Nietzsche IL GRANDE ANNUNCIO

Nietzsche IL GRANDE ANNUNCIO

TESTO: IL GRANDE ANNUNCIO (da La gaia scienza, in Opere, cit, trad. it. di F. Masini, voi. V, tomo II, Adelphi, Milano, 19912, pp. 150-152)

L’uomo folle1. Avete sentito di quell’uomo folle che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: «Cerco Dio! Cerco Dio!»? — E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa2. «Si è forse perduto?» disse uno. «Si è smarrito come un bambino?» fece un altro. «Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? E’ emigrato?» gridavano e ridevano in una gran confusione. L’uomo folle balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: «Dove se n’è andato Dio?» gridò «ve lo voglio dire! L’abbiamo ucciso — voi e io! Siamo noi tut-ti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strofinare via l’intero orizzonte? Che mai facemmo per sciogliere questa terra dalla catena del suo sole?3 Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso?4 Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? — Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo ancora nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino a oggi

si è dissanguato sotto i nostri coltelli — chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo lavarci? Quali riti espiatori, quali sacre rappresentazioni dovremo inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo anche noi diventare dèi5, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un’azione più grande — e tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, a una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!». — A questo punto l’uomo folle tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. «Vengo troppo presto»6, proseguì «non è ancora il mio tempo. Questo enor me evento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino — non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, la luce delle stelle vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano viste e ascoltate. Quest’azione è ancor sempre più lontana dagli uomini delle stelle più lontane — eppure son loro che l’hanno compiuta!». — Si racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: «Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio»?7

NOTE:

Come il platonico «mito della caverna», anche questo passo nietzschiano contiene una ricca simbologia filosofica. Infatti, al di là del gioco allusivo delle immagini, emergono precisi “messaggi” di pensiero. Senza pretendere di esaurire tutti i rimandi del testo, risulta possibile metterne in luce taluni concetti di fondo, mediante una serie di identificazioni possibili.

  • L’uomo folle = il filosofo-profeta; 2) le risa ironiche degli uomini del mercato = l’ateismo ottimistico e superficiale degli intellettuali dell’Ottocento, insensibili alla portata e agli effetti della morte di Dio; 3) la difficoltà di bere il mare, di strusciare l’orizzonte e di sciogliere la terra dal sole = allusione al carattere arduo e sovra-umano dell’uccisione di Dio;
  • il precipitare nello spazio vuoto, la mancanza di un alto e di un basso, il freddo e la notte = il senso di «vertigine» e di «smarrimento» che seguono alla morte di Dio e al venir meno di certezze e di punti di riferimento assoluti; 5) la necessità di divenire «dèi» noi stessi per apparire degni della «grandezza» dell’azione più grande = richiamo al fatto che per “regge-re” la morte di Dio l’uomo deve farsi superuomo; 6) il giungere «troppo presto» = la coscienza del filosofo-veggente che la morte di Dio non si è ancora concretizzata in un fatto di massa, anche se è inevitabile che lo diventi nel futuro;
  • le chiese come sepolcri di Dio = allusione alla crisi moderna delle religioni, considerate da Nietzsche alla stregua di ormai cadaverici «residui» del passato.

In un luogo di Umano, troppo umano, Nietzsche, parlando del cristianesimo come di «un’antichità emergente da epoche remotissime», scrive significativamente: «Quando in una mattina di domenica sentiamo rimbombare le vecchie campane, ci chiediamo: ma è mai possibile! Ciò si fa per un ebreo crocifisso duemila anni fa, che diceva di essere il figlio di Dio». E nella Gaia scienza osserva: «Nella vecchia Europa, mi sembra che anche oggi sia pur sempre la maggioranza ad aver necessità del cristianesimo, perciò esso continua sempre a trovare chi gli presta fede. Così infatti è l’uomo: anche se un articolo di fede potesse essere mille volte confutato, — posto che egli lo sentisse necessario, — continuerebbe sempre a tenerlo per “vero”».