MOTI DEL 1820 1821

MOTI DEL 1820 1821

MOTI DEL 1820 1821


Moti del 1820-1821 Ciclo di rivolte di carattere antiassolutistico e liberalcostituzionale che investirono la Spagna, il Portogallo, il Regno delle Due Sicilie e il Regno di Sardegna e di cui furono protagonisti perlopiù ufficiali di formazione napoleonica e patrioti liberali organizzati nelle società segrete.

Le premesse

All’origine del breve ciclo rivoluzionario di dimensioni europee del biennio 1820-21, si ritrova innanzitutto il malessere diffuso nei quadri intermedi dell’esercito, nell’amministrazione statale e nei ceti di professionisti, ossia in quei settori che dall’esperienza napoleonica avevano ricavato prestigio sociale e che registravano con disagio il ripiegamento conservatore promosso dalla politica legittimista della Restaurazione. Anche dalla cultura di stampo democratico, nazionale e anticentralistico, che già si era manifestata come opposizione al regime napoleonico soprattutto in Spagna, si generarono sentimenti e idee rivoluzionarie. Si deve infine considerare che nei moti del 1820-21 il principio di “nazione” fu portato per la prima volta alla prova dei fatti, come critica dell’assolutismo restaurato in Italia e in Spagna e come aspirazione ideologica di ben più ampia dimensione geografica, destinata a destituire di legittimità i governi stranieri e a proporre l’unificazione statale di popoli e territori racchiusi nei confini delle nazioni. In Spagna una specifica ragione di crisi per la monarchia fu costituita dalla rivolte delle colonie dell’America latina (vedi Guerre d’indipendenza latinoamericane).

Le insurrezioni

Il 1° gennaio 1820 a Cadice le truppe spagnole del corpo di spedizione che doveva salpare per l’America si ammutinarono sotto il comando del colonnello Rafael Riego, membro della società segreta dei Comuneros. Seguirono altre insurrezioni nell’esercito e nelle principali città: politici e ufficiali in rivolta costrinsero il re Ferdinando VII a ripristinare la Costituzione del 1812 di impronta liberale e a indire le elezioni per ricostituire le Cortes (parlamento). Fu l’inizio di un governo di carattere liberaldemocratico, al quale il sovrano aderì perché costretto dalle circostanze.

Dopo la Spagna furono i democratici di Napoli a ribellarsi al sovrano, per iniziativa di due giovani ufficiali carbonari, Michele Morelli e Giuseppe Silvati, che avevano avuto l’adesione di generali ex murattiani, come Guglielmo Pepe: il 1° luglio da Nola marciarono su Napoli alla testa dei loro reggimenti di cavalleria, costringendo il re Ferdinando I ad accettare una Costituzione simile a quella spagnola e a convocare le elezioni per il parlamento. In agosto conseguì un esito analogo la ribellione scaturita in Portogallo.

Il successo della rivoluzione napoletana suscitò speranze nei liberali italiani e diede impulso alle società segrete. Nel Regno Lombardo-Veneto furono attivi un gruppo di patrioti organizzati nella Carboneria e in altre associazioni ad essa collegate, come la Federazione italiana, e raccolti intorno al giornale “Il Conciliatore”: tra essi il conte Federico Confalonieri, Silvio Pellico e Piero Maroncelli sostennero la causa dell’indipendenza e aderirono alle istanze dei rivoluzionari napoletani, suscitando una dura repressione da parte della polizia austriaca.

Mentre la rivoluzione napoletana si stava spegnendo, la ribellione scoppiò in Piemonte per iniziativa di un gruppo di membri delle alte sfere dell’esercito e degli ambienti di corte. I ribelli speravano di convincere il re a concedere una Costituzione sull’esempio spagnolo e, soprattutto, a muovere guerra all’Austria, per sottrarle la Lombardia e dare vita a un regno sabaudo dell’Alta Italia. Si attendevano l’appoggio del principe Carlo Alberto, esponente di un ramo cadetto dei Savoia-Carignano. La rivolta scoppiò con l’ammutinamento della guarnigione di Alessandria nella notte tra il 9 e il 10 marzo 1821, e il 12 raggiunse Torino, dove venne proclamata la Costituzione. La risposta di Vittorio Emanuele I sconvolse i piani degli insorti, guidati da Santorre di Santarosa: il sovrano abdicò a favore del fratello Carlo Felice, temporaneamente assente, e nominò reggente Carlo Alberto; questi, incerto sul da farsi, concesse la Costituzione spagnola sotto la pressione dei rivoltosi, riservandosi però di farla approvare dal re. Ma l’esercito costituzionale venne battuto a Novara l’8 aprile dalle forze piemontesi fedeli al re appoggiate da truppe austriache.

La repressione

Sia in Spagna sia nel Regno delle Due Sicilie la rivoluzione fu contrastata dai sovrani, che si rivolsero alle potenze della Santa Alleanza, riunite in congresso a Lubiana, perché intervenissero a ripristinare l’assolutismo. Nel febbraio del 1821 un esercito austriaco scese nel Sud d’Italia e travolse le truppe fedeli alla Costituzione, scarse di numero e male armate. In Spagna l’assolutismo fu restaurato nel 1823 con l’intervento dell’esercito francese, deciso dal congresso della Santa Alleanza tenutosi a Verona l’anno precedente.

In Italia il fallimento dei moti insurrezionali fu seguito da una serie di pesanti condanne contro i ribelli, alle quali molti patrioti si sottrassero esulando all’estero. Morelli e Silvati vennero giustiziati, Pepe riparò fuori dal regno, come fece il piemontese Santarosa, che dall’esilio a Parigi raggiungerà la Grecia per unirsi alla rivolta nazionale contro i turchi (vedi Guerra d’indipendenza greca); il capo dei Federati lombardi Federico Confalonieri, Silvio Pellico e Piero Maroncelli furono condannati a severe pene detentive, che scontarono nel famigerato carcere dello Spielberg, in Moravia.


Moti del 1831

Fermenti rivoluzionari di carattere nazionale e costituzionale che si manifestarono in alcuni stati dell’Italia centro-settentrionale e rivolta nazionale della Polonia, scoppiata nel gennaio del 1831 con la proclamazione dell’indipendenza.
Sia i patrioti italiani sia quelli polacchi agirono sull’onda del successo della rivoluzione di luglio del 1830 in Francia, sperando in un intervento a loro favore da parte del re Luigi Filippo d’Orléans, la cui politica sembrava minare la solidità della Santa Alleanza. Tuttavia il sovrano francese, nel timore di una crisi generale degli equilibri europei, provvide a fornire ampie rassicurazioni alle grandi potenze in merito al suo rifiuto di sostenere i moti. La Russia poté quindi intraprendere una sanguinosa repressione contro gli insorti polacchi che, iniziata in febbraio, si concluse in settembre con la caduta di Varsavia. Ne conseguì un’ulteriore riduzione della già limitata autonomia concessa alla nazione polacca. Fu quello l’inizio di un flusso di profughi politici che sarebbero stati presenti sulla scena delle rivoluzioni del 1848.
In Italia il fermento liberale si fece sentire in manifestazioni studentesche, che inneggiarono alla libertà della Francia. A Roma si intensificarono gli incontri clandestini tra Luigi Napoleone Bonaparte (il futuro Napoleone III) e i capi della Carboneria. Il fulcro delle trame fu Modena, dove il patriota Ciro Menotti assunse la direzione dell’iniziativa rivoluzionaria, cercando di coinvolgere il duca Francesco IV, apparentemente favorevole a candidarsi al governo di un Regno dell’Alta Italia libero dall’egemonia austriaca.
Nel febbraio del 1831 in diverse città dello Stato Pontificio (Bologna, Reggio, Imola, Faenza, Ancona, Ferrara) e a Parma venne innalzata la bandiera tricolore e dichiarato un governo provvisorio. Inoltre fu organizzato un corpo di milizia volontaria che avrebbe dovuto marciare su Roma per togliere al papa il potere temporale. A Modena l’insurrezione costrinse il duca a fuggire, portando con sé Menotti prigioniero. Fallì invece un tentativo insurrezionale a Roma. Sollecitata dal papa Gregorio XVI e non impedita dalla Francia, alla fine di marzo una spedizione austriaca entrò nelle città ribelli, sconfiggendo le forze insurrezionali e assicurando la restaurazione dell’ordine precedente. A Modena furono comminate diverse condanne a morte, tra cui quella di Menotti. Gregorio XVI fece infliggere severe pene detentive agli insorti emiliani e romagnoli, molti dei quali andarono in esilio contribuendo a rafforzare il flusso ormai consistente dell’emigrazione politica italiana.
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