Parafrasi e costruzione diretta della poesia Al Conte Carlo Pepoli

Parafrasi e costruzione diretta della poesia Al Conte Carlo Pepoli

Parafrasi e costruzione diretta della poesia Al Conte Carlo Pepoli

di giacomo leopardi

FONTE: https://www.biagiocarrubba.com/al-conte-carlo-pepoli-giacomo-leopardi-epistola-poetica-n-xix-g-leopardi/


 
1ª strofa.
Come sopporti questo affannoso ed inquieto
sonno che noi chiamiamo vita, o Pepoli mio?
Con quali speranze alimenti il tuo cuore?
Con quali pensieri e con quante belle o noiose
opere occupi il tempo libero, grave e faticosa
eredità che ti ha lasciato la tua antica famiglia?
La vita è tutta noia e dolore in qualsiasi
condizione sociale ed economica,
poiché quell’operare, quell’affaticarsi che non ha
come mira uno scopo degno, o che
non è in grado di conseguirlo, allora
è giusto chiamarlo ozioso. La schiera industriosa,
di coloro che spezzano zolle e curano gli alberi e i greggi
di coloro che vedono trascorrere l’alba tranquilla e il pomeriggio,
la giudicherai faticosa, e dirai una cosa
giusta e vera se pensi che la vita biologica presa
in se stessa non ha molto valore per gli uomini.
Il nocchiero trascorre la sua vita nella noia;
il perenne sudore è noioso nelle officine;
le veglie dei soldati e il pericolo delle guerre sono noiosi;
e l’avido mercante vive nella noia:
la natura umana cerca, aspira e desidera ardentemente
la bella felicità, ma nessuno l’acquista per sé e per gli altri
malgrado la fatica, il lavoro, l’attesa e il pericolo che sostiene.
Eppure la natura aveva preparato per l’infelice vita
diversi bisogni, come rimedi per lenire
il tormentoso desiderio (della felicità)
per il quale gli uomini, già fin dalla creazione
del mondo, desiderarono inutilmente di essere beati;
bisogni, ai quali è necessario provvedere
con lavoro e con preoccupazioni, e
poiché le giornate non possono essere liete,
almeno le giornate degli uomini trascorressero
piene di occupazione e di lavoro,
in modo che il desiderio della felicità
fosse stordito e allontanato e cosicché esso avesse
meno possibilità nel tormentargli il cuore.
Così, anche la sterminata razza degli animali vive,
anche se in modo meno triste rispetto agli uomini,
aspirando, nel proprio cuore, ad ottenere il desiderio
della felicità che non solo è uguale al nostro,
ma non meno giusto del nostro;
mentre la razza animale è intenta a cercare
il necessario alla propria sopravvivenza,
si scopre che essa trascorre il tempo
in modo meno gravoso e meno triste di noi,
né essa accusa il lento trascorrere delle ore.
Ma a noi, che affidiamo il compito materiale
di provvedere alla nostra vita a mani altrui,
resta una più grave necessità, a cui nessuno,
se non noi stessi, può provvedere;
questa necessità, io dico, è quella di riempire la vita
e noi uomini vi adempiamo con noia e con pena;
una necessità crudele, invincibile, che
né un tesoro accumulato, né un’abbondanza di greggi,
né fecondi campi, né reggia, né potere di re
può togliere agli uomini. Ora, se qualcuno,
prendendo a sdegno gli anni vuoti (inutili)
e odiando la bella luce del sole,
non rivolge la mano omicida contro se stesso,
spinto ad anticipare la morte che tarda;
allora egli, cercando in tutti i lati,
trova mille occupazioni, ma inefficaci, che
sostituiscono male quell’unica occupazione
(la spinta ad agire e ad occupare il tempo attivamente)
che la natura ha predisposto per placare
il duro morso dell’inestinguibile desiderio
che cerca e chiede inutilmente la felicità.
 
2ª strofa.
La cura eccessiva degli abiti, dei capelli e
degli atteggiamenti e le frivole occupazioni
per i cocchi e per i cavalli e le sale affollate
e le strade rumorose e i giardini, tengono occupato lui
(il nobile disoccupato o il giovin signor del Parini)
e giochi e cene e danze
lo tengono indaffarato notte e giorno;
il sorriso mai non gli diparte dalla bocca;
ahi, ma una Noia invincibile, grave,
ben ferma, immobile, come una colonna d’acciaio,
vive e batte nel suo cuore, contro la quale nulla può,
né il vigore della giovinezza e nemmeno
la dolce parola pronunciata
dalle rosate labbra di una fanciulla
e nulla può anche il tenero e tremante sguardo
di due nere pupille,
che è la cosa umana più degna del cielo.
 
3ª strofa.
Altre persone, volendo sfuggire alla triste sorte umana,
consumando la loro vita, percorrendo terre e mari,
errando per mari e per terre, percorrono tutto il mondo,
e raggiungono, esplorando, ogni confine delle terre che
la natura aprì all’uomo negli infiniti campi dell’universo.
Ahi, ahi, la tetra Noia si siede sulla prua, e sotto
ogni clima e sotto ogni cielo si invoca invano
la felicità, ma dappertutto la tristezza vive e regna.
 

4ª strofa.
C’è chi sceglie per passare la vita le armi,
e bagna  la mano nel sangue del fratello per noia;
c’è chi si rallegra dei danni altrui e pensa che
con il fare miseri gli altri, fa meno triste se stesso,
cosicché procura di passare il tempo nuocendo.
C’è chi sceglie di passare il tempo
distruggendo la virtù, la sapienza e le arti;
c’è chi spende la sua destinata vita
tiranneggiando il proprio popolo o
conquistandone altri, o togliendo
la quiete secolare di popoli di luoghi lontani
con il mercato, con le armi e con le frodi.
 
5ª strofa.
Un più mite desiderio, un’attività più dolce
guidano te (Carlo Pepoli) nel fiore della tua gioventù,
nella primavera della tua vita;
il primo e massimo dono della giovinezza
guida gli altri, ma esso (il mite desiderio)
è grave, amaro, ostile per chi non ha una patria.
Lo studio della poesia e l’arte di descrivere
con la parola il bello, raro, scarso e fuggitivo,
che appare nel mondo e l’arte di dipingere
quel bello che la vaga fantasia, più benigna
della natura e del destino, produce a noi
in gran quantità, e l’arte di ritrarre l’immaginazione,
spingono e spronano te a coltivare la poesia.
Ben mille volte fortunato
colui che non perde la breve facoltà dell’immaginazione,
per il passare del tempo; fortunato colui a cui gli Dei
concessero di conservare per sempre la gioventù nel cuore;
fortunato colui il quale nell’età adulta e nella vecchiaia,
così come soleva fare nella gioventù,
nell’intimo suo pensiero abbellisce la natura, la morte
e ravviva il deserto della vita. Il destino conceda a te (Carlo Pepoli)
l’ispirazione poetica che oggi ti scalda il cuore e ti faccia domani
amante della poesia fino alla tua tarda vecchiaia.
Io già sento che le dolci illusioni della mia giovinezza
vengono a mancare, e già sento che le preziose immagini,
che io tanto amai, cominciano a dileguarsi dai miei occhi,
e che, nel ricordarle, saranno da me tanto desiderate e
rimpiante fino nell’ultima ora della mia vita.
Orbene, quando il mio cuore sarà del tutto inaridito e freddo,
quando il sereno e solitario sorriso dei soleggiati campi,
quando il canto degli uccelli mattutini di primavera,
quando la tacita luna per le valli e per i campi di un
limpido cielo non commuoveranno più il mio cuore;
quando ogni bellezza di natura o di arte mi sarà diventata
senz’anima e muta;
quando ogni alto sentimento, ogni tenero affetto mi saranno
diventati sconosciuti ed estranei;
quando sarò privato del mio unico conforto (la poesia),
allora sceglierò e mi dedicherò ad altri studi meno dolci,
con i quali  io spero di passare l’ingrato tempo
che mi resta ancora  da vivere.
Investigherò la triste realtà, gli oscuri destini delle cose
mortali ed eterne; investigherò quale sia il fine per il quale
la stirpe umana è stata creata; indagherò quale sia il motivo
per il quale essa è stata gravata di dolori e di miseria;
investigherò qualche sia l’ultima finalità verso la quale
il fato e la natura spingono la stirpe umana;
investigherò a chi (entità, Dio, fato)
il nostro così grande dolore giovi o diletti;
investigherò con quali leggi e con quali ordini, e quale
sia il fine, verso il  quale tenda questo misterioso universo,
il quale i saggi colmano di lodi ed io mi accontento di ammirare.
 
6ª strofa.
Io verrò trascinando il mio tempo in questo filosofare:
poiché il vero, una volta che lo si sia conosciuto, 
anche se triste, ha anche i suoi diletti. E talora mentre
ragiono del vero, se i miei pensieri saranno mal graditi
o non accettati dagli altri, non mi dispiacerà,
perché il desiderio di Gloria (la fama)
allora mi sarà scomparso del tutto:
perché so che la dea Gloria non è
soltanto vana, ma è anche più cieca e capricciosa
della Fortuna, del Destino e dell’Amore.

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