MERIGGIO DI GABRIELE D’ANNUNZIO PARAFRASI

MERIGGIO DI GABRIELE D’ANNUNZIO PARAFRASI

MERIGGIO DI GABRIELE D’ANNUNZIO PARAFRASI
GABRIELE D’ANNUNZIO


PARAFRASI

Verso il mezzogiorno sul Mar del Tirreno, pallido e di un color verde, come gli oggetti di bronzo disseppelliti dalle tombe etrusche,grava la bonaccia. Non si sente un minimo di vento sull’atmosfera. Non dà segni di movimento la canna solitaria sulla spiaggia, di piante selvatiche e di ginepri bruciati dal sole. Se insisto ad ascoltare non sento alcun suono. La fila di navi bianche sta ferma verso Livorno. Nel chiaro silenzio vedo le isole del Faro, di fronte alla costa Toscana e ancor più lontano, appaiono come forme d’aria, isole da te tanto odiate, o Dante, la tua Capraia e la Gorgogna.
Sono alla vista le Alpi Apuane come un insieme di grande montagne dalle quali si estrae il marmo, che regnano orgogliosamente.
Come uno stagno salato del colore del mare è la foce, in mezzo alle capanne, dentro le reti che prendono dagli staggi che formano una croce. Come il bronzo delle tombe, è verde pallido e in pace sorrido, quasi come le acque del fiume Lete, portatore di calma, non evidenzia segno di corrente o piega d’aria. I due fiumi tendono a chiudersi come in un cerchio di canne che circoscrive con una totale dimenticanza silenziosa, e le canne tacciono. Formano un cupo recinto i boschi scuri di san Rossore , ma quelli lontani verso il gombo e verso il Serchio sono quelli più azzurri. I monti Pisani sono coperti dalla nebbia, dal colore e dappertutto c’è silenzio.
Ormai l’estate sta diventando matura sulla mia testa come un frutto che mi è stato promesso , colto con la mia mano e che succhio con le mie labbra. Ogni traccia d’uomo è perduta. Se tendo ad ascoltare, non c’è voce. Ogni dolore umano mi abbandona. Non ho più nome, e che la mia barba brilla come la paglia marina; sento che il lido rigato con il leggero lavoro dell’onda e dal vento è come il mio palato, è come il cavo della mia mano dove tutti si affinano.
E la mia forza si dispiega nell’arena, diffondendosi nel mare, il fiume è la mia vena, il monte la mia fonte, la selvaggina il mio pube, le nubi il mio sudore. E io sono nel fiore della stiancia, nella scaglia del pino, nella barca del ginepro: io sono nel fuco, nella paglia marina, in ogni esigente, immateriale, nella sabbia continua, nelle vette lontane. Bruco e risplendo. Non ho più nome. Le alpi, le isole, i golfi, i capi, i fari, i boschi, le foci non hanno più il loro nome che viene pronunciato dalle labbra umane. Non ho più nome ne destino tra gli uomini; ma il mio nome è pomeriggio. In tutto io vivo, silenzioso come la morte. E la mia vita è divina.


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