MERIGGIARE PALLIDO E ASSORTO FIGURE RETORICHE

MERIGGIARE PALLIDO E ASSORTO FIGURE RETORICHE

DI EUGENIO MONTALE


-Figure retoriche

Allitterazioni: della “r” ” pResso “; ” tRa i pRuni “; “meRli”; “fRusci”; “cRepi”; “intRecciano”; “fRondi”; “scRicchi”; “spiaR le file di Rosse foRmiche/ ch’oRa si Rompono ed oRa si intRecciano”; del gruppo “tr”: “menTRe”; “TRemuli”; “TRiste”, “Travaglio; della “c”:”sCriCChi di CiCale dai Calvi piCChi”;
Onomatopee: “schiocchi” (v. 4); “fruscii” (v. 4); “scricchi” (v. 11);
Iperbato: “com’è tutta la vita e il suo travaglio / in questo seguitare una muraglia” (vv. 15-16);
Sinestesie: “palpitare / lontano di scaglie di mare” (vv. 9-10);
Analogia: “si levano tremuli scricchi / di cicale dai calvi picchi” (vv. 11-12: picchi paragonati a teste calve);
Enjambements: “palpitare / lontano di scaglie di mare” (vv. 9-10); “scricchi / di cicale” (vv. 10-11);
Climax: “crepe del suolo” (v. 5) – “minuscole biche” (v. 8 ) – “calvi picchi” (v. 12) – muraglia (v. 14).


COMMENTO MERIGGIARE PALLIDO E ASSORTO

Ossi di seppia è la prima raccolta in versi di Montale: essa appare molto originale, poiché riesce a rielaborare profondamente la tradizione. Si può considerare, in un certo senso, il rovesciamento dell’Alcyone dannunziano, poiché anche quello di Montale è il diario di un’estate, ma dominato dal tema del “male di vivere”. Il titolo allude agli scheletri delle seppie e agli inutili scarti che galleggiano e sono trascinati a riva dalla corrente, perché “rifiutati” dal mare, che, peraltro, è il principale protagonista della raccolta.

Meriggiare pallido e assorto, una delle prime poesie a essere state composte, probabilmente nel 1916, all’interno della raccolta ha il valore emblematico di introdurre il tema-chiave dell’estate infiammata che rende tutto arido e secco. Il meriggio di una calda e assolata giornata estiva è un momento di immobilità e sospensione: per effetto della calura e della luce accecante, la vita è quasi ferma, tutto si muove molto lentamente e a fatica. Il paesaggio ligure delle Cinque Terre, arido e scarno, è quello tipico di tutta la raccolta: nonostante i numerosi echi verbali di D’Annunzio, siamo lontanissimi dal panismo. Anche D’Annunzio, infatti, aveva dedicato una poesia al “meriggio”, ma lì il caldo sole pomeridiano costituiva un tramite privilegiato per raggiungere l’estasi panica, tant’è che il poeta arrivava a dire “il mio nome è meriggio”; qui, invece, il sole è una luce fortissima e abbagliante, che, però, non permette di vedere nulla.

Infatti, l’aridità della natura è l’emblema di una condizione esistenziale di prigionia, solitudine e abbandono, di assenza di ogni slancio vitale. Il poeta si vede costretto ad accettare la triste e limitata condizione umana: l’uomo è simile alle formiche rosse che si muovono incessantemente senza meta. Il paesaggio è chiuso, non comunica con l’uomo e non è fatto per l’uomo, è solo un tramite verso qualcosa di indefinito, che dovrebbe essere in grado di rompere la monotonia della vita quotidiana, tuttavia rimane sempre misterioso e insondabile, incapace di offrire risposte soddisfacenti: il travaglio della vita resta, in definitiva, indecifrabile (l’uso del verbo “spiar” al v. 6, ad esempio, indica la ricerca di un segreto). La verità, l’essenza metafisica delle cose, rappresentata oggettivamente dalle “scaglie di mare”, si colloca al di là dell’ostacolo, della “muraglia” (emblema della limitatezza della condizione umana) sovrastata dai “cocci aguzzi di bottiglia” (emblemi dei dolori e delle sofferenze della vita). La muraglia simboleggia la dimensione meramente contingente: ciò significa che la parola poetica non è in grado di raggiungere la dimensione metafisica, di cui gli oggetti descritti in modo realistico costituiscono il cosiddetto “correlativo oggettivo”, anche se continua incessantemente a cercarla. Vi sono evidenti corrispondenze tra la descrizione realistica delle prime strofe e quella metaforica dell’ultima: la “muraglia” del penultimo verso riprende il “rovente muro d’orto” del secondo, in posizione quasi simmetrica, i “cocci aguzzi di bottiglia” (v. 17) sono i “pruni” (v. 3) spinosi.

L’uso dei verbi all’infinito (“meriggiare”, v. 1; “ascoltare”, v. 3; “spiar”, v. 6; “osservare”, v. 9; “sentire”, v. 14), interrotto soltanto da un gerundio (“andando”, v. 13), accentua la sensazione di una continuità informe e conferisce alla poesia una valenza universale e non personale: anche il poeta non partecipa alla scena che sta descrivendo, sembra quasi scomparire e diventare anche lui un’entità indeterminata.

Molte sono le suggestioni di poeti precedenti, profondamente rielaborate. Oltre al già citato D’Annunzio, il Dante dell’Inferno o delle rime petrose “aspre e chiocce” ha molto influenzato soprattutto il primo Montale; invece, la costruzione fonica e la precisione quasi scientifica nel descrivere realisticamente gli oggetti riconducono a Pascoli, ma è interamente scomparsa la felice “meraviglia” del fanciullino, ora “triste” (v. 14). Un’altra chiara reminiscenza letteraria è quella leopardiana: il “muro d’orto” del v. 2 ricorda la siepe dell’Infinito (l’orto richiama anche il giardino del male descritto nello Zibaldone), ma qui è un ostacolo che impedisce anche il piacere dell’immaginazione, che preclude lo “sguardo” verso ogni possibilità di salvezza e verso ogni speranza. Rispetto a Leopardi, Montale rinuncia alla protesta, alla ribellione, rimane in una condizione di perplessità, di disorientamento e di impotenza.


PARAFRASI MERIGGIARE PALLIDO E ASSORTO

Trascorrere le ore del pomeriggio, assorto e pallido a causa della luce accecante e della calura, presso il muro rovente di un orto, a sentire tra le spine degli arbusti e i rami secchi i rumori improvvisi prodotti dai merli e dalle serpi. Spiare le file di formiche rosse nelle crepe del terreno o sulle pianticelle erbacee, file che si dividono e si intrecciano sulla sommità di mucchietti di terra accanto ai formicai.
Osservare tra le fronde il mare che, illuminato dal sole, sembra fatto di scaglie luccicanti come squame di pesci, mentre dalla sommità delle alture desolate si leva il frinire delle cicale, simile a uno scricchiolio.E andando verso il sole che abbaglia, capire con triste stupore com’è tormentata la vita, come il cammino lungo una muraglia invalicabile, a causa dei cocci aguzzi di bottiglia.