Parafrasi e analisi della poesia L’infinito

Parafrasi e analisi della poesia L’infinito

L’Infinito

Parafrasi


Questa collina solitaria mi e’ sempre stata cara, e questa siepe che mi impedisce di guardare gran parte del lontano orizzonte. Ma, stando seduto e guardando, io immagino al di la’ di questa siepe spazi immensi, silenzi totali e una calma profondissima, tanto che per poco il cuore non si sgomenta. E, non appena sento il vento frusciare fra queste piante come un uccello che batte la ali, paragono quel silenzio infinito a questo frusciare del vento: e mi torna alla mente l’idea dell’eternita’. Mi appaiono le epoche passate e quella presente, che percepisco attraverso le sue manifestazioni reali: il suono della vita. E cosi’, tra questa immensita’ spazio-temporale, il mio pensiero perde ogni consapevolezza: e perdersi nel pensiero dell’immensita’ dell’infinito mi e’ dolce.


Commento

L’idillio si configura come uno studio visivo-prospettico degli elementi del paesaggio per produrre nel lettore la suggestione dell’infinito.

La vaghezza del linguaggio, basata sull’uso di parole di significato indeterminato, le quali, più che precisare le cose secondo le categorie di spazio e di tempo, ne sfumano i contorni e il caratteristico vocabolario leopardiano (ermo, interminati, sovrumano, silenzio, quiete, infinito, silenzio, eterno, immensità) producono quella poesia dell’indefinito che spesso è funzionale alla poesia dell’infinito.

Leopardi escogita un ostacolo spaziale, la siepe, che gli consente di immaginare, al di là di quella, «indeterminabili spazi e sovrumani silenzi e profondissima quiete».

Allo stesso modo il rumore del vento diventa il segno della fugacità del tempo, del limite temporale del quale dialetticamente si determina la finzione dell’«eterno» in contrapposizione con il passato (le «morte stagioni»).

Si tratta però di un infinito non percepito, ma immaginato. E a rendere linguisticamente questa finzione concorrono ben otto «questo» e «quello», tra aggettivi e pronomi, dei quali non si avverte la presenza perché non producono frizione, in quanto si collocano nel ritmo del discorso poetico, ma hanno una precisa funzione logico-fantastica. Infatti la siepe che nel secondo verso è «questa», cioè vicina al poeta, nel quinto verso diventa «quella», cioè lontana. Se ne deduce che l’uso alternato di questi aggettivi e pronomi dimostrativi serva a indicare le oscillazioni del poeta tra la realtà del finito e l’immaginazione dell’infinito.

Ci sono due punti di questo idillio leopardiano che a una prima lettura otrebbero sembrare contraddittori. Parlando degli spazi interminabili e ella profonda quiete il poeta aggiunge: «ove per poco il cuor non si spaura , mentre nell’ultimo verso conclude «e il naufragar m’è dolce in questo are».

Qual è dunque il sentimento di Leopardi di fronte all’infinito: paura o dolcezza? La contraddizione è più apparente che reale. Al primo impatto con ’infinito Leopardi avverte un senso di sgomento, ma si tratta di una sorta di terrorereligioso simile a quello che gli uomini primitivi provavano scoprendoil divino nella natura. Successivamente il poeta, immergendosimetaforicamente nell’infinito e identificandosi con il ritmo stesso dell’universo,perde la nozione di sé come essere infinitesimale e prova un senso di dolcezza.

L’infinito, quindi, non è un’oggettiva scoperta di Leopardi nella natura, maè soggettivamente posto nella natura, come un aspetto irrinunciabile delsuo spirito di poeta dalla sensibilità romantica.