Papa Giovanni XXIII

Papa Giovanni XXIII


Era nato il 25 novembre 1881 a Sotto il Monte, in provincia di Bergamo, un borgo di mille abitanti, ignorato alla quasi totalità delle persone. Era il quartogenito di Giovanni Battista e Marianna Mazzola, e arrivava dopo tre bambine. Dopo di lui sarebbero nati altri nove tra fratelli e sorelle.

Chi nasceva laggiù, come in mille e mille altri borghi simili in Italia e in Europa in quel periodo, non aveva nessuna possibilità di diventare qualcuno.

I bambini in età scolare, erano radunati in un unico locale dove un solo maestro insegnava loro il minimo indispensabile per campare: leggere, scrivere e – come si diceva allora – far di conto. La cultura era quasi completamente orale, affidata agli anziani che, nelle notti d’inverno, leggevano ai nipotini i pochi libri concessi dal parroco.

I Roncalli erano poveri mezzadri. Coi cinque ettari di terreno loro concessi dovevano sfamare oltre trenta persone, ma godevano tutti di buona salute e non avevano, come si diceva allora, grilli per la testa. In parole povere si accontentavano di quello che Dio e i padroni del fondo concedevano loro.

“Eravamo poveri,” ricordava Papa Giovanni, “ma contenti e fiduciosi dell’aiuto della Provvidenza. Alla nostra tavola non c’era pane, solo polenta, e raramente vi appariva la carne. Una fetta di dolce era concessa solo a Natale e Pasqua. Il medesimo vestito e le scarpe dovevano durare anni… eppure, quando un mendicante si affacciava alla nostra porta, dove attendevamo tutti un piatto di minestra, mia madre si affrettava a far sedere quello sconosciuto accanto a noi e non gli faceva mancare un piatto di minestra”. Quell’esempio di amore disinteressato non lasciò mai Roncalli, che ne fece anzi il suo cavallo di battaglia negli anni venturi.

Si lavorava “da buio a buio” nella stalla e nei campi, alzandosi alle cinque e talvolta anche prima anche in inverno. Andavano a messa, e poi al lavoro. E alla sera, attorno al focolare d’inverno e nell’aia d’estate, si recitava il rosario. Era una vita povera che gli incerti delle stagioni capricciose allora quanto oggi, trasformavano spesso in miseria, ma mai in infelicità.

Il futuro Papa Giovanni visse undici anni a Sotto il Monte, formato nello spirito dal prozio Zaverio e dal parroco, don Francesco Rebuzzini. Il primo, uomo pio e devotissimo, lo avviò alla venerazione cristiana; il secondo esercitò su di lui un tale fascino che Angelo, a differenza dei suoi coetanei rassegnati alla stalla e ai campi, per anni desiderò solamente il posto di sagrestano del paese.

Angelino frequentò tre anni di scuola elementare, poi, per alcuni mesi ricevette lezioni di italiano e latino presso il parroco. Quindi lo si mandò al collegio di Celana come esterno, dove frequentò la terza ginnasio a soli dieci anni, per di più percorrendo ogni giorno otto chilometri a piedi.

Nel 1892 si iscrisse regolarmente alla terza ginnasio, che frequentò a Bergamo.

Trascorse i successivi otto anni della sua vita nel capoluogo, dove ricevette la sacra tonsura ad appena quattordici anni, cosa piuttosto rara in quei tempi. Poi, il 4 gennaio 1901, partì per Roma, per entrare al Seminario Romano.

Nella capitale seguì le lezioni dei maestri ma approfondì anche la storia, l’apologetica, l’archeologia, l’arte sacra e profana, e, soprattutto, la patristica, cioè lo studio del pensiero cristiano dei primi secoli in quanto frutto della meditazione e della predicazione dei Padri della Chiesa.

Nello studio mise in luce una prontezza unica a cogliere gli elementi positivi di ogni materia, ma, soprattutto, dimostrò la capacità di dialogare con tutti senza rompere con alcuno.

Nel 1904 e precisamente il 10 agosto, niene ordinato sacerdote a Roma.

Nel gennaio 1905, Roncalli divenne segretario del vescovo di Bergamo, Giacomo Maria Radini Tedeschi, ecclesiastico allora molto celebre e stimato in Italia e del quale il futuro papa Giovanni venerò la memoria per tutti gli anni che seguirono la sua morte, giunta improvvisa il 22 agosto 1914 quando Radini non aveva che 57 anni.

Furono anni molti intensi per don Angelo, professore in seminario, segretario di Radini Tedeschi, redattore de la Vita Diocesana (prima rivista italiana del genere a imitazione de La Vie Diocésaine francese), presidente della quinta sessione dell’Azione Cattolica: il tutto senza dimenticare il suo ministero pastorale, al quale non venne mai meno un solo secondo della sua vita.

Dopo la morte di Radini Tedeschi, Roncalli servì l’Esercito italiano in guerra dapprima come sergente di sanità e quindi come cappellano negli ospedali militari. Riprese il suo posto in seminario dal 1918 fino al 1921, insegnando varie discipline teologiche e storiche. Trovò anche tempo per fondare la Casa dello Studente, prima del suo genere in Italia, per assistere i giovani e avviarli a una vita cristiana.

Il 18 gennaio 1921 fu chiamato a Roma come Presidente per l’Italia del Consiglio Centrale della Pontificia Opera di Propaganda Fide, dove rimase per i successivi tre anni, fino alla sua nomina a delegato apostolico in Bulgaria.

La nomina alla Propaganda Fide lo colse di sorpresa e solo l’obbedienza lo fece giungere a Roma: lasciare la diocesi dove, ormai quarantenne (in quegli anni non si era ragazzini a quell’età) aveva guadagnato stima e rispetto del clero e dei laici, abbandonare tutto per fare la vita del “questuante”, percorrendo l’Italia in lungo e in largo dovettero costargli fatica.

Già nel 1913 si era parlato di destinargli la cattedra di storia ecclesiastica, poi si vociferò, alla morte di Radini, di affidargli la direzione di qualche istituzione ecclesiastica. A quarant’anni, conosciuto e apprezzato personalmente da Papa Benedetto XV, poteva aspirare a una promozione all’episcopato, e la voce circolava.

Come Presidente della Propaganda Fide, ebbe modo di conoscere le molteplici sfaccettature delle diocesi d’Italia che via via visitò e le varie organizzazioni missionarie europee e avvicinò svariati vescovi missionari venendo così a contatto con coloro che portavano al mondo il messaggio evangelico rispettando tutte le civiltà e le culture. Fu una lezione che non avrebbe dimenticato mai.

Il 17 febbraio 1925 mons. Roncalli è convocato in Vaticano dal card. Piero Gasparri, segretario di Stato, che gli comunica che è stato nominato visitatore apostolico in Bulgaria.

Roncalli vorrebbe rifiutare: disse, infatti di non aver alcuna esperienza diplomatica e che sa a malapena collocare sulla carta geografica la Bulgaria. Gasparri gli confessa di saperne meno di lui: “Non so molto di quello che accade laggiù. Tutti però sembrano lottare contro tutti: musulmani con gli ortodossi, i greci cattolici con i latini e i latini fra loro. Potrebbe andare a vedere cosa succede?”. Il 19 marzo dello stesso anno nella chiesa di San Carlo al Corso, a Roma, riceve l’ordinazione episcopale dalle mani del caed. Giovanni Tacci e il 25 aprile inizia la sua missione diplomatica a Sofia, in Bulgaria.

Nonostante la poca stima che aveva di sé e delle proprie capacità, Roncalli rimase dieci anni in Bulgaria, dove si fece amare da tutti, cattolici, ortodossi e musulmani. Le foto di quel periodo lo ritraggono frequentemente in mezzo alle popolazioni delle campagne, fra i terremotati e gli alluvionati ai quali portò sempre il proprio sincero conforto. Voleva essere parte di quel popolo per meglio comprenderlo e per meglio servirlo.

Divenne un sincero amico del mondo ortodosso, tra l’altro, convincendosi che la strada dell’unificazione del mondo cristiano, cattolico e ortodosso, non passava dalle polemiche né dalle reciproche contraddizioni o dall’ostinazione preconcetta, ma dalla felicità di quanto era rimasto patrimonio comune alle religioni.

Alla fine del 1934, il futuro mons. Roncalli venne trasferito alla delegazione apostolica di Turchia e, contemporaneamente, a quella di Grecia.

Istanbul esercitava un fascino particolare su monsignor Roncalli, studioso di storia e indagatore di archivi. Papa Giovanni venerava le vestigia del primo cristianesimo, che si trovano per gran parte nel territorio dell’odierna Turchia. Ma il periodo era anche particolarmente delicato per la forzata laicizzazione imposta allo Stato per opera di Kemal Ataturk.

Ma Roncalli riuscì a farsi apprezzare anche dai turchi, e, soprattutto, nell’ambiente diplomatico del quale la capitale turca diventò ben presto un nodo cruciale grazie alla sua neutralità nella Seconda Guerra Mondiale. Quell’apprezzamento gli permise di salvare molte vite umane.

I contatti con la Grecia furono invece assai più difficili. Atene poneva ogni difficoltà alle visite pastorali che la Santa Sede voleva frequenti. Ma la qualifica di rappresentante pontificio non garantiva a monsignor Roncalli il visto di ingresso. Ma quando la Grecia fu disfatta dalle potenze dell’Asse, Papa Giovanni si sforzò in ogni modo di rendere meno dura, alla popolazione civile, quella sventura. Seppe infondere perfino negli animi degli occupanti tedeschi il sentimento della clemenza verso i vinti.

Sul finire del 1944, gli arrivò l’ordine di lasciare Istanbul per spostarsi a Parigi in qualità di nunzio apostolico, dove giunse la vigilia di San Silvestro del 1944. La città era prostrata da quattro anni e mezzo di occupazione tedesca e di guerra.

La situazione in Francia era molto delicata, per la Chiesa cattolica. Ma ancora una volta Roncalli seppe dimostrarsi non un freddo difensore di schemi, bensì un tessitore di rapporti e un moderatore di entusiasmi. anche quando dovette ammonire o dissentire, lo fece con sincero rispetto e amore per tutti. E se qualcuno in quel momento trovò troppo remissivo il suo comportamento, dovette in seguito ricredersi e riconoscere quanto lungimirante fosse stata la politica di Roncalli nel favorire la prosecuzione del colloquio con la società operaia e contadina francese.

Roncalli visitò quasi tutte le diocesi, i santuari, le abbazie. Avvicinò i personaggi più noti di ogni professione e ideologia, frequentò l’Académie de France come la Banlieu, accanto ai poveri e ai diseredati.

Il 10 novembre 1952, mons. Montini, il futuro Paolo VI, allora Sostituto della Segreteria di Stato scrisse a mons. Roncalli, per chiedergli se era disposto ad accettare la sede patriarcale di Venezia nel caso di morte di monsignor Agostini, allora reggente quella carica e gravemente malato. Roncalli rispose con l’abituale modestia e serenità di spirito dicendosi disposto ad accettare quell’incarico gravoso. Angelo Giuseppe Roncalli aveva ormai 71 anni, e reggere il patriarcato di Venezia non era come condurre una parrocchia di campagna. Pure vi si dispose con animo sereno, chiedendosi solo se ne era degno.

Monsignor Agostini morì il 28 dicembre 1952 e il 15 gennaio successivo Pio XII annunciò la nomina del neocardinale (12 gennaio 1953 è creato cardinale e il 15 riceve ala berretta dal presidente francese Vincent Auriol) Roncalli alla sede di Venezia.

Nel capoluogo veneto, dialogò con gli operai e perfino coi socialisti, inviando loro una lettera di saluto in occasione di un loro congresso a Marghera. Detestava il cerimoniale, amava il parlare schietto, si sforzava di vedere in ogni suo simile un essere umano meritevole di rispetto in quanto tale, prima di tutto. E riteneva che la Chiesa dovesse andare incontro all’essere umano, e non viceversa.

Data l’età, Roncalli pensava, comunque che quella fosse la sua ultima destinazione. Sbagliava…

Il 28 ottobre 1958 fu eletto sul soglio pontificio con il nome di Giovanni XXIII. Sin dai primi giorni del suo pontificato stupì molti con le sue visite agli infermi, ai carcerati, con il suo ricordare i bambini (“date una carezza ai vostri bambini e dite che è la carezza del papa”, disse un giorno in piazza San Pietro).

Per tutti, fu subito il “papa buono”: fece togliere dal cerimoniale (prima delle quattro basiliche pontificie in Roma, e poi di tutte le chiese), la preghiera per “i perfidi giudei”. Dialogò con esponenti ebraici, mandò lettere a Kruschev, tentò contatti con Mao. La sua opera più coraggiosa e innovatrice rimane, però, il Concilio Vaticano II che annunciò pochi mesi dopo la sua elezione alla cattedra di Pietro:il suo annuncio cadde in un silenzio carico gelido.

Il “suo” concilio portò la Chiesa alla gente, finalmente, introducendo la liturgia in lingua corrente. Fu, senza timore di esagerare, uno dei papi più importanti della storia. Morì in Vaticano il 3 giugno 1963 alla fine della prima sessione conciliare e la Chiesa, che egli amava – oggi gli riconosce i suoi meriti dichiarandolo Beato.

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