NELL ALDILA VIRGILIANO

NELL ALDILA VIRGILIANO


Virgilio inscena per Enea un viaggio in piena regola con tanto di guida illustre e strutturato su una geografia sotterranea piuttosto precisa che costituisce anche un punto di riferimento per l’aldilà dantesco. se si può rintracciare qualche particolare narrativo ripreso da Omero,come le cerimonie funebri i riti di seppellimento,espressioni di gioie e tormenti,ha però mutato in profondità lo spirito omerico manifestando una concezione ben più complessa e stratificata. Nell’Aldilà virgiliano compare una chiara distinzione tra la sorte oltremondana che spetta ai buoni e quella che attende le anime dei cattivi.I primi dimorano nei campi Elisi,gli altri debbono invece espiare nel Tartaro il male commesso,oppure,nel caso più favorevole,attendere il proprio turno di purificazione attraverso successive reincarnazioni.Virgilio ha quindi preso in considerazione l’insegnamento secolare dell’orfismo,il movimento filosofico religioso che risaliva al mitico cantore tracio Orfeo poneva l’accento sulla possibilità di ottenere una definitiva liberazione delle energie spirituali dell’uomo,fino alla partecipazione dell’anima alla natura stessa degli dei.

L’Eneide tende piuttosto a inserire la rappresentazione dell’Ade entro una vasta concezione storico-mitica che vuole anticipare e celebrare il futuro glorioso di Roma.E’ l’anima Augustea del poema virgiliano intimamente connessa alla sostanza psicologica del personaggio di Enea che proprio dalla rivelazione di Anchise trae le energie morali necessarie a superare le difficoltà che ancora lo frenano e lo attendono nella seconda parte del poema.La preconoscenza del futuro nell’Eneide serve a ripartire la vicenda dell’eroe i due parti simmetriche in una “prima”e in una “poi”.La sosta di Enea nell’Oltretomba è una tappa necessaria del suo viaggio che illumina di senso il significato complessivo del poema.

La novità fondamentale che il Cristianesimo addusse nella concezione dell’oltretomba riguarda l’estensione a tutto campo del concetto di virtù o di colpa morale e di conseguenza di premio o di castigo.la beatitudine celeste è un premio riservato a chi si è ben comportato in vita.ecco il metro di giudizio,senza distinzione di classe o censo.Anzi,secondo il messaggio dell’amore evangelico,la ricompensa del paradiso spetta più facilmente ai poveri piuttosto che ai ricchi,perché un povero ha in genere il cuore più disponibile all’amore.Rispetto alla tradizione classica nell’oltretomba cristiano si stabiliscono poi altre notevoli differenze:

 

  • la gioia e il tormento sono nell’Aldilà di natura spirituale e non anche,o solo,materiale;
  • esiste una zona intermedia, detta,”purgatorio” che si interpone tra la sede dei beati e la sede dei dannati e che funge da luogo di espiazione e purificazione preliminare alla gloria paradisiaca;
  • la sede dei beati non è più posta sotto terra(campi Elisi) ma nel cielo(il paradiso);qui la beatitudine è completa, appagante,in quanto coincide con la conquista di una dimensione divina:non c’è più dunque quel clima di nostalgico rimpianto per la vita terrena che continua a circolare nei campi Elisi virgiliani;
  • nessun rito magico può mettere in contatto i vivi con il mondo dei morti;
  • è tuttavia possibile ai vivi pregare per i defunti e viceversa i beati possono intercedere per i vivi i virtù del fenomeno detto della “comunione dei santi”.

La sintesi più completa di questi elementi si avrà nella Commedia dantesca.La rappresentazione dell’oltretomba fornita da Dante non rifiuta ma semmai ricomprende in una sintesi nuova l’eredità classica.In particolare viene recuperato Virgilio che nella Commedia diviene protagonista perfino a livello narrativo.Il poeta latino che personifica la massima perfezione naturale raggiungibile dalle sole forze umane,miracolosamente appare al pellegrino dante nel momento più difficile del suo”smarrimento nella selva oscura”;di là gradualmente lo trae con le parole e con l’esempio,guidandolo fino alle soglie del paradiso terrestre.

Ma oltre a tale Virgilio viator,compagno di viaggio di Dante per i primi due regni dell’Aldilà,conta naturalmente anche il Virgilio auctor,modello di”bello stile”e fonte inesauribile di materiali poetici.Soprattutto nell’inferno,in specie nei primi canti,risulta evidente la gran quantità di spunti e derivazioni dall’Eneide.Così l’episodio virgiliano di Polidoro è ripreso da Dante per connotare l’emozionante incontro del pellegrino con le piante parlanti della selva dei suicidi,nel cantoXIII dell’inferno.E si pensi al ramo d’oro che Enea nel libroVI strappava nella selva e che prodigiosamente subito ricresceva sulla sua pianta.nel purgatorio esso diventa il giunco necessario al rito di purificazione morale che attende il pellegrino,ramo anch’esso capace di ricrescere miracolosamente nel punto in cui era stato spezzato.

Il poeta fiorentino attinge a più larghe mani all’Eneide soprattutto nella prima cantica,nel momento del più necessario apprendistato poetico.Da Virgilio riprende,per esempio,i mostri della tradizione classica,da Caronte(canto III)a Minasse(canto V) a Cerbero(canto VI).In particolare dante prende in prestito dal poema virgiliano la figura di caronte,il nocchiero che sia nell’Eneide sia nell’Inferno ha il compito di traghettare le anime al di là del fiume Acheronte.Questa figura di Caronte non è un calco omerico,Virgilio l’ha ripresa dalla tradizione popolare del Charun effigiato sulle tombe etrusche, una sorta di demone della morte.Ma le differenze tra il Caronte dantesco e quello virgiliano risultano piuttosto evidenti.Virgilio descrive il personaggio soffermandosi attentamente su tutti i particolari;Dante invece seleziona alcuni tratti e su quelli si concentra, con un maggiore sforzo di sintesi espressiva.

Per esempio Virgilio dice plurima mento/canities inculta iacet(una lunga,incolta canizie,gli scende dal mento);Dante suddivide l’annotazione in due luoghi(“bianco per antico pelo”al verso83 e “lanose gote” al verso 97)il primo più generico,perché la visione del nocchiero infernale è ancora lontana,il secondo più preciso,perché l’osservazione si fa ora ravvicinata.E ciò che in Virgilio era un dettaglio aggiunto agli altri(stant lumina flamma”sbarrati sono gli occhi di fiamma”),in Dante si sdoppia un’altra volta,ma caricandosi di maggiore espressività:la barca è ormai giunta sulla riva e la descrizione quindi può completarsi con un particolare(”’ntorno a li occhi avea di fiamme rote”,v.99)in sé mostruoso e che sarà replicato al verso 109 8”con occhi di bragia”);fiamme e brace erano presenze obbligate nella concezione popolare dell’inferno medievale.

Siamo cioè di fonte a una riscrittura del modello che diviene emulazione e anche adattamento a un mutato contesto ideologico.Il Caronte dantesco è un ministro,sia pure infernale,della giustizia di Dio;deve perciò esprimere una superiore dignità(“per antico pelo”)rispetto all’antecedente virgiliano,ove si parla invece di cruda….senectus,ovvero di una vecchiaia ancora giovane,mobilmente

nervosa.Dante vuol dare l’idea di una presenza soprannaturale,più che animalesca:perciò la barca(ratem) dell’Eneide è divenuta una “nave”(v.82),e perciò egli ignora il lurido particolare del sordidus amictus,il “sordido mantello” che “dalle spalle gli pende annodato” e insiste invece sul dialogo tra Caronte e la guida Virgilio(nell’Eneide la Sibilla non interveniva affatto).Riducendo al silenzio l’antagonista,il “duca”di Dante sottolinea la presenza di una volontà superiore che guida il viaggio nell’oltretomba del pellegrino e alla quale anche il mondo infernale deve obbedire.

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