ORIGINI DELLA PAROLA PASQUA

ORIGINI DELLA PAROLA PASQUA


La parola “pasqua” (pascha in greco e latino) è una traslitterazione dell’aramaico pasha che corrisponde all’ebraico pesah.

L’etimologia di questa parola ebraica è incerta, ma pare che il suo significato fondamentale sia “passare oltre”. Gli antichi amavano molto riflettere sul senso delle parole, anche se non sempre in modo rigorosamente scientifico. Anche i Padri della Chiesa si sono soffermati su questa questione assumendo posizioni diverse tra loro. Un primo gruppo di Padri – generalmente di tradizione asiana, come Melitone di Sardi, Ireneo, Ippolito, Tertulliano – collegano il termine pascha con il verbo greco páschein, soffrire, riferendolo quindi alla passione (páthos) di Cristo. Benché piuttosto ingenua, questa spiegazione coglie però quello che era il senso giudaico della pasqua. In effetti nel giudaismo “pasqua” era diventato sinonimo di agnello pasquale, da cui le espressioni “immolare la pasqua”, “mangiare la pasqua”, che troviamo anche nel Nuovo Testamento (Mt 26, 17; Mc 14, 12; Gv 18, 28). Questa spiegazione mette in risalto il senso tipologico dell’agnello ponendo l’accento sulla passione del Signore nel suo significato salvifico. Da qui il tema della Pasqua come salvezza (sotería).

Un secondo gruppo (gli alessandrini, con Origene e la maggioranza dei Padri orientali e occidentali) trova un’etimologia più esatta nel termine “passaggio” (diabasis, transitus). Soggetto diventa il popolo che “passa” dalla schiavitù dell’Egitto alla Terra promessa attraverso il Mar Rosso. In questo caso viene sottolineata la tipologia battesimale, poiché con il battesimo si “passa” dalla schiavitù del peccato e dei vizi e si entra nella Chiesa. Applicata a Cristo, questa etimologia indicherà il suo “passaggio” da questo mondo al Padre, e quindi la sua passione-risurrezione, secondo le parole di Agostino.

Un terzo gruppo, più esiguo (scrittori di area palestinese-antiochena, come lo pseudo-Origene, Apollinare di Laodicca, Teodoreto di Ciro, Procopio di Gaza), intende pascha come “passar-oltre” (hypérbasis) e pone come soggetto “l’angelo sterminatore” che, vedendo il sangue dell’agnello, “passa oltre” le case degli Ebrei, procurando loro la salvezza. Oppure è Cristo stesso che, con la sua passione e risurrezione, è “passato oltre” i limiti della morte e comunica questo dono ai credenti in lui. “Cristo – scrive Apollinare di Laodicea – non ha mangiato la pasqua, ma è diventato egli stesso quella Pasqua, il cui compimento è nel Regno di Dio, quando passa oltre definitivamente la morte: ciò infatti indica la parola pasqua, che significa passar oltre” (Commento a Matteo, frammento 130).