NEVICATA DI CARDUCCI

NEVICATA DI CARDUCCI

ANALISI NEVICATA DI CARDUCCI

Questa poesia, scritta nel 1889, rivela un Carducci un po’ diverso da quello combattivo e vitale che la tradizione privilegiata: l’autore appare qui ripiegato su se stesso, in una meditazione sulla morte e sulla fugacità della vità, con una presenza quasi ossessiva della memoria dei cari defunti. A questo stato d’animo fa da sfondo la città coperta dalla neve.
La lirica di Carducci costituisce un esempio di poesia ancora legata alla lingua e ai metri della tradizione, ma che tuttavia recepisce una sensibilità nuova e tenta una sperimentazione formale.

Il testo

Lenta fiocca la neve pe ‘l cielo cinereo: gridi,
suoni di vita più non salgono da la città,

non d’erbaiola il grido o corrente rumore di carro,
non d’amor la canzon ilare e di gioventù.

Da la torre di piazza roche per l’aere le ore
gemon, come sospir d’un mondo lungi dal dì.

Picchiano uccelli raminghi a’ vetri appannati: gli amici
spiriti reduci son, guardano e chiamano a me.

In breve, o cari, in breve – tu càlmati, indomito cuore –
giù al silenzio verrò, ne l’ombra riposerò.

Il significato

Il poeta si trova nella propria casa a Bologna, forse nello studio. Fuori nevica, una nevicata continua e lenta che viene giù da un cielo color della cenere. La neve attutisce ogni rumore e dalla città non arrivano i suoni soliti della vita quotidiana: il grido della fruttivendola e il cigolìo dei carri che passano. Anche i rintocchi dell’orologio della torre sono smorzati dalla neve, così che sembrano sospiri provenienti da un altro mondo. L’attenzione viene quindi attirata da un rumore: gli uccelli che vanno errando alla ricerca di cibo e di un riparo picchiano al vetro e riscuotono il poeta dal torpore della meditazione; quel battere insistito è come un richiamo che le anime degli amici che non ci sono più fanno al poeta: il richiamo al destino di morte che lo attende e al quale il poeta, nonostante la vitalità del suo animo, si dice pronto.

I temi

Il tema centrale della lirica è quello del pensiero della morte, che caratterizza una parte dell’opera di Carducci; in molte sue liriche si trova la contrapposizione fra la vita e la morte, fra la luce e le tenebre, fra la vita e il sole da una parte e il freddo della morte e l’ombra dall’altra. In questo testo sembra predominare solo il pensiero della morte, che acquista la forma simbolica, per altro dichiarata dal poeta, degli uccelli che picchiano con il becco sul vetro. Si può rintracciare però ancora un eco della vita e della gioia che essa suscita in quel grido della fruttivendola, nel carro che corre e nell’accenno all’indomito cuore. Ma questi richiami sono come smorzati e attutiti dalla neve, dalla situazione di pesante tristezza che grava sulla città e sul poeta.
E’ significativo che la poesia si apra con l’immagine della neve che scende sullo sfondo di un cielo grigio e con l’idea del silenzio che si chiuda ancora con le parole silenzio e ombra, a definire il regno dei morti.

Il metro, la lingua, lo stile

La caratteristica principale di questo testo è rappresentata, dal punto di vista formale, dal tentativo sperimentale di riprodurre la metrica classica utilizzando i versi italiani. In ognuno dei versi più lunghi, quelli dispari, si rintraccia un settenario seguito da un novenario.
In seguito, nel Novecento, non si cercherà più di rivitalizzare forme metriche della tradizione, ma ci si libererà da qualunque vincolo metrico; qui Carducci attua dunque a suo modo una sperimentazione che alla fine porterà alla dissoluzione delle forme metriche tradizionale, ma che con lui resta ancora all’interno delle norme.
Rispetto alla poesia leopardiana si nota un uso del linguaggio poetico più legato alla tradizione: nell’uso delle anastrofe, nella scelta di alcuni termini. Tuttavia si fa strada la presenza del simbolo, costituito dal picchiare degli uccelli, che sarà una caratteristica della poesia dei simbolisti francesi e poi del Decadentismo.

Analisi e commento

La poesia che andiamo a analizzare, “Nevicata” di Giosué Carducci, presenta subito una particolarità. Infatti il metro utilizzato in questa poesia è l’imitazione di un ipotetico distico elegiaco latino. La frattura con i classici metri della poesia italiana è costituita dal fatto che in questo non ha importanza che i versi abbiano lo stesso numero di sillabe prima dell’ultimo accento tonico, ma è la disposizione degli accenti stessi che devono seguire uno schema stabilito. L’effetto di imitazione è ottenuto con un settenario seguito da un novenario, mentre il pentametro è reso da un settenario tronco seguito da un ottonario tronco. Singolare è il terzo distico che presenta nella prima parte dell’esametro un ottonario e nella prima parte del pentametro un ottonario tronco. Questo forse perché, a partire da quel punto, la poesia cambia strada tematica: dopo una prima metà in cui il poeta descriveva oggettivamente un paesaggio invernale, seppur incrociando questa descrizione con quella del suo stato d’animo, nella seconda parte egli adotta un punto di vista soggettivo e autobiografico. Questo spostamento da un punto di vista esterno a quello interno, è sottolineato, oltre che dal cambio ritmico dei versi 7-8, anche dalla presenza della parola-chiave “me”, sottolineata anche dalla preposizione semplice “a”, che non sarebbe richiesta dalle regole grammatiche e metriche. Altre parole-chiave servono al poeta per far capire qual è il significato di questa poesia. Subito al verso 1, notiamo la parola “cinereo”, sottolineata stavolta mediante la dieresi. In questa parola si nota una polisemia: accanto al significato letterale di grigio come colore del cielo, l’orecchio coglie, grazie alla somiglianza fonetica e etimologica tra le due parole, la presenza della cenere, che subito introduce il tema funebre, il principale della poesia e della intera produzione poetica di Carducci. Altra parola-chiave è il “non”, messo in risalto per mezzo dell’anafora, visto che è ripetuto tre volte nei versi 2-3-4, e ulteriormente sottolineato dal “più” del secondo verso. La poesia è il racconto di una giornata d’inverno, in cui la neve piano piano imbianca il paesaggio, seppellendo con la sua caduta i suoni di vita della città, i rumori dei carri che prima correvano sull’erba e le canzoni felici d’amore dei giovani. È come se un senso di morte, che vien fuori dalla presenza della cenere, simbolo appunto di fine della vita, cadesse lentamente sulla felicità e sulla vita degli uomini. Una metafora caratterizza il terzo distico: “le ore gemono”. Questa espressione, sottolineata dall’allitterazione (“per l’aere le ore”) e dall’enjambement (“le ore/ gemon”) mette in risalto la fugacità del tempo, simboleggiata attraverso il battito delle ore stesse. Il gemito con cui Carducci simboleggia il battito delle ore, unito con la similitudine del verso seguente in cui esso viene paragonato a un sospiro proveniente da un mondo diverso e lontano da quello che stiamo vivendo, il mondo della morte, accresce ulteriormente il senso di una morte che si avvicina, incombente e inesorabile. Come detto, dopo questa descrizione, data come oggettiva, la narrazione si sposta e si interiorizza. Degli uccelli ancora incapaci di volare picchiano sui vetri appannati dal freddo, come spiriti amici tornati per invitare il poeta a seguirli. Da sottolineare la quasi totale assenza di felicità che vien fuori da questo mondo: gli spiriti antichi sono come uccelli morti ancor prima di imparare a volare, perché se n’erano andati dal nido, illusi di poter librarsi nel cielo ed essere così felici, ma che invece si trovano a picchiare alle finestre, cercando qualcuno da portar con sé nel buio e lontano mondo della morte. Per quanto riguarda il poeta, egli, dice nell’ultimo distico, è pronto a seguirli e supplica il suo cuore che non vuole arrendersi, di calmarsi, poiché lui adesso vorrebbe solo poter seguire quegli spiriti, venuti a chiamarlo. Da evidenziare, la ripetizione di “in breve”, due volte in un solo verso, a simboleggiare ancora la fugacità del tempo e, con esso, anche della vita stessa. Dopo una forte cesura, in cui il poeta si rivolge al suo cuore, a sottolineare ancora la soggettività di questa seconda parte della poesia, implorandolo di arrendersi a un’evidenza in cui l’idea di morte del corpo e insieme della felicità dell’uomo è più forte della volontà dell’uomo stesso, accettando cioè di seguire gli spiriti che sono venuti a prenderlo, il poeta esplicita questa sua speranza con l’uso della prima persona singolare all’ultimo verso, sottolineato anche dalla rima interna “verrò/riposerò”. Da notare anche l’evoluzione del significato del silenzio nella poesia: se all’inizio esso è accennato come fine posto dalla morte ai rumori del mondo quotidiano, alla fine esso è paragonato a un senso di quiete che l’uomo in questa vita non ha e che fa di tutto per ottenerlo nell’ombra della morte. Infine, da notare che il tema funebre, attorno a cui ruota questa poesia, è il principale tema delle poesie di Carducci e che il poeta ha composto questi distici tra il gennaio e il marzo 1881, periodo nel quale è morta la ragazza che lui amava, Carolina Piva, cantata da lui col nome di Lidia, e in cui si riscontra perciò un approfondimento e una maggiore presenza del tema funebre nelle sue poesie. Se, come ha notato il Benni, consideriamo quest’aspetto della poesia di Carducci, il tema di morte, notiamo la sua modernità e ne possiamo considerare questo componimento uno dei più alti esempi della poetica carducciana.

Analisi e commento di testo letterario in poesia

Carducci compose questa poesia tra il gennaio e il marzo del 1881, mesi che coincidono con la morte di Lidia.
La poesia, composta da cinque strofe di due versi ciascuna, può essere suddivisa in due parti. La prima (vv.1-6) è di carattere oggettivo e descrive il paesaggio che circonda il poeta e che lo accompagnerà nella riflessione di carattere soggettivo e autobiografico nella seconda parte della poesia (vv.7-10). Le parole utilizzate da Carducci fanno trasparire il suo stato d’animo e anticipano il tema principale delle ultime due strofe. La neve cade lenta sulla città priva di ogni suono e il cielo è cinereo; quest’ultima parola richiama fortemente la morte di cui la cenere è il simbolo. Il silenzio viene rappresentato in diversi modi ma pronunciato una sola volta al termine della poesia; inizialmente viene presentato come una negazione di suoni, le grida non si sentono più, manca il rumore del carro e non si sentono più canzoni d’amore, poi improvvisamente diviene un profondo sospiro che rende l’atmosfera ancor più pesante ed infine viene paragonato al mondo delle tenebre L’anafora del “non” sembra voler negare la vita per dar spazio alla morte, tema sempre presente in Carducci. La città descritta è dunque caratterizzata da un intensa atmosfera funebre in diretto contrasto con il v.4 che declama la felice gioventù. L’immagine delle ore che gemono sembra nascondere il rimpianto per il tempo che scorre e che porta velocemente il poeta alla morte. Il picchiettio degli uccelli alle finestre dai vetri appannati, immerso in questo triste scenario, ricorda il richiamo degli spiriti degli amici defunti. Questa immagine e l’utilizzo del pronome “me” enfatizzato dalla preposizione “a” segna il passaggio al momento autobiografico della poesia. Il poeta ora parla della propria persona e annuncia che presto raggiungerà gli spiriti che lo hanno chiamato. Tali parole sono condotte dalla consapevolezza di essere ormai giunto alla fine della propria vita e dalla recente morte di Carolina Piva, una delle sue amanti.
Il poeta per comunicare meglio le immagini e le sensazioni che esse suscitano utilizza diverse figure retoriche. Ad esempio per sottolineare la mancanza di suoni pone un enjambement tra i vv.1-2 e un chiasmo nel v.3; cerca di far emergere la parola cinereo attraverso un allitterazione e rende ancor più angosciosa l’attesa della morte attraverso la ripetizione al v.9.