OPERE PRINCIPALI DI VERGA

OPERE PRINCIPALI DI VERGA


-LA ROBA è un’altra novella il cui protagonista è Mazzarò, un uomo che aveva tratto la sua ricchezza dalle terre e che dava lavoro a moltissime persone e  andava molto spesso nei campi per avere tutto sotto il suo controllo personale.  Tutta la sua “roba”  l’aveva guadagnata con le sue sole forze. Mazzarò andava in giro sempre senza soldi, perché riteneva che avessero un’importanza poco rilevante o quasi nulla.  Era un uomo che si lamentava solo del fatto che cominciava ad essere vecchio e che la morte lo avrebbe separato dalla sua “roba”. Nel momento del trapasso, appunto, Mazzarò ammazza gli animali di sua proprietà, nel tentativo di portare la “sua roba” anche nell’aldilà.



LIBERTA’ è una novella in cui viene narrata la vicenda di Bronte, un piccolo paese della Sicilia, dopo la rivolta della gente povera, che voleva dividere le terre dei ricchi: alcuni di questi “poveracci” sventolavano un fazzoletto rosso e altri gridavano la parola “Libertà”. Durante la rivolta ci furono molte vittime: Don Antonio venne ucciso, mentre cercava di fuggire, supplicando di non essere trucidato. Anche Don Paolo fu ucciso davanti casa, sotto gli occhi della moglie che lo aspettava, così come  Neddu, il figlio del notaio,  che fu ricevette il colpo finale, quando ancora era cosciente. Neddu supplicò i garibaldini di non ucciderlo, ma un boscaiolo lo ammazzò, giustificandosi poi dicendo che, se fosse rimasto in vita,  anche lui sarebbe diventato un notaio. Durante la rivolta fu ucciso chiunque fosse ricco: anche la  baronessa e i suoi tre figli, nonostante lei avesse fatto fortificare le difese della sua abitazione. L’esaltazione della gente si placò verso sera, quando la folla cominciò a diminuire. La Domenica successiva al fatto, non fu celebrata messa e si pensò a come dividere le terre, ma i contadini non sapevano come fare, perché non c’erano periti per misurare la grandezza dei lotti di terreno, notai per registrare la proprietà …  Il giorno successivo si seppe, che il generale Nino Bixio stava venendo a fare giustizia; molti scapparono, ma appena Bixiò arrivò fece fucilare alcuni rivoltosi. Le cose in paese tornarono come prima:  i ricchi avevano le loro terre e i poveri dovevano lavorarvi per guadagnare. Al termine dei vari processi, tutti gli imputati furono ascoltati da una giuria composta dai ricchi e dai nobili. Infine fu pronunciata la sentenza e un carbonaro, a cui erano state rimesse le manette, rimase sbigottito perché non era stato liberato.


ROSSO MALPELO è la novella di Verga forse più conosciuta. Parla delle condizioni di vita nel Meridione d’Italia, a fine ‘800, e del pregiudizio che ancora dominava in molte zone della Sicilia. Rosso Malpelo è un ragazzo che lavora in una cava di rena. Poiché ha i capelli rossi, è ritenuto malvagio e tiranneggiato da tutti. All’inizio è protetto dal padre, ma quando questo muore in un incidente di lavoro, resta solo e indifeso, anche perché la madre, restata vedova, e la sorella, che si doveva sposare, lo trattano esattamente come fa il resto della comunità: cose se fosse un animale appestato. Malpelo assimila la violenza che subisce e cerca di insegnarne la lezione anche all’unico amico che ha, un ragazzo sciancato e malato di tisi, Ranocchio, che, nonostante le malattie, è costretto a lavorare nella stessa cava dove lavora Malpelo. Quando anche costui muore, dopo essersi stupito dell’atteggiamento materno della mamma di Ranocchio e delle lacrime di lei alla morte del figlio, Malpelo accetta di esplorare un tratto della galleria e vi si perde per sempre. In questo testo viene trattato il tema dello sfruttamento lavoro minorile, alla luce dell’inchiesta realizzata da Franchetti e Sonnino, per volontà del governo, sul lavoro minorile in Sicilia.


FANTASTICHERIA E’ una novella pubblicata in “Vita dei campi”. Questo racconto tratta le stesse tematiche che si incontreranno poi nel più famoso romanzo “I Malavoglia. Qui l’autore, da un lato afferma di voler studiare la vita scientificamente, al microscopio; dall’altro la idealizza, vi trova la “religione della famiglia” (l’ideale dell’ostrica), una “rassegnazione coraggiosa” e una “caparbietà eroica”, e addirittura una prospettiva idillica. Il momento veristico e quello romantico sono compresenti.


I romanzi di Verga dovevano far parte di un “ciclo” denominato “dei vinti”, poiché l’autore si poneva l’obiettivo di indagare la condizione di “infelicità”umana, nei diversi ambiti della società. Tra di essi, solo due sono stati completati:


MALAVOGLIA: Il romanzo narra le vicende della famiglia Toscano, sopranominata “i Malavoglia”, che abita il piccolo paese di Acitrezza da diverse generazioni. Il nucleo familiare di tipo patriarcale è composto  dal nonno, Padron ‘Ntoni,  dal figlio Bastianazzo e dalla moglie Maruzza, detta la Longa, e, infine, dai nipoti: ‘Ntoni, Luca, Mena, Alessi e Lia. Le uniche ricchezze della famiglia sono, la “casa del nespolo” , da loro abitata, e la barca chiamata “Provvidenza”, unica fonte di reddito. Le disgrazie dei Malavoglia, cominciano con la partenza alle armi di ‘Ntoni, che determina la mancanza di due forti braccia per il lavoro della “Provvidenza” . Per colmare le difficoltà economiche, Padron ‘Ntoni si convince ad acquistare a credito un carico di lupini che, mediante la Provvidenza, deve far giungere a Riposto. Ma, a causa di una violenta tempesta, la Provvidenza naufraga, va perduto il carico di lupini e con esso anche la vita di Bastianazzo. La famiglia Malavoglia è sconvolta dal dolore, ma non si rassegna e per far fronte al debito dei lupini decide di lavorare per Padron Cipolla. Dopo il rientro di ‘Ntoni, questa volta è Luca a intraprendere il servizio di leva, ma con risvolti tragici, poiché egli morirà nella battaglia di Lissa. La famiglia è di nuovo in ginocchio , anche perché gli viene sottratta, a causa dei debiti, la casa del nespolo e per porre rimedio alle precarie condizioni economiche, è costretta a vendere la barca, da poco pronta per il mare. Il giovane ‘Ntoni mira a ben altra vita rispetto a quella che per lui, invece, riserva la tradizione di famiglia. Ma le sue ambizioni vengono presto vanificate  poiché, frequentando cattive compagnie, si dà al contrabbando e finisce in galera. Intanto  sua madre, Maruzza la Longa, muore di colera e le disgrazie dei Malavoglia proseguono, con la fuga di casa di Lia che,  travolta da uno scandalo, finisce col diventare una prostituta; con la fine della relazione di Mena con Alfio (l’uomo che avrebbe dovuto sposare), a causa delle vicende familiari ; con la fine di Padron ‘Ntoni.  L’unico che riuscirà a far girare inversamente la ruota della fortuna sarà, invece, Alessi che riuscirà a riscattare la casa del nespolo, gesto, comunque, non servirà a ricomporre la vita della famiglia Malavoglia, ormai disgregata.


 IDEALE DELL’OSTRICA: Questo romanzo si fonda su quello che viene definito “l’ideale dell’ostrica”. Verga dice che, come l’ostrica è al sicuro quando sta attaccata allo scoglio, così l’uomo è protetto quando resta legato alle sue origini. Il disastro per l’uomo si manifesta non appena egli cerca di cambiare realtà, di abbandonare i suoi luoghi e le sue tradizioni. Lontano dal proprio contesto, proprio come l’ostrica staccata dallo scoglio, l’uomo sarà in pericolo.


 MASTRO DON GESUALDO  è il secondo dei romanzi del cosiddetto “ciclo dei vinti”, e è il romanzo che ripropone la vicenda, ovviamente modificata, del Mazzarò della “Roba”. La vicenda è ambientata a Vizzini, una località della provincia di Catania, nel periodo compreso tra il 1819 e il 1848. Protagonista è Gesualdo Motta, un uomo del popolo, umile lavoratore, tenace ed accorto che dedica la vita al lavoro per accumulare terre, denari e ricchezze. Per aumentare ulteriormente il suo potere, Gesualdo sposa Bianca Trao, ragazza di nobile famiglia in decadenza, che però non lo ama e, anzi lo disprezza. Bianca partorisce una figlia che Gesualdo cresce come la propria, ma che non lo è nella realtà e soprattutto che non lo apprezza. Gesualdo impone alla figlia un matrimonio  importante, ma ciò accresce ulteriormente le distanze fra i due. Anche il genero lo detesta e lo disprezza, ma che poiché vuole entrare a tutti i costi in possesso dell’eredità, lo costringe a seguirlo a Palermo. Gesualdo muore di nell’indifferenza generale, solo e abbandonato, accompagnato nelle ultime ore dalle parole malevole di un servitore, unico testimone della sua agonia.


 

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