PARAFRASI IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI di FOSCOLO

PARAFRASI IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI di FOSCOLO


ANALISI

Fu composto nel 1802, in memoria del fratello Giovanni Dionigi, che si uccise con una pugnalata, in presenza della madre, per un grosso debito di giuoco. Nonostante alcuni echi di poeti latini (Catullo) e del Petrarca, è uno dei sonetti più originali del Foscolo, intessuto di affetti profondi, espressi con uno stile intensissimo. Vi dona una tonalità tragica il destino del fratello sembra prefigurare quello del poeta, anch’egli ossessionato dal fantasma del suicidio, affranto dalla sua vicenda d’esilio e di sventura. E’ tuttavia accanto alla tomba del fratello si ricostituisce non solo nella comune angoscia, ma soprattutto in un vincolo d’amore, quella povera famiglia distrutta. Col figlio estinto la madre parla del figlio lontano, questi anela al suo estremo abbraccio nella morte, che desidera come fine dell’angoscia del vivere. Di là dalla violenza cieca del destino si ristabilisce una <<corrispondenza d’amorosi sensi>> fra i vivi e gli estinti.


PARAFRASI

Un giorno, se io non andrò sempre spostandomi in esilio (fuggendo, Foscolo fu esule per gran parte della sua vita), mi vedrai seduto sulla tua tomba (pietra, metonimia, sta per ‘tomba’; è frequente nella poesia sepolcrale), o mio fratello, a piangere (gemendo) la tua giovane vita , stroncata nel suo fiorire (fior…caduto – metafora che assimila la giovinezza a un fiore).
Ora solo nostra madre, trascinando la propria vecchiaia (suo dì tardo traendo, allitterazione; dì tardo è metafora per indicare il declino della vita), parla di me alle tue spoglie mute (cenere muto, cenere è al maschile, forma eletta in uso anche nella lirica cinquecentesca, ripresa da un verso di Catullo). Ma io non posso che tendere a voi inutilmente (deluse, qui vale ‘invano’) le mani e salutare solo da lontano (Foscolo si trovava allora a Milano) la mia casa (i miei tetti – sineddoche), avverto gli dei ostili (avversi Numi – metonimia) e gli affanni interiori (le secrete cure) che sconvolsero la tua vita (spingendoti al suicidio) come una tempesta, e invoco anche io la pace della morte (porto, nella tradizione è metafora frequente della morte come ultimo approdo all’esistenza e porto tranquillo in cui l’uomo trova rifugio dalla tempesta).
Fra tante speranze questa sola mi resta! Gente straniera (si riferisce ai popoli stranieri tra i quali il poeta presagisce di dover morire esule), restituite le mie spoglie alle braccia dell’ addolorata madre quando morirò (allora).

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