NASCITA DEL II REICH TEDESCO 1871

NASCITA DEL II REICH TEDESCO 1871

NASCITA DEL II REICH TEDESCO 1871

Bismarck (1815-98) fu un esponente della classe degli junker (= latifondisti prussiani).
Di idee conservatrici, già nel 1849, di fronte ai moti liberali, egli aveva condiviso il rifiuto del re di accettare la corona del nascente nuovo Stato federale, offerta a Federico Guglielmo IV da parte del parlamento di Francoforte.
Nel settembre 1862 fu chiamato dal re Guglielmo I, asceso al trono nel 1861, al compito di Cancelliere (= capo del governo), per guidare la lotta contro il parlamento liberale (nel senso che in esso prevalevano le forze liberali), che in quel momento si opponeva al progetto di riforma dell’esercito proposto da un ministro del precedente governo.
Bismarck risolse la crisi istituzionale del 1862 ponendosi come mediatore tra gli interessi dell’aristocrazia militarista e latifondista da un lato e gli interessi della nascente borghesia capitalistico-industriale dall’altro.
Egli, che aveva già in mente di avviare l’unificazione politica tedesca, fece capire alla titubante borghesia quali notevoli vantaggi economici sarebbero derivati dal raggiungimento dell’unità politica della Germania (ad esempio le commesse statali, l’allargamento del mercato interno e la conquista di nuovi mercati).
Furono queste le premesse dell’unificazione nazionale tedesca intorno alla Prussia. Nel 1864 fu compiuto il primo passo: l’aggressione, da parte di Prussia e Austria, della Danimarca, che possedeva dal 1815 (Congresso di Vienna) i ducati di Schleswig e Holstein a maggioranza etnica tedesca.
Sconfitta facilmente la Danimarca, Prussia e Austria si scontrarono circa l’assetto da dare a questi ducati: mentre la Prussia voleva annetterli direttamente, anche per il loro valore strategico dovuto alla posizione chiave tra il Mar Baltico e il Mare del Nord, l’Austria invece, che non poteva annettersi territori così lontani, proponeva che essi formassero un altro Stato da inserire nella Confederazione germanica, nata nel Congresso di Vienna.
Si giunse così ad un compromesso provvisorio nel 1865, in base al quale l’Austria ottenne l’amministrazione dell’Holstein e la Prussia quella dello Schleswig, ma ormai il Bismarck pensava già a come liquidare la stessa Austria, tanto è vero che propose l’elezione a suffragio universale di un parlamento che avrebbe dovuto ridefinire la struttura della Confederazione germanica: l’Austria rifiutò decisamente in quanto ciò avrebbe significato un ridimensionamento del proprio ruolo. Pertanto la guerra contro l’Austria si presentava per certi aspetti inevitabile per costruire il Reich tedesco.
Tale guerra fu preparata tramite accordi diplomatici con Napoleone III e fu provocata dall’invasione dell’Holstein da parte delle truppe prussiane. Iniziata il 14 giugno del 1866, la guerra terminò il 26 luglio: alleata della Prussia, contro l’Austria, era l’Italia (questa fu la Terza guerra di indipendenza italiana, 1866)
L’esercito prussiano, guidato dal generale Von Moltke, dimostrò una schiacciante superiorità: decisiva fu la vittoria prussiana a Sadowa, in Boemia (3 luglio). Con la Pace di Praga del 1866, la Prussia conseguì tutti i suoi obiettivi: Schleswig ed Holstein furono annessi alla Prussia; la Confederazione germanica fu sciolta; altri Stati tedeschi, che avevano sostenuto l’Austria durante la guerra (come l’Hannover, l’Assia-Cassel, il ducato di Nassau e Francoforte sul Meno), furono egualmente annessi alla Prussia.
I rimanenti Stati tedeschi a nord del Meno costituirono, nel 1867, una Confederazione del Nord, sotto la presidenza del re di Prussia, che divenne il primo nucleo del nascente Stato federale nazionale tedesco.
Gli altri Stati tedeschi del sud, per il veto di Napoleone, rimasero formalmente indipendenti rispetto alla Prussia, ma ciò non impedì loro di concludere un patto militare con essa, in base al quale i loro eserciti sarebbero stati integrati nelle forze prussiane in caso di guerra.
In realtà, dopo il 1866, tutta la borghesia tedesca, anche quella più liberale e quella degli Stati meridionali, accettò il programma bismarckiano di unificazione politica nazionale, in cui vedeva ormai l’unica possibilità di difesa e di tutela dei propri interessi economici e sociali.
Vinta la guerra, Bismarck cercò di non umiliare l’Austria, a cui non strappò altri territori tranne il Veneto (ceduto all’Italia).
La vittoria prussiana aveva però notevolmente allarmato la Francia di Napoleone III: la Prussia era ormai una grande potenza politica, militare ed anche economica, visto che proprio in quegli anni stava avvenendo un travolgente sviluppo del sistema industriale e finanziario degli Stati tedeschi. Napoleone III cercò di compensare l’espansionismo prussiano chiedendo di poter annettere il ducato del Lussemburgo (che dipendeva dalla Corona d’Olanda) ed il Belgio, ma si trovò di fronte alla netta opposizione della Prussia.
Da parte sua quest’ultima riteneva fosse giunto ormai il momento di regolare i conti con la Francia, per una serie di ragioni:
1) di natura politica (conseguire una vittoria prestigiosa ed umiliare la Francia);
2) di natura territoriale (annettere l’Alsazia-Lorena);
3) di natura economica (le miniere di ferro e carbone dell’Alsazia–Lorena e i prestiti che la finanza francese aveva concesso allo Stato prussiano, prestiti che non sarebbero stati restituiti in caso di una vittoria militare sulla Francia).
Si creò pertanto una forte tensione nei rapporti tra Prussia e Francia, tensione alimentata dai circoli militaristi e nazionalistici dei rispettivi paesi.
Questa tensione esplose con la crisi dinastica avvenuta in Spagna nel 1868: qui una rivoluzione aveva portato alla fine del regno di Isabella II di Borbone.
Il governo spagnolo aveva offerto il trono al principe Leopoldo di Hohenzollern, parente dell’Imperatore di Prussia Guglielmo I: temendo l’accerchiamento, Napoleone III si oppose strenuamente a questa ipotesi, tanto da indurre la Spagna a ritirare questa candidatura.
Non pago di ciò, Napoleone III inviò il suo ambasciatore da Guglielmo I, affinché la Prussia si impegnasse ufficialmente a non appoggiare mai più in avvenire tale candidatura: l’incontro avvenne nella stazione termale di Ems in Renania.
Il Kaiser confermò il ritiro della candidatura di Leopoldo ma rifiutò cortesemente di dare quella garanzia richiesta dalla Francia, quindi informò Bismarck con un dispaccio (il Dispaccio di Ems). Il Cancelliere approfittò dell’occasione per umiliare la Francia, diffondendo un comunicato stampa in cui si diceva che l’ambasciatore francese era stato messo alla porta.
L’episodio scatenò una forte reazione nazionalistica in Francia, la quale dichiarò guerra alla Prussia il 19 luglio 1870.
Le superiori armate prussiane sconfissero Napoleone prima a Metz poi a Sedan (settembre 1870). Quest’ultima disastrosa sconfitta determinò la caduta di Napoleone III e la fine del suo impero.
Il 4 settembre a Parigi venne proclamata la nascita della repubblica, la terza nella storia francese, e fu organizzata la resistenza contro le armate prussiane.
Ma nel gennaio 1871 la Francia dovette arrendersi.
L’esito di questa guerra fu la nascita del II Reich tedesco (il primo era stato quello di Ottone I di Sassonia): il re di Prussia fu proclamato imperatore di Germania con una solenne cerimonia svoltasi a Versailles il 18 gennaio 1871.
Tutti i sovrani degli Stati tedeschi, anche di quelli meridionali, riconobbero il re di Prussia come imperatore. Il nuovo Impero tedesco nasceva come una federazione di 25 Stati, che conservarono i loro monarchi tradizionali, i loro parlamenti, la loro autonomia amministrativa.
La Costituzione del nuovo Stato federale prevedeva però che la politica estera, finanziaria e doganale, le grandi scelte di politica economica e di politica interna, l’organizzazione dell’esercito, fossero concentrate nelle mani di un governo centrale nazionale, retto da un Cancelliere. Questo governo federale però non era l’espressione di una maggioranza parlamentare, ma solo l’emanazione della volontà del Kaiser (imperatore): il governo cioè era nominato direttamente dal Kaiser ed era responsabile solo di fronte ad esso; il parlamento non poteva sfiduciare il governo, quindi quest’ultimo poteva esercitare le proprie funzioni anche senza avere una maggioranza parlamentare. Solo il Kaiser poteva far cadere il governo.
Si trattava quindi di uno Stato federale costituzionale ma non parlamentare.
Il parlamento, che esercitava il potere legislativo, era formato da due camere, il Reichstag, eletto ogni 5 anni, ed il Bundesrat, non elettivo e composto da notabili nominati dai governi dei 25 Stati federali, con una forte predominanza dei rappresentanti nominati direttamente dal Kaiser. Le leggi approvate dal Reichstag non diventavano esecutive se non erano approvate anche dal Bundesrat. Il II Reich era dunque uno Stato costituzionale connotato in senso autoritario.

LA COMUNE PARIGINA DEL 1871

La grave sconfitta militare della Francia fece esplodere la rivolta del proletariato parigino: nel marzo del 1871 il governo Thiers, che aveva dovuto accettare le dure condizioni di pace imposte dalla Prussia, tra cui il pagamento di una ingente indennità di guerra e una parata trionfale delle truppe tedesche nella capitale francese, prese alcuni provvedimenti politici ed economici impopolari, che esasperarono gli animi dei parigini e scatenarono la rivolta armata.
Mentre i rappresentanti del potere e del governo abbandonarono Parigi e si rifugiarono a Versailles, nella capitale il potere venne preso dalla Guardia Nazionale per conto e in nome del popolo: nacque così, il 18 marzo del 1871, la Comune di Parigi.
Il governo della Guardia Nazionale prese subito importanti decisioni: interdizione di Parigi all’esercito regolare, soppressione dei tribunali militari, liberazione dei detenuti politici, restituzione alla stampa di una completa libertà di espressione, moratoria dei fitti e dei debiti, sospensione degli sfratti, riconsegna dei beni pignorati ai loro proprietari.
Il nuovo potere conquistò così non solo il consenso della classe proletaria ma anche del numeroso ceto medio parigino.
Il governo Thiers intanto preparava a Versailles il piano della repressione, fingendo di voler trattare con il governo popolare.
A fine marzo a Parigi venne eletta a suffragio universale un’Assemblea, formata da novanta deputati-amministratori, che concentrò nelle sue mani tutto il potere (esecutivo e legislativo): in essa dominavano i seguaci di Proudhon e di Blanqui.
Per garantire la sua piena responsabilità di fronte al popolo che l’aveva eletta, l’Assemblea stabilì che ogni suo membro potesse essere in qualsiasi momento revocato e sostituito dai suoi elettori e deliberò che la retribuzione di ogni deputato fosse uguale al salario percepito dagli operai.
Tra la fine di aprile e i primi di maggio il governo di Versailles passò alla controffensiva, sostenuto anche dagli aiuti militari (rifornimento di potenti artiglierie) della Prussia.
Tra forti contrasti interni alle diverse fazioni politiche e violente battaglie per la difesa di Parigi, si consumò la tragedia della Comune: l’esercito governativo, presa la capitale, si abbandonò ad una repressione spaventosa, attuando fucilazioni di massa e massacrando chiunque fosse ritenuto simpatizzante della Comune.
La breve e drammatica esperienza della Comune parigina del 1871 è stata considerata dagli storici come il primo “esperimento” che si sia mai verificato di organizzazione di un potere politico socialista, o comunque ispirato alle teorie socialiste.

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