiasi atro elemento fisico, e come tale, obbediente alle sue leggi.
Questa esigenza nasce da una visione negativa dell’umanità, nella poesia simboleggiata dalla nebbia, dall’immagine passeggera, e dà quasi un rifiuto della condizione dell’uomo, quell’uomo che infatti gli risulta in disarmonia con l’Universo.
Il poeta desidera la riduzione totale di sé ad essere “docile”, e come tale obbediente al flusso della vita cosmica, e a sentirsi in armonia con essa. Tutta l’”Allegria” è percorsa da stati d’animo, o visioni improvvise, descritti in modo secco e puro. Così Ungaretti, in questa poesia, riscopre la luce fulgida delle stelle e respira l’aria fresca. Si sorprende come vicino ad uno specchio d’acqua, ombra umana. Mentre alto, sulle macerie e la distruzione, lontano dall’uomo e dalla guerra, “ vibra lo stupore dell’immensità”: c’è un solo punto oscuro dell’acqua che è tuta un bagliore di luce, la propria immagine riflessa e, osservandola, l’uomo si riconosce un’immagine passeggera, legato irrimediabilmente alle dita di ciò che muore, un “passante”, che qualche volta lascia il segno e qualche volta no, ma destinato comunque a morire.
La poesia sembra quasi la rappresentazione di una nascita, o meglio, di una rinascita. Come se un giorno, d’improvviso, ti accorgi di esistere, di essere parte del mondo anche tu, e forse questo ti basta per sederti al cospetto dell’universo, ad ammirare le stelle. Come in quei quadri di Friedrich, dove l’uomo è voltato di spalle e guarda verso l’infinito. Infatti, la concezione di un’anima universale racchiude in sé, in un unico circolo, uomo e natura, e la tensione verso l’infinito non risulta mai appagata.
Si può quindi cogliere un’analogia tra questa poesia novecentesca e la poesie romantiche del secolo precedente. Di certo questa poesia è in qualche modo più evoluta, anche perché si spoglia dei legami della metrica. I “versicoli” ungarettiani non costituiscono delle vere e propria strofe. Nella pagina, quindi, lo spazio bianco diventa dominante, quasi a sottolineare l’importanza della pause e quindi il fortissimo rilievo delle poche parole che interrompono il silenzio. La sintassi è scardinata dall’eliminazione di nessi logici e dall’abolizione della punteggiatura, e procede per accostamento di frammenti e immagini, per analogie. Tutto contribuisce a dare alla parole il massimo rilievo e un valore quasi magico di rilevazione, per lasciare alla fine un’impressione di poesia serena e di uno stato d’animo limpido, che si compenetrano con armonia, in cui “l’uomo di pena”, approda in un porto sicuro, “immortale” dal “naufragio”. Dopo tanta pena il poeta emerge alla luce della giia, abbracciato da un “raggio di sole”, e si riconosce
“immagine passeggera Persa in un giro Immortale”

/ 5
Grazie per aver votato!