Parafrasi e costruzione diretta della poesia La vita solitaria

Parafrasi e costruzione diretta della poesia La vita solitaria

Parafrasi e costruzione diretta della poesia La vita solitaria

di giacomo leopardi

FONTE: https://balbruno.altervista.org/index-1120.html


Testo della poesia La vita solitaria

La mattutina pioggia, allor che l’ale
Battendo esulta nella chiusa stanza
La gallinella, ed al balcon s’affaccia
L’abitator de’ campi, e il Sol che nasce
I suoi tremuli rai fra le cadenti  5
Stille saetta, alla capanna mia
Dolcemente picchiando, mi risveglia;
E sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo
Degli augelli susurro, e l’aura fresca,
E le ridenti piagge benedico:  10
Poiché voi, cittadine infauste mura,
Vidi e conobbi assai, là dove segue
Odio al dolor compagno; e doloroso
Io vivo, e tal morrò, deh tosto! Alcuna
Benché scarsa pietà pur mi dimostra 15
Natura in questi lochi, un giorno oh quanto
Verso me più cortese! E tu pur volgi
Dai miseri lo sguardo; e tu, sdegnando
Le sciagure e gli affanni, alla reina
Felicità servi, o natura. In cielo,  20
In terra amico agl’infelici alcuno
E rifugio non resta altro che il ferro.
Talor m’assido in solitaria parte,
Sovra un rialto, al margine d’un lago
Di taciturne piante incoronato.  25
Ivi, quando il meriggio in ciel si volve,
La sua tranquilla imago il Sol dipinge,
Ed erba o foglia non si crolla al vento,
E non onda incresparsi, e non cicala
Strider, né batter penna augello in ramo, 30
Né farfalla ronzar, né voce o moto
Da presso né da lunge odi né vedi.
Tien quelle rive altissima quiete;
Ond’io quasi me stesso e il mondo obblio
Sedendo immoto; e già mi par che sciolte 35
Giaccian le membra mie, né spirto o senso
Più le commova, e lor quiete antica
Co’ silenzi del loco si confonda.

Amore, amore, assai lungi volasti
Dal petto mio, che fu sì caldo un giorno, 40
Anzi rovente. Con sua fredda mano
Lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto
Nel fior degli anni. Mi sovvien del tempo
Che mi scendesti in seno. Era quel dolce
E irrevocabil tempo, allor che s’apre 45
Al guardo giovanil questa infelice
Scena del mondo, e gli sorride in vista
Di paradiso. Al garzoncello il core
Di vergine speranza e di desio
Balza nel petto; e già s’accinge all’opra 50
Di questa vita come a danza o gioco
Il misero mortal. Ma non sì tosto,
Amor, di te m’accorsi, e il viver mio
Fortuna avea già rotto, ed a questi occhi
Non altro convenia che il pianger sempre. 55
Pur se talvolta per le piagge apriche,
Su la tacita aurora o quando al sole
Brillano i tetti e i poggi e le campagne,
Scontro di vaga donzelletta il viso;
O qualor nella placida quiete  60
D’estiva notte, il vagabondo passo
Di rincontro alle ville soffermando,
L’erma terra contemplo, e di fanciulla
Che all’opre di sua man la notte aggiunge
Odo sonar nelle romite stanze  65
L’arguto canto; a palpitar si move
Questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna
Tosto al ferreo sopor; ch’è fatto estrano
Ogni moto soave al petto mio.

O cara luna, al cui tranquillo raggio 70
Danzan le lepri nelle selve; e duolsi
Alla mattina il cacciator, che trova
L’orme intricate e false, e dai covili
Error vario lo svia; salve, o benigna
Delle notti reina. Infesto scende  75
Il raggio tuo fra macchie e balze o dentro
A deserti edifici, in su l’acciaro
Del pallido ladron ch’a teso orecchio
Il fragor delle rote e de’ cavalli
Da lungi osserva o il calpestio de’ piedi 80
Su la tacita via; poscia improvviso
Col suon dell’armi e con la rauca voce
E col funereo ceffo il core agghiaccia
Al passegger, cui semivivo e nudo
Lascia in breve tra’ sassi. Infesto occorre 85
Per le contrade cittadine il bianco
Tuo lume al drudo vil, che degli alberghi
Va radendo le mura e la secreta
Ombra seguendo, e resta, e si spaura
Delle ardenti lucerne e degli aperti  90
Balconi. Infesto alle malvage menti,
A me sempre benigno il tuo cospetto
Sarà per queste piagge, ove non altro
Che lieti colli e spaziosi campi
M’apri alla vista. Ed ancor io soleva, 95
Bench’innocente io fossi, il tuo vezzoso
Raggio accusar negli abitati lochi,
Quand’ei m’offriva al guardo umano, e quando
Scopriva umani aspetti al guardo mio.
Or sempre loderollo, o ch’io ti miri  100
Veleggiar tra le nubi, o che serena
Dominatrice dell’etereo campo,
Questa flebil riguardi umana sede.
Me spesso rivedrai solingo e muto
Errar pe’ boschi e per le verdi rive,  105
O seder sovra l’erbe, assai contento
Se core e lena a sospirar m’avanza.


Parafrasi e costruzione diretta della poesia La vita solitaria

1ª strofa.
La mattutina pioggia mi risveglia, mentre la gallinella saltella nel pollaio sbattendo le ali, mentre il contadino s’affaccia al balcone, mentre il sole, che sorge, fa passare i suoi deboli raggi fra le gocce della pioggia che cade sopra la mia capanna;
ed io mi alzo e saluto con gioia le piccole nuvole, il primo cinguettio degli uccelli, le  aperte campagne e l’aria fresca;
poiché io vidi e conobbi voi, disgraziate mura cittadine, là dove l’odio è inseparabile al dolore;
ed io vivo addolorato e morirò in tal modo, deh subito!
Benchè ora  la natura mi mostra nessuna o poca pietà in questi luoghi, un tempo essa fu molto generosa con me! E tu, o Natura, non guardi i miseri; tu, disprezzando gli affanni e le sciagure, sei asservita solo alla felicità. Sia in cielo che in terra nessuno è amico degli infelici, e, a loro, non rimane nessun altro rifugio che il suicidio.
 
2ª strofa.
Alcune volte mi siedo in un luogo solitario, sopra un’altura, al margine di un lago, circondato da piante silenziose. Qui, quando il meriggio si dispiega nel cielo, il sole riflette la sua tranquilla  immagine sul lago, né erba né foglia si muovono al vento e quando non si ode, né da vicino né da lontano, voce né movimento, né si vede onda muoversi e nè si sente cicala stridere, né uccello battere le ali sui rami, né farfalla sussurrare, allora una profondissima quiete domina sulle rive; tanto che io, stando seduto immobile, dimentico quasi  me stesso e il mondo; e già mi pare che il mio corpo si liberi dalla mia anima e mi pare che, né spirito né sensazioni riescano più ad animarlo e mi pare che la stasi prolungata del mio corpo si assimili al silenzio del luogo.
 
3ª strofa.
Amore, amore, sei volato via lontano dal mio cuore, che un giorno fu caldo, anzi rovente. La sciagura lo ha stretto con la sua fredda mano ed esso si è tramutato in ghiaccio nel pieno della mia gioventù. Ricordo il tempo che tu, amore, mi scendesti nel cuore. Era quel dolce ed indimenticabile tempo, quando questo infelice spettacolo del mondo si apre alla vista del giovane e gli appare in forma di  paradiso. Allora il cuore palpita nel petto al ragazzo che è pieno di speranze  ancora intatte, non deluse; e il misero mortale già si prepara al lavoro di questa vita come fosse danza o gioco. Ma non appena mi accorsi di te, o amore, ecco che già la sfortuna aveva spezzato il mio vivere, cosicché non altro restò ai miei occhi, se non il piangere sempre. Se qualche volta mi trovo per le campagne assolate, o durante la silenziosa aurora, o quando i tetti, le colline e le campagne brillano al sole, incontro lo sguardo di una bella fanciulla; o quando nella tranquilla quiete di una serata estiva contemplo la terra solitaria, soffermandomi davanti alle ville e sento il sonoro canto di una fanciulla che lavora nelle solitarie stanze e aggiunge con le sue mani  nuovo lavoro al lavoro del giorno, allora questo mio cuore insensibile ritorna a palpitare; ma, ahi, torna subito al duro torpore, poiché ogni sentimento soave è diventato estraneo al mio cuore.
 
4ª strofa.
O cara luna, le lepri danzano al tuo tranquillo raggio; e, alla mattina,  il cacciatore si lamenta perché trova le orme false e sparpagliate che lo sviano dalle tane; salve, o benigna regina delle notti. Il tuo raggio scende nocivo fra gli alberi e fra le valli o dentro case abbandonate o sulla lama del pallido ladrone, il quale, con le orecchie tese, ascolta il rumore delle ruote, il calpestio dei cavalli o il fruscio dei passi sul silenzioso sentiero; poi all’improvviso con il suono delle armi, con la voce rauca e con il volto truce e minaccioso egli gela  il cuore del passeggero, e in un battere d’occhio lo lascia semivivo e nudo. La tua bianca luce scende nelle vie cittadine ed è sfavorevole all’amante adultero, che, rasentando le mura delle case e seguendo le ombre degli edifici, s’arresta  e ha paura delle lucenti lucerne e delle finestre aperte. (Il tuo raggio) Scende nemico a tutte le menti malvagie. Invece, per me, la tua vista sarà sempre benevola perché mi illumina non altro che lieti colli ed ampi campi. Benché io fossi innocente, io solevo accusare il tuo bel raggio, quando nei luoghi abitati mi esponeva allo sguardo degli altri, o quando scopriva gli altri al mio sguardo. Ora, invece, sempre lo loderò,  quando, o luna, ti  vedrò  passare tra le nuvole, o quando tu, serena dominatrice del cielo stellato, contemplerai questa piangente terra umana. Tu vedrai me, spesso muto e solitario errare nei boschi o per le verdi rive, o mi vedrai sedere sopra le erbe, e mi vedrai assai contento, se mi rimarrà tanta forza nel cuore per sospirare, per sperare e per vivere.

Sintesi della poesia.

Nella prima strofa il poeta si risveglia al leggero suono della pioggia e saluta il nuovo giorno con fiducia e nuova speranza poiché conosce il dolore, e l’odio che lo accompagna, che si nascondono nella città.
Anche il poeta vive la sua quotidianità in modo angosciato e in questo modo prevede morrà. La natura, anche in quei luoghi campestri, non ha pietà per il poeta; ma Leopardi dice che essa un giorno fu assai generosa con lui. La natura distoglie gli occhi dalle miserie e dalle disgrazie umane ed è asservita soltanto alla felicità. Su questa terra nessuno è, infatti, amico degli infelici e ad essi non rimane che il suicidio.
Nella seconda strofa talvolta il poeta si siede presso un laghetto circondato da alberi taciturni e vede il sole riflettersi sulle acque del lago e quando non si sentono né le onde incresparsi né il battere delle ali degli uccelli e si vede lo svolgersi del pomeriggio, allora una profonda quiete domina quel luogo. In questa sospensione del tempo, il poeta quasi dimentica sé stesso e il mondo e gli pare che il suo corpo si liberi dall’anima e che nessuna sensazione lo animi e gli sembra che l’immobilità del suo corpo diventi un tutt’uno con il silenzio del luogo.
Nella terza strofa Leopardi si rivolge all’amore che un tempo gli aveva riscaldato, anzi arroventato, il cuore. Ora invece il cuore del poeta si è agghiacciato e Leopardi ricorda quando l’amore gli era disceso in cuore così come accade a tutti i giovani a cui la vita sembra una danza o un gioco. Ma, subito dopo che l’amore gli era disceso in cuore, la sfortuna gli aveva troncato la vita stessa e a lui non rimaneva che piangere sempre. Soltanto quando incontra qualche leggiadro volto di ragazza o quando ascolta un melodioso canto di una fanciulla che lavora di notte, il cuore del poeta ricomincia a battere ma si ferma subito dopo perché ogni movimento dolce e soave è diventato, ormai, estraneo, al suo cuore.
Nella quarta strofa il poeta si rivolge alla luna sotto il cui raggio le lepri giocano nelle selve dove la mattina il cacciatore si lamenta per le ingannevoli tracce che non gli fanno trovare le tane. Il poeta rivolgendosi alla luna pensa che il suo raggio sia nocivo al brigante che, la notte, con le armi e il suo torvo volto assale il povero viaggiatore e lo lascia spoglio dei suoi beni. Il raggio della luna è nocivo anche all’amante vile che, rasentando i muri degli alberghi e delle case e nascondendosi nell’ombra, fugge via dalla finestre spalancate ed illuminate.
Il raggio della luna scende nocivo per tutti gli uomini malvagi ma non per il poeta perché a lui la luna, con il chiarore del suo raggio, mostra campi spaziosi e colline liete.
Anche per Leopardi, una volta, però il raggio della luna era nocivo perché lo esponeva agli sguardi altrui e esponeva gli altri ai suoi sguardi. Il poeta sarà sempre grato alla luna sia che essa passi tra le nuvole o che essa contempli la misera sede degli uomini. La luna vedrà il poeta, solitario e muto, sempre vagare tra i boschi e tra le verdi rive o seduto sopra l’erba e lo vedrà abbastanza contento se gli rimarrà la forza e il fiato per potere sospirare.


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