PARADISO CANTO 6 ANALISI

PARADISO CANTO 6 ANALISI

PARADISO CANTO 6 ANALISI


I canti VI delle tre cantiche sono dedicati ad argomenti politici: Firenze nell’episodio del goloso Ciaccio; l’Italia nella scena dell’incontro fra Virgilio e Sordello; infine, l’impero, tema affrontato in un monologo da Giustiniano e da D. nel De monarchia (scritto contemporaneamente al Paradiso).

Questo canto, eccezionalmente, si configura come un unico discorso di Giustiniano, l’imperatore bizantino che nel VI secolo a.C. fece redarre il Corpus iuris civilis e tentò la restaurazione dell’impero con la guerra greco-gotica combattuta dal generale Belisario. La prima iniziativa è legata da D. al passaggio di Giustiniano dal monofisismo all’ortodossia: questo è il segno del fondamento divino dell’impero e del disegno provvidenziale che ne sorregge le vicende.

Su questi presupposti sono ricostruite le epiche vicende dell’aquila, simbolo dell’impero, le cui vicende sono seguite da Enea fino a Carlo Magno, dando per scontata la continuità fra la potenza romana e il Sacro Romano Impero. I procedimenti con cui si realizza questo scorcio narrativo sono: la ripetizione del soggetto, l’uso del passato remoto, la presenza di ellissi e di rapidi scorci narrativi. L’andamento epico sottrae gli eventi alla cronaca e li riconduce a un processo provvidenziale. Questo excursus storico è una argomentazione a sostegno dell’invettiva contro i guelfi che combattono l’impero e i ghibellini che si appropriano del simbolo imperiale per fini particolari.

Il ritmo epico si attenua  solo nella sottolineatura dell’apparente contraddizione fra la storia dell’aquila e la sua trascurabilità di fronte alla Redenzione, quando al passato remoto subentra il presente sovratemporale per raccontare appunto un evento storico al di fuori della storia.

Giustiniano, poi, risponde alla seconda domanda che D. gli ha posto nel canto V: definisce i caratteri degli spiriti del cielo di Mercurio e presenta Romeo di Villanova, la cui opera di giustizia presso il duca di Provenza Raimondo Berengario IV è infangata dalle calunnie e ripagata con l’esilio. Dante pensa a se stesso e fa in modo che il tema dell’esilio irrompa nel Paradiso.

Il Giustiniano dipinto da D. è costruito su dati storici imprecisi: egli salì trono nel 527, prima e non dopo tre secoli dal trasferimento della capitale dell’impero a Bisanzio/ Costantinopoli; non fu monofisita convertito dal papa; la cronologia della stesura del Corpus non fu lineare; la predilezione per Belisario fu incostante (nel 548 il generale fu rimosso). Ma per D. è l’insieme a contare: Giustiniano è scelto per celebrare l’impero universale perché si impegnò a riunire Occidente e Oriente e lasciò il Corpus come eredità fondamentale di Roma.

Collocato in una dimensione sovraindividuale, grazie anche alla luce che ne fascia la figura alla fine del canto V, è una figura impleta, cioé un personaggio storico che trova il proprio compimento nella dimensione dell’eterno, comprendendo il senso della propria vita nel quadro più ampio del disegno provvidenziale.

 

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