NON CHIEDERCI LA PAROLA DI EUGENIO MONTALE

NON CHIEDERCI LA PAROLA DI EUGENIO MONTALE

PARAFRASI

Eugenio Montale


PARAFRASI (1)

Non chiederci la parola,che metta a fuoco sotto ogni profilo, il nostro animo privo di certezze, e a lettere che lo chiariscano rendendolo luminoso come il fiore dello zafferano: perduto in mezzo ad un prato polveroso.
Ah l’uomo che se ne va sicuro, senza contrasti con se stesso e con gli altri.
E la sua ombra non viene toccata che dal sole nel periodo più caldo dell’estate; proiettata su un muro mancante di intonaco.
Non domandarci il segreto che possa rivelarti nuove prospettive di conoscenza del mondo,bensì una distorta sillaba secca come un ramo.
Solo questo possiamo in questo momento farti presente, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.


PARAFRASI (2)

Non chiedere a noi poeti le parole che descrivano chiara-
mente la nostra anima confusa, e che con lettere luminose

la definiscano, e risplendano come un giallo fiore di zaffe-
rano che si stacchi solitario in mezzo a un prato polveroso.

Fortunato l’uomo che avanza senza dubbi, in accordo con
gli altri e con se stesso, e non si preoccupa dell’ombra che
il sole cocente proietta su un muro sbrecciato!
Non chiederci una formula che sappia svelarti nuovi
mondi, bensì solo qualche sillaba imprecisa e secca come
un ramo. Solo questo oggi possiamo rivelarti: quello che
non siamo, quello che non vogliamo.


COMMENTO

È senza dubbio una delle poesie più celebri e citate di Montale.
Si tratta del testo – scritto nel 1923 – che apre la sezione Ossi di seppia della
raccolta omonima, e contiene alcune idee essenziali per capire la
concezione della poesia e del ruolo del poeta secondo Montale; è
divenuta uno dei maggiori emblemi della poetica “negativa” di
Montale.
L’autore instaura un dialogo con il lettore stesso – o meglio, quel
lettore che esige verità assolute e definitive – parlando a nome dei
poeti della sua generazione, come si deduce dall’uso del plurale (Non
chiederci), invitandolo a non chiedergli alcuna definizione precisa ed
assoluta, né sui poeti stessi né sull’uomo in genere, e nemmeno sul
significato del mondo e della vita.
Egli infatti, a differenza dell’uomo “che se ne va sicuro” perché ignaro
ed insieme incurante del senso della propria esistenza (ironia nei
confronti dell’immagine del poeta vate), non ha alcuna “formula”
risolutiva, ma solo dubbi e incertezze, o tutt’al più una conoscenza
negativa.
Il poeta può soltanto rappresentare, con poche scarne parole, la
precarietà della condizione umana.
Anche in questa poesia, come già in “Meriggiare pallido e assorto”,
appare il muro, immagine ricorrente nella poesia di Montale e simbolo
del limite che domina la vita dell’uomo.


METRICA

Tre quartine di versi di varia lunghezza, con numerosi endecasillabi e doppi
settenari, variamente rimati.
Schema: ABBA CDDC (la prima e la seconda strofa a rime incrociate) EFEF
(la terza a rime alternate). Rima ipermetra ai vv.6-7 (canicola fa rime con
amico in quanto la sillaba finale la si fonde metricamente con il verso
successivo).
Il modulo utilizzato è quello del colloquio con un interlocutore fittizio (un
“tu” imprecisato).
Il lessico è quotidiano, scarno ed essenziale.