PARADISO CANTO 15 ANALISI

PARADISO CANTO 15 ANALISI

PARADISO CANTO 15 ANALISI


I canti XV-XVII sono il momento più importante del percorso di D.-personaggio, il nucleo generativo della Commedia. Il poeta incontra il trisavolo Cacciaguida, morto durante la seconda crociata: con lui mette a fuoco il senso del proprio destino di esule. Il canto XV rievoca la Firenze antica ai tempi di Cacciaguida (sec. XII), il XVI tratta della crisi delle famiglie fiorentine al tempo di Dante; il XVII è il canto della profezia dell’esilio.

Il canto si apre in un’atmosfera di attesa, quando le anime del cielo di Marte, riunite nella croce luminosa, cessano di cantare. Un’anima si sposta ai piedi della croce: l’effetto visivo è paragonato a quello di un fuoco che si muove dietro a una lastra di alabastro (forse l’immagine è ispirata dalle chiese di Ravenna). Questi è, appunto, Cacciaguida, che si rivolge al pronipote, gioiosamente, prima con una frase il cui senso sfugge a D. e poi con una solenne apostrofe in latino, contentente il senso della missione affidata a D. dalla Grazia.

Ai lettori tornano alla mente i luoghi in cui D.-autore ha preparato questo incontro: in Inf. II si chiedeva come mai gli era concessa la grazia di andare nell’aldilà e riceveva da Virgilio una sorta di investitura terrena; in Inf. XV si riservava di chiosar con altro testo le parole sul proprio destino sentite da Brunetto Latini. Finalmente, in questo canto tutto è chiarito al poeta.

Non è un caso che la domanda retorica ai vv. 28-30 riprenda il dubbio di D. in Inf. II. Non a caso Enea è paragonato a D. ai vv. 25-27: il parallelismo tra gli incontri Enea-Anchise e D.-Cacciaguida riguarda il loro senso profetico. Da subito, Cacciaguida, confessata la sua lunga attesa, spiega che i beati sanno leggere i pensieri del visitatore, mentre D. giustifica la sua incapacità di esprimere gratitudine. Alla fine della premessa, il poeta chiede all’interlocutore di dichiarare la propria identità.

Cacciaguida, così, comincia a ricostruire l’albero genealogico degli Alighieri (vv. 91-6) e poi allarga il discorso alla rievocazione delle virtù della Firenze dei suoi tempi. La città, che ora è simbolo della corruzione del mondo, allora era modello ideale della convivenza e di semplicità “cristiana”. A conferma di quest’ultima caratteristica Cacciaguida non si astiene dall’uso di espressioni popolaresche, fra cui spicca il “lascia pur grattar dov’è la rogna”.

Straordinario è il realismo delle immagini dell’antica vita fiorentina. L’immagine della pudicizia, rappresentata dalla moglie di Bellincion Berti la quale s’allontana dalla toeletta senza il viso dipinto contrasta con il riferimento a Cianghella, una corrotta fiorentina dei tempi di Dante. Dietro questo passo, si intravvedono la polemica di Forese Donati contro le sfacciate donne fiorentine, ma anche soprattutto il contrasto, sentito da Dante, tra l’antica aristocrazia e i ceti emergenti e la sua condanna verso una città ingrandita, ma indebolita moralmente.

La terzina dei vv. 130-2 connotata dalla iterazione, che sottolinea le qualità civili di Firenze antica, introduce l’altro modello culturale, quello di Cacciaguida combattente e martire. La sua biografia è scandita in tre momenti essenziali: il battesimo, la conferma della sua militanza cristiana con la partecipazione alla crociata, il transito al cielo con l’addio alle preoccupazioni terrene.