OPERETTE MORALI – DIALOGO DI TRISTANO E UN AMICO

OPERETTE MORALI – DIALOGO DI TRISTANO E UN AMICO


Mi credetti che le mie voci lamentevoli, per essere i mali comuni, sarebbero ripetute in cuore da ognuno che le ascoltasse. E sentendo poi negarmi, non qualche proposizione particolare, ma il tutto, e dire che la vita non è infelice, e che se a me pareva tale, doveva essere effetto d’infermità, o d’altra miseria mia particolare, da prima rimasi attonito, sbalordito, immobile come un sasso, e per più giorni credetti di trovarmi in un altro mondo; poi, tornato in me stesso, mi sdegnai un poco; poi risi, e dissi: gli uomini sono in generale come i mariti. I mariti, se vogliono viver tranquilli, è necessario che credano le mogli fedeli, ciascuno la sua; e cosi fanno; anche quando la metà del mondo sa che iI vero è tutt’altro. Chi vuole o dee vivere in un paese, conviene che lo creda uno dei migliori della terra abitabile; e lo crede tale. Gli uomini universalmente, volendo vivere, conviene che credano la vita bella e pregevole; e tale la credono; e si adirano contro chi pensa altrimenti. Perché in sostanza il genere umano crede sempre non il vero, ma quello che è, o pare che sia, più a proposito suo. Il genere umano, che ha creduto e crederà tante scempiataggini, non crederà mai né di non saper nulla, né di non essere nulla, né di non aver nulla a sperare. Gli uomini sono codardi, deboli, d’animo ignobile e angusto; docili sempre a sperar bene, perché sempre dediti a variare le opinioni del bene secondo che la necessità governa la loro vita; prontissimi a render l’arme, come dice il Petrarca, alla loro fortuna, prontissimi e risolutissimi a consolarsi di qualunque sventura. Se questi miei sentimenti nascano da malattia, non so: so che, malato o sano, calpesto la vigliaccheria degli uomini, rifiuto ogni consolazione e ogn’inganno puerile, ed ho il coraggio di sostenere la privazione di ogni speranza, mirare intrepidamente il deserto della vita, non dissimularmi nessuna parte dell’infelicità umana, ed accettare tutte le conseguenze di una filosofia dolorosa, ma vera.

Commento: in questa operetta, scritta nel 1832, Leopardi accusa gli uomini, e in particolare i suoi contemporanei, di essere vili, o nel migliore dei casi ingenui, perché non hanno il coraggio di guardare in faccia la verità, e cioè di non sapere nulla, di non essere nulla e di non avere nessuna speranza. Siccome questa verità è troppo dolorosa e troppo difficile da accettare, essi fingono che non sia vera, si fanno delle illusioni, si dicono che la vita è bella: in altre parole si ingannano da soli. Al contrario, Leopardi ha il coraggio di accettare questa verità e tutte le sue conseguenze. Questi temi saranno ripresi nell’ultima grande poesia di Leopardi, la ginestra.