PARAFRASI POLIDORO ENEIDE LIBRO III

PARAFRASI POLIDORO ENEIDE LIBRO III

-Libro III vv. 18-83


-Esiste, lontano,una terra fatta di vaste pianure sacra al dio Marte, abitata dai Traci e un tempo dominata dal feroce Licurgo.
Quella terra, finchè il destino fu a essa favorevole, era legata a Ilio da un rapporto di antica ospitalità e sacra alleanza.
Qui finimmo per sbarcare; su questi lidi, spinto da un destino nemico, edificai le prime mura della città che decisi di chiamare Eneade, dal mio nome.
Poi offrii un sacrificio agli dei protettori di queste mura appena sorte e a mia madre Venere, uccidendo sulla spiaggia un toro splendido, in offerta a Giove, re degli dei.
Lì vicino c’era per caso una collina che in cima era ricoperta da un bosco di piante di bacca e mirto (sacre a Venere). Mi avvicinai ai cespugli pensando di strappare qualche ramo per metterlo poi sull’altare, ma avvenne un miracolo incredibile.
Appena sradicai la prima pianta, da essa uscì del sangue nero, che macchiò la terra intorno. Un terrore mi raggelò il corpo, anche il mio sangue si gelò dalla paura. Mi accinsi così a sradicare una ltro ramo, cercando dicapire la provenienza di quel sangue, e di nuovo le gocce colano nere dalla corteccia spezzata.
Non sapendo cosa pensare, pregavo le Ninfe agresti (le Driadi) e Marte, prottettore delle terre dei Geti, affichè non fosse un prodigio infausto, un annuncio di sventure per il futuro.
Ma mentre, con sforzi maggiori, mi accingevo ad assalire un terzo ramo e lottavo contro la terra che lo vuole trattenere facendo leva sulle ginocchia, sentii provenire dal cespuglio un gemito implorante, una voce che disse: ” Perchè mi ferisci, Enea? Abbi pietà per chi è stato sepolto; non macchiarti le mani, oneste, di sangue. Non sono uno straniero, ma un troiano, e il sangue che vedi non esce dal legno. Scappa da questa terra crudele, da queste spiagge! Io sono Polidoro. Qui mi ha colpito una moltitudine di frecce e poi è cresciuta con radici resistenti e gemme sottili.”
Mi stupii, assalito da un dubbio spaventoso, mi si rizzarono i capelli e mi si strozzò la voce in gola.
Infatti il misero Priamo, tempo addietro, ormai disperando in una possibile vittoria sui Greci e vedendo la città stretta dal loro assedio, aveva mandato suo figlio Polidoro dal re di Tracia, con molto denaro con sè, affichè lo allevassero in un luogo in cui non c’era guerra.
Ma non appena la potenza dei Teucri fu distrutta, quando la Fortuna li abbandonò, quest’uomo (Polinestore, il re di Tracia) si schierò con i vincitori, alleandosi con Agamennone; disprezzò ogni gesto di giustizia, uccise Polidoro e si impadronì del suo denaro con la forza.
Maledetta febbre dell’oro, a quali azioni spingi gli uomini!
Appena mi ripresi dallo spavento raccontai prima a mio padre poi agli altri capitani (delle navi) questo avvenimento divino, chiedendo loro cosa ne pensassero.
La decisione di tutti fu unanime: che si scappasse da quella terra infame e bugiarda, e in fretta.
Allora facemmo un funerale per Polidoro, elevando un alto tumulo di terra come tomba. Costruimmo per i Mani tristi altari, adornati da cipressi lugubri e drappi scuri, e le donne di Ilio si misero intorno agli altari coi capelli sciolti, com’è usanza. Poi versammo tazze di latte e coppe di sangue, seppellimmo il corpo nel sepolcro e dicemmo addio all’anima di Polidoro un’ultima volta, a gran voce.


PARAFRASI POLIDORO ENEIDE LIBRO III