OPERE MINORI DI VITTORIO ALFIERI

OPERE MINORI DI VITTORIO ALFIERI

Le opere minori

Nelle Rime (prevalentemente sonetti ed alcune canzoni, per un totale di circa quattrocento componimenti tra cui compaiono anche poemetti, prose liriche e satire in terza rima) l’Alfieri esprime, talora con pieno abbandono fantastico, i propri sentimenti, imitando il Petrarca ma senza la levità del predecessore e, soprattutto, senza rinunciare ad una propria personalità sui temi dominanti dell’amore e della malinconia. Niente a che vedere, dunque, con la pattuglia di imitatori petrarcheschi che, nei secoli precedenti e ancora alla fine del Settecento, ingolfavano le stamperie italiane (e non solo); Alfieri non frequenta un petrarchismo “di maniera”, anticipando invece molti dei temi e della sensibilità che troveranno compiutamente sfogo nella stagione romantica successiva, sia per quanto riguarda l’espressione lirica del sentimento e dei tormenti interiori, sia per quanto riguarda una visione molto soggettiva della storia e della sua interpretazione strumentale.

In un poemetto in ottave, l’Etruria vendicata, opera beninteso di scarso valore, egli esalta l’uccisione di Alessandro De Medici compiuta dal cugino Lorenzino. Le reminiscenze machiavelliane sono forti ma gli esiti, e il senso del messaggio, decisamente differenti.

Nel Misogallo, che significa “odio contro la Gallia”, cioè la Francia, del 1789, si scaglia con prose, sonetti ed epigrammi contro la Francia rivoluzionaria, facendo polemica piuttosto che poesia.

Nelle Satire, che sono 17, esprime spesso con efficacia l’avversione e le ire suscitate in lui da costumi, usanze e istituzioni del suo tempo, non risparmiando le mode frivole, la decadenza del’istituto della famiglia e il comportamento delle donne.

Negli ultimi anni della sua vita compone in endecasillabi sciolti quattro commedie di matrice aristofanesca, e quindi di argomento politico: L’uno, I pochi, I troppi, L’antidoto, nelle quali satireggia ancora una volta il governo assoluto e tirannico nella prima, l’oligarchia nella seconda, la democrazia nella terza e una vaga forma di monarchia costituzionale nella quarta, in cui sembra lasciare intendere il male minore anche se, ad onta del titolo che lascerebbe pensare il contrario, non dà modo di vedere con chiarezza se egli credesse davvero in quella forma di governo.

In altre due commedie, La finestrina e Il divorzio, si erge a censore di costumi, mostrando con disgusto le recondite passioni degli uomini e la corruzione contemporanea dell’istituzione familiare. Se il tema della seconda di queste commedie è facilmente comprensibile già dal titolo, e riguarda un tema di stringente attualità ancor oggi, la prima va invece spiegata: gli dei decidono di agevolare il lavoro dei giudici aprendo una “finestrina”, appunto, nell’animo degli uomini allo scopo di poterci guardare dentro con chiarezza e fare giustizia con maggior precisione. Il problema è che, da quella “finestrina”, saltano fuori tante e tali nefandezze dell’animo umano che gli dei decidono significativamente di tornare a chiuderla per evitare guai peggiori. Anche il tributo al Machiavelli commediografo, oltre che scrittore politico, emerge con chiarezza da queste opere.