MEDEA E GIASONE

MEDEA E GIASONE


L’unico personaggio che è mosso da autentico interesse è Medea. La passione amorosa che Eros le ha instillato nel cuore, infatti, la porta ad aiutare Giasone in maniera del tutto disinteressata, spinta dal suo incondizionato amore. Medea è l’unico personaggio che ha un vero e proprio cammino di crescita personale, che la porta a passare da fanciulla ancora ignara della vita a donna, per poi diventare la vendicativa Medea di cui narrano Euripide e molti altri. La sua prima metamorfosi si attua durante la notte che lei passa insonne, combattuta tra il suo pudore di vergine e l’amore che prova. La seconda metamorfosi si ha quando ella attira in una trappola il fratello Apsirto, facendolo uccidere da Giasone e venendo sporcata dal sangue, metaforica “macchia” sul velo bianco della sua precedente innocenza.


GIASONE

Giasone, protagonista delle Argonautiche di Apollonio Rodio, si presenta nel poema come un tipico anti-eroe, un inetto: si mostra inadeguato all’impresa, insicuro, debole, investito di un ruolo che non vuole e per il quale non si sente tagliato. Per la prima volta nel mondo epico, dominato da figure di eroi forti, paradigmatici, che mostrano come l’uomo dovrebbe essere, emerge un personaggio nuovo, un eroe che mostra in prima persona come l’uomo sia in realtà. Nell’opera di Apollonio Rodio domina un forte pessimismo di fondo, dovuto all’impossibilità dell’uomo non solo di scegliere il proprio agire, ma persino di comprenderne le ragioni. Giasone e gli Argonauti partono per un’impresa inutile, ideata dall’usurpatore Pelia semplicemente come pretesto per allontanare da sè il giovane e, possibilmente, procurargli la morte. Alla inutilità di un viaggio caotico, che spaventa e paralizza l’eroe, si aggiunge anche la τύχη (tùke), la sorte, oscura e inconoscibile, che domina sugli uomini e riduce gli dei a semplici spettatori. Giasone proiettato in un mondo più grande di lui, appare come un personaggio dominato dall’ἀμηχανία (amekanìa), frustrante sentimento di inadeguatezza e di impotenza, con la coscienza di doversi muovere entro i confini di un universo complesso, indifferente, ostile, capace di opporre le proprie leggi inflessibili alla volontà di azione dell’eroe. Sotto questi aspetti, Giasone incarna appieno lo stato d’animo dell’uomo ellenistico, che pur appartenendo ad un momento culturalmente fiorente, risente ancora della pesante eredità lasciata da Alessandro Magno e dal sogno del suo impero, ora frammentato in una miriade di regni minori in continuo mutamento. Ancora una volta l’opera letteraria traduce direttamente la realtà, trasponendola su un piano diverso e permettendo così al lettore di analizzarla criticamente, proprio in quanto all’apparenza estranea. Così come la realtà in cui vive, anche lo stesso Giasone appare profondamente contraddittorio: è un guerriero ma non ha capacità eroiche, ha fascino ed abilità oratorie, ma non è assolutamente in grado di compiere imprese e nasconde un animo fragile ed esitante. Questa discrepanza tra interiorità ed esteriorità dilania il giovane e lo riduce a una condizione di completa passività; a differenza di Pompeo, però, che si allontana dall’ambito politico ripiegando nell’ambito familiare (mostrando comunque la propria grandezza d’animo, anche se in un contesto diverso), la debolezza dell’eroe greco è totale, rivelando un prototipo dell’inetto moderno, incapace sia nelle gesta eroiche, sia nella propria vita di essere umano. Durante la missione per la conquista del Vello d’Oro tutte le insidie saranno superate grazie ai compagni di avventura, ad interventi divini (veri e propri dei ex machina) o, semplicemente, alla sorte. Pur avendo con sè degli eroi formidabili, Giasone non riuscirà mai ad affermarsi come leader, come guida, ma anzi, dovrà essere più volte sostenuto anche moralmente dagli altri, mostrando tutti i propri limiti e la propria immaturità. Esempio eclatante è il colloquio con Tifi, il timoniere della nave Argo, in seguito al passaggio delle Simplegadi (Argonautiche II 610-647): qui infatti Giasone dichiara apertamente la propria angoscia e il proprio smarrimento, perché oppresso dal peso della responsabilità di un’impresa che non ha mai cercato veramente; solamente l’intervento dei compagni di avventura riuscirà a rinfrancarlo e a farlo proseguire nel cammino. Viene quindi infranta ogni convenzione epica: sono i sottoposti stessi a incoraggiare il capo della spedizione.