OMERO ILIADE LIBRO 22 VV 249-392
Omero, Iliade, 22, 249-392
Traduzione di Giovanni Cerri, Milano (BUR) 1996
All’altro diceva per primo il grande Ettore dall’elmo ondeggiante: «Più non ti fuggirò, figlio di Peleo, come sono
scappato tre volte intorno alla grande città di Priamo, senza mai trovare il coraggio d’affrontare il tuo assalto; ma ora il
cuore mi ha spinto a starti di fronte: ch’io ti uccida o sia ucciso da te, Ma su, qui stesso invochiamo gli dei; saranno
loro i testimoni e garanti migliori dei nostri accordi: non ti sfregerò malamente, nel caso che Zeus dia a me la vittoria
ed io ti tolga la vita; ma dopo averti, Achille, predato le tue belle armi, restituirò il morto agli Achei; tu fa’ altrettanto».
A lui, guardandolo storto, disse Achille, veloce nei piedi: «Ettore, tu, maledetto, non parlarmi di accordi! Come non
esistono patti affidabili tra i leoni e gli uomini, né possono lupi ed agnelli avere cuore concorde, ma sempre gli uni degli
altri vogliono il male, cosl non possiamo tu ed io essere amici, né ci saranno patti fra noi, prima che uno dei due caduto
sazi di sangue Ares, il guerriero armato di scudo. Raccogli tutta la tua bravura: ora devi davvero essere uomo di lancia e
guerriero animoso. ) Per te non c’è scampo ormai, ben presto Pallade Atena t’abbatterà con la mia lancia; adesso
pagherai tutti insieme i lutti dei miei compagni, che hai ucciso infuriando con l’asta». Disse, e palleggiando scagliò la
sua lunga lancia; la vide venire Ettore splendido e la schivò: pronto si rannicchiò, e sopra passò la lancia di bronzo,
andò a piantarsi a terra; la raccolse Pallade Atena, e la dette indietro ad Achille, di nascosto ad Ettore pastore di genti.
Ettore disse allora al Pelide perfetto: «Hai fallito, non era vero, Achille simile a un dio, che la mia morte sapevi da
Zeus; eppure l’hai derto: ma eri bravo a parlare, ingannavi con i discorsi, perché per paura di te scordassi il valore e la
forza. Non potrai mentre fuggo piantarmi la lancia nel dorso, ma trafiggimi il petto, mentre ti vengo incontro, se te l’ha
concesso un dio; ora schiva però la mia lancia di bronzo: la prendessi tutta nel corpo! Più leggera sarebbe la guerra ai
Troiani se tu fossi morto: sei per loro la pena più grande». Disse, e palleggiando scagliò la sua lunga lancia, lo scudo del
Pelide colse nel centro, non sbagliò il colpo; ma rimbalzò lontano dallo scudo la lancia; Ettore andò in furia che a vuoto
il dardo veloce gli fosse sfuggito di mano, rimase confuso, non aveva altra lancia di frassino. Chiamava Deifobo dal
bianco scudo, gridando a voce spiegata: gli chiedeva una lancia lunga; ma quello non gli era vicino; Ettore allora
comprese in cuor suo e disse: «Ahimè, davvero gli dei m’hanno invitato alla morte: io credevo mi fosse vicino l’eroe
Deifobo, invece è dentro le mura ed Atena m’ha tratto in inganno. M’è accanto ormai la morte funesta, non è più
lontana, e non c’è scampo: da un pezzo questo volevano Zeus ed il figlio di Zeus, il Saettatore, che pure in passato
benigni mi proteggevano; ma adesso m’incalza il destino. Che almeno non abbia a morire senza battermi e senza gloria,
ma compiendo qualcosa di grande, che si sappia anche in futuro!». Detto cosi, sfoderò la spada affilata, ch’era appesa al
suo fianco, grande e pesante, s’avventò, stretto in guardia, come aquila che vola in alto e scende sulla pianura attraverso
nuvole fosche a ghermire tenero agnello o timida lepre: Ettore venne all’assalto cosi, brandendo la spada affilata. Gli
andò incontro Achille, pieno di furia selvaggia in cuor suo, davanti al petto tenendo lo scudo bello, ben lavorato, e
scuotendo l’elmo lucente a quattro strati; ondeggiavano i bei crini d’oro, che Efesto aveva applicati folti intorno alla
cresta. Come nel cuor della notte s’avanza tra gli astri la stella di Espero, che nel cielo è l’astro più bello, veniva luce
cosi dalla punta aguzza dell’asta, che Achille agitava nella sua destra, volendo la morte d’Ettore divino, scrutando il suo
bel corpo, dove più restasse scoperto. In ogni altra parte gli coprivano il corpo le armi di bronzo, belle, tolte di forza a
Patroclo, dopo averlo ammazzato; ma restava scoperto dove divide il collo dalle spalle la clavicola, alla gola, dove la
fuga della vita è più rapida: lì lo colpi Achille divino con l’asta, mentre attaccava, la punta passò parte a parte, attraverso
il tenero collo; ma il frassino armato di bronzo non tagliò la trachea, affinché potesse parlargli, rispondendo alle sue
parole. ) Cadde nella polvere; Achille divino disse trionfante: «Ettore, forse credevi, mentre toglievi le armi a Patroclo,
di farla franca, non avevi paura di me che ero lontano, sciocco! Pur lontano da lui, guerriero molto più forte in riserva
alle navi ricurve restavo io, che t’ho piegato i ginocchi: di te cani ed uccelli faranno scempio, a lui sepoltura daranno gli
Achei». Stremato gli rispose Ettore dall’elmo ondeggiante: «Per la vita ti prego, per le ginocchia, per i tuoi genitori, non
lasciare che i cani mi sbranino accanto alle navi degli Achei, accetta invece a iosa il bronzo e l’oro, i doni che ti faranno
mio padre e la nobile madre, ma da’ indietro il mio corpo alla mia casa, perché con il fuoco mi onorino, quando sia
morto, i Troiani e le loro donne», A lui, guardandolo storto, disse Achille, veloce nei piedi: «Non starmi, cane, a pregare
per ginocchia e per genitori! Mi bastassero animo e rabbia a sbranare e divorare io stesso le tue carni crude, per quello
che hai fatto, come non c’è nessuno che possa al tuo corpo risparmiare i cani, nemmeno se dieci, se venti volte il riscatto
venissero qui a portarmi, ed altro ancora ne promettessero, nemmeno se desse ordine di pagarti a peso d’oro Priamo
Dardanide; nemmeno in quel caso la nobile madre potrà piangerti steso sul letto, lei che t’ha partorito, ma tutto intero ti
mangeranno cani ed uccelli», Gli rispondeva in punto di morte Ettore dall’elmo ondeggiante: «Bene ti vedo, ben ti
conosco, non era destino che ti piegassi: è di metallo il tuo cuore nel petto, Bada piuttosto ch’io non diventi per te
vendetta divina quel giorno nel quale Paride e Febo Apollo, per quanto bravo, t’ammazzeranno alle porte Scee», Mentre
cosi gli diceva, l’ora della morte l’avvolse, l’anima volò via dalle membra e se ne scese nell’Ade, rimpiangendo il proprio
destino, lasciando la forza e la giovinezza. Benché fosse già morto, gli disse Achille divino: «Muori! Accetterò la mia
sorte nel momento in cui voglia compierla Zeus e gli altri dei immortali». Disse, e sfilò dal suo corpo la lancia di
bronzo, l’appoggiò da una parte, e si mise a predare dalle sue spalle le armi insanguinate; accorrevano gli altri figli degli
Achei, ammirando la bellezza ed il nobile aspetto di Ettore; eppure nessuno s’accostò senza colpirlo. E cosi ciascuno
diceva rivolto al vicino: «Ehilà, adesso a toccarlo è molto più morbido Ettore, di quando appiccava alle navi il fuoco
vorace!». Cosi diceva ciascuno, e passando colpiva. Quando l’ebbe spogliato Achille divino dal piede veloce, ritto in
mezzo agli Achei diceva parole che volano: «Amici, condottieri e governanti degli Argivi, poiché gli dei mi concessero
di ammazzare quest’uomo, che ci ha fatto più male di tutti gli altri insieme, su, lungo le mura andiamo in armi a
esplorare, per saper quale sia l’idea dei Troiani, se, caduto costui, lasceranno la rocca, o vogliono invece resistere, anche
se Ettore è morto. Ma perché queste cose m’ha detto il mio cuore? Giace accanto alle navi cadavere, senza pianto né
sepoltura, Patroclo: di lui non potrò scordarmi, almeno fin quando io rimanga tra i vivi e le ginocchia mi reggano; se poi
ci si scorda dei morti a casa di Ade, ) io invece anche li sarò memore del mio compagno. Orsù, intonando il peana,
torniamo alle concave navi noi figli degli Achei, e portiamoci dietro costui»