NIETZSCHE IL SUPERUOMO

NIETZSCHE IL SUPERUOMO


Il «superuomo» è senz’altro il motivo più noto e “volgarizzato” del pensiero di Nietzsche, ma anche uno dei più complessi e criticamente controversi. In linea generale possiamo dire che il superuomo è un concetto filosofico di cui si serve Nietzsche per esprimere il progetto di un nuovo tipo di uomo qualificato da una serie di caratteristiche che coincidono con i temi di fondo del suo pensiero . Il superuomo è colui che è in grado di accettare la vita (par. 5); di rifiutare la morale tradizionale e di operare una trasvalutazione di valori (par. 7); di «reggere» la morte di Dio, guardando in faccia il reale al di là delle illusioni metafisiche (par. 8); di superare il nichilismo (par. 14); di collocarsi nella prospettiva dell’eterno ritorno (par. 12) e di porsi come volontà di potenza (par 13). Come tale, il superuomo non può che stagliarsi sull’orizzonte del futuro (da ciò il carattere «profetico» di tutta l’opera nietzschiana). Tant’è vero che Uber-mensch può essere tradotto con oltre-uomo, proprio per evidenziare meglio la diversità fra il superuomo del futuro e l’uomo del presente.

In sintesi, il superuomo nietzscheano, che non va confuso con un esteta di tipo dannunziano o con un’entità biologica di tipo darwiniano, non è l’uomo al superlativo, ma un uomo diverso da quello che conosciamo. Un uomo oltre l’uomo capace di creare nuovi valori e di rapportarsi in modo inedito alla realtà.

Nietzsche presenta il superuomo come «il senso della terra» e come il fautore di un’antidealistica fedeltà al mondo: «Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Lo sappiano o no: costoro esercitano il veneficio» (Così parlò Zarathustra, prefazione). L’uomo è terra ed è nato per vivere sulla terra. L’anima, che dovrebbe essere il soggetto di un’ipotetica esistenza ultraterrena, è insussistente: l’uomo è sostanzialmente corpo: «Corpo io sono in tutto e per tutto», esclama Zarathustra, «e anima non è altro che una parola per indicare qualcosa del corpo». Questa rivendicazione della natura terrestre del superuomo fa tutt’uno con l’accettazione totale della vita che è propria dello spirito dio-nisiaco. In virtù di tale accettazione, la terra cessa di essere il deserto in cui l’uomo è in esilio per divenire la sua dimora gioiosa e il corpo cessa di essere la prigione o la tomba dell’anima per divenire il concreto modo di essere dell’uomo nel mondo.

Nel primo discorso, intitolato «Delle tre metamorfosi», Nietzsche descrive la genesi e il senso del superuomo alla stregua di una libertà che libera se stessa, per approdare ad una innocente e creativa affermazione della vita: «Tre metamorfosi io vi nomino dello spirito: come lo spirito diventa cammello, e il cammello leone, e infine il leone fanciullo». Il cammello rappresenta l’uomo che porta i pesi della tradizione e che si piega di fronte a Dio e alla morale, all’insegna del «tu devi». Il leone rappresenta l’uomo che si libera dai fardelli metafisici ed etici, all’insegna dell’«Io voglio» e nell’ambito di una libertà ancora negativa: libertà «da» e non libertà «di». Il fanciullo rappresenta l’oltre-uomo, cioè quella creatura non risentita di stampo dionisiaco che, nella sua innocenza ludica, sa dir di sì alla vita e inventare se stessa al di là del bene e del male, a guisa di «spirito libero».

Qualche studioso, assimilando Nietzsche a Marx, ha scorto, nel superuomo, l’incarnazione di un’umanità liberata e, in Nietzsche, una sorta di profeta progressista. In realtà, il superomismo presenta espliciti connotati antidemocratici e reazionari. In altri termini, che Nietzsche sia un «filosofo della liberazione» è un fatto. Ma la liberazione da tutte le autorità umane e divine che egli auspica – e in cui risiede il senso stesso del superuomo – non è qualcosa che riguarda tutta l’umanità, ma sol-tanto una parte di essa, ovvero un’élite di individui superiori. Un’elite che non si limita a erigersi al di sopra delle masse, ma che, nella sua qualità di «razza dominatrice», ha addirittura «bisogno della schiavitù» delle masse «come della sua base e condizione» (Frammenti Postumi).