OSSI DI SEPPIA

OSSI DI SEPPIA


Scritti tra il 1916 (anno a cui risale il primo frammento di Meriggiare pallido e assorto) e il 1924 (data di composizione di Arremba sulla strinata proda), gli Ossi di seppia furono pubblicati nel 1925 e segnarono l’esordio di Montale nel mondo della letteratura. Questa prima raccolta è di fondamentale importanza nella storia della poesia montaliana poiché ci permette di individuare le componenti e i modelli da cui essa prende avvio per poi intraprendere il suo originalissimo e complesso percorso. Ad una attenta analisi, infatti, emergono con chiarezza i rapporti con i simbolisti francesi, di cui Montale accoglie il procedimento analogico e la visione dell’universo come una rete di corrispondenze, i rapporti con i crepuscolari, evidenti nel rifiuto della retorica tradizionale, e infine i rapporti con D’Annunzio, il cui influsso è limitato però esclusivamente agli aspetti linguistici e prododici. Al di là di questo fitto intrecciarsi di echi e spunti, Montale si impone subito all’attenzione del lettore non solo per il suo personalissimo stile, ma anche per la capacità di esprimere una consapevole poetica e una precisa visione dell’esistere che si può a buon diritto definire <<filosofica>>. Espliciti elementi di poetica si trovano in particolare in due <<Ossi>>, Non chiederci la parola e I Limoni. Nel primo, che funge da introduzione a tutta la raccolta, Montale denuncia la propria incapacità di offrire al lettore una <<formula>> che possa schiudergli il significato dell’esistenza, precisando invece la portata esclusivamente <<negativa>> del suo messaggio; nel secondo, invece, egli ironizza sui <<poeti laureati>> che traggono occasione di poesia soltanto dagli aspetti eccezionali dell’esistenza e trascurano invece la quotidianità. A questo proposito, però bisogna dire che <<se Montale, staccandosi da D’Annunzio, rifiuta l’eccezionale, bandisce però dal suo mondo anche l’usuale, il quotidiano, quel prosaico che la poesia realistica del tardo Ottocento e, con maggiore successo, i crepuscolari avevano voluto valorizzare. C’è anzi nel Montale degli Ossi di seppia l’ambizione di cogliere il senso riposto delle cose, di leggere nel grande libro del mondo, che sarebbe impresa disperata voler conoscere a fondo ma del quale è possibile scorrere alcune pagine, per estrarre quella parte di verità che ci abbisogna per vivere>>. Arriviamo così ai temi principali dell’intera raccolta, ovvero l’<<inconoscibilità del reale>> e il <<male di vivere>>, affrontati in particolare in due poesie, Meriggiare pallido e assorto e Spesso il male di vivere ho incontrato. Nella prima, su un paesaggio scabro, aspro e disseccato si muovono meccanicamente degli animali in cui il poeta coglie il <<dramma metafisico>> dell’uomo, ovvero la condanna a vivere senza poter mai oltrepassare la <<scorza>> dell’esistenza e penetrarne il senso più profondo, rappresentato metaforicamente della <<muraglia>> che il poeta continua a <<seguitare>> ma non può valicare perché <<ha in cima cocci aguzzi di bottiglia>>. Nella seconda, invece, il poeta ci presenta attraverso delle immagini drammatiche e pregnanti la sua dolorosa visione dell’esistenza. <<Montale però-osserva il Bonora- non disserta sulle sue verità e nemmeno le asserisce: le vede nelle cose. Non sono simboli del male di vivere il rivo strozzato, la foglia incartocciata, il cavallo stramazzato: sono il male di vivere; la statua della sonnolenza del meriggio, la nuvola, il falco alto levato non sono emblemi di quel bene che schiude la divina indifferenza: sono creature che godono la prodigiosa e sola felicità concessa agli esseri viventi come agli dei>>. Nonostante una tale densità di significati, la poesia di Montale non è mai, come ha notato il Contini, oratoria o sillogistica: in essa, anzi, pur nei momenti di maggiore concessione alla prosaicità e al plurilinguismo, si può sempre riscontrare la volontà di poggiare su strutture metriche sostanzialmente tradizionali, e su uno stile che aspira ad una sorta di levigata e composta classicità: ciò la distingue sia dall’espressionismo e dal frammentismo vociano, sia dalla sciattezza formale dei crepuscolari.