NEVICATA METRICA DI Giosuè Carducci

NEVICATA METRICA DI Giosuè Carducci

Nevicata, da Odi Barbare


Lenta fiocca la neve pe ’l cielo cinerëo: gridi, suoni di vita piú non salgon da la città,

non d’erbaiola il grido o corrente rumore di carro, non d’amor la canzon ilare e di gioventú.

Da la torre di piazza roche per l’aere le ore gemon, come sospir d’un mondo lungi dal dí.

Picchiano uccelli raminghi a’ vetri appannati: gli amici spiriti reduci son, guardano e chiamano a me.

In breve, o cari, in breve – tu càlmati, indomito cuore – giú al silenzio verrò, ne l’ombra riposerò.


Metrica

Distici elegiaci “barbari”; l’esametro classico è sostituito da un settenario

(un  ottonario  al  v.  7)  e  un  novenario,  mentre  il  pentametro  da  un

settenario e un ottonario tronchi.

I versi non sono rimati.

Il poeta, per l’unica volta nella sua poesia “barbara”, sembra qui voler riprodurre gli accenti ritmici (e non quelli grammaticali) del modello classico.

Il ritmo è rallentato dagli enjambements (vv.1-2;5-6;7-8). Numerose le figure retoriche: anastrofe (v.1 e v.8); un chiasmo (v.3) e due anafore (vv. 3-4 e v.9), allitterazione della r al verso 5: roche per l’aere le ore.


Note

Pe ‘l= attraverso/per;

Cinerëo = il cielo ha un colore grigio simile a quello della cenere. Il ritmo appare rallentato, e la dieresi prolunga l’immagine dell’atmosfera fosca. Il clima è sospeso, la neve cade, non ci sono rumori non…non (anafora);

erbaiola = venditrice di erbe/verdure

d’erbaiola…carro = riferimento alla “ quiete dopo la tempesta” di Leopardi assunta però per contrasto a quanto in quella poesia appariva segno di rinnovata letizia;

corrente rumore di carro: ipallage (consiste nel riferire grammaticalmente una parte della frase a una parte diversa da quella a cui dovrebbe riferirsi semanticamente-> corrente va riferito a carro); ilare= lieta.

la torre di piazza: la torre del palazzo del comune di Bologna, in piazza

San Petronio;

le ore gemon = i rintocchi delle ore si spandono per l’aria con un suono attutito (roche) come gemendo (similitudine: i rintocchi dell’orologio sembrano i sospiri del tempo);

mondo lungi dal dì: un mondo fuori dal tempo.

Picchiano…a me:  il  picchiare  degli  uccelli  erranti  senza  meta  (raminghi)

contro i vetri appannati: si tramuta con un trapasso inatteso nel richiamo degli amici morti (topos: uccelli/amici morti), che ritornano (spiriti reduci) con il loro sguardo silenzioso, quasi un tacito invito a seguirle (chiamano a me), al quale il poeta risponde nel distico conclusivo. In breve = tra poco;

indomito:non rassegnato, che vuole ancora vivere., non accetta l’ineluttabilità della fine.

Tu calmati indomito cuore: cfr Foscolo, lotta del poeta con se stesso.


Commento

Breve componimento in distici elegiaci (come già Nella piazza di San Petronio) secondo le norme della metrica “barbara” carducciana, Nevicata reca in calce la data 29 gennaio 1881 (il poeta completa poi il componimento nel marzo dello stesso anno), radicandosi cioè in un periodo luttuoso per il poeta, che aveva da pochissimo perduto l’amata Carolina Cristofori Piva, trasfigurata in versi col nome latino di Lidia.

Del resto, il tema della morte e della sofferenza dell’abbandono attraversa tutta la poesia carducciana, diventando progressivamente uno dei Leitmotiv dell’invenzione letteraria, coniugandosi benissimo sia con la sensibilità tardo-romantica con cui Carducci descrive i paesaggi naturali sia con la sua tendenza a proiettare nostalgicamente nel passato i propri ricordi più felici.

La lirica è uno dei risultati più intensi della poesia di C., una sintesi equilibrata ed energica delle sue tendenze personali, una grande realizzazione espressiva, ricca di vibrazioni, suggestioni sentimentali e fantastiche, in un quadro compatto, senza incrinature e cadute di tono.

Lo scenario su cui si apre il componimento è quello di una fitta nevicata che ammanta la città di Bologna (alla cui identità geografica Carducci solo allude), contemplata dal poeta da una finestra del suo studiolo, secondo una spiccata inclinazione intimo-malinconica.

Prevalgono le impressioni foniche, dato che il cielo “cinerëo” stende una coltre uniforme (e quasi funebre) sul paesaggio urbano. Da qui, non giungono all’orecchio del poeta i “suoni” e i rumori consueti: né le grida, né il rumore di un carro che attraversi le vie, o (addirittura) una canzone sentimentale gioiosa e felice; anzi le stesse “ore” che risuonano dalle torre del Palazzo di San Petronio vengono deformate in una prospettiva straniante (vv. 5-6: “[…] roche per l’aëre le ore | gemon […]”), ed evocano (con un implicito passaggio di grado nella mente del poeta) “un mondo lungi dal dì”, e cioè già proiettato nelle ombre dell’oltretomba.

La seconda parte di Nevicata, lasciato ormai cadere quasi ogni appiglio alla realtà atmosferica concreta, sviluppa allora questa specie di proiezione allucinata: gli uccelli “raminghi” (ovvero sperduti ed esuli) che battono ai vetri della finestra evocano gli “spiriti reduci” degli amici già sottratti alla vita dalla morte; questi, come provvisoriamente ritornati sulla Terra, invitano pure il poeta a seguirli.

E l’ultimo distico, dove Carducci invita il cuore “indomito” a tacere, suona come una promessa che si realizzerà a breve: anche il poeta, di fronte al dolore della vita, accetterà il “silenzio” e “l’ombra”.

Stilisticamente, Nevicata ripresenta alcuna caratteristiche tipicamente carducciane: oltre al metro “barbaro”, il tocco “sfumato”e l’attenzione alla dimensione fonica, cui s’aggiungono la sintassi studiata (e spesso costruita sull’enjambement, come ai vv. 5-6 e 7-8) e il ricorso ad una

evidente simbolismo (la neve, gli uccelli, il cuore). Il tutto sottolineato ulteriormente dalla collocazione del testo nella raccolta delle Odi barbare in cui occupa il penultimo posto, prima del Congedo: una sorta di (ulteriore) addio alla vita.


Metrica

Distici elegiaci “barbari”; l’esametro classico è sostituito da un settenario

(un  ottonario  al  v.  7)  e  un  novenario,  mentre  il  pentametro  da  un

settenario e un ottonario tronchi.

I versi non sono rimati.

Il poeta, per l’unica volta nella sua poesia “barbara”, sembra qui voler riprodurre gli accenti ritmici (e non quelli grammaticali) del modello classico.

Il ritmo è rallentato dagli enjambements (vv.1-2;5-6;7-8). Numerose le figure retoriche: anastrofe (v.1 e v.8); un chiasmo (v.3) e due anafore (vv. 3-4 e v.9), allitterazione della r al verso 5: roche per l’aere le ore.