Maxìmilìen Robespierre VIRTÙ E DEMOCRAZIA

Maxìmilìen Robespierre VIRTÙ E DEMOCRAZIA

  1. Robespierre, La rivoluzione giacobina, a e. di U. Cerroni, Editori Riuniti, Roma 1984, pp. 160-63; 167

II tentativo di Maxìmilìen de Robespierre [cfr. 9.5] – esem plificato in questo discorso del 17 Piovoso anno II (5 febbraio 1794), Sui principi di morale politica che devono guidare la Convenzione nazionale nell’Amministrazione intera della Repubblica – fu quello di fondare (e di giustificare la democrazia e il governo rivoluzionario sulla base di criterio diverso e superiore rispetto a quello della volontà della maggioranza dei cittadini, il principio etico della virtù € dell’amor di patria. Con una straordinaria operazione, insieme retorica e politica, Robespierre riuscì, più di ogni al­bo leader rivoluzionario, a realizzare «quel magistero della comunicazione che da allora non solo è la leva del potere, ma l’essenziale del potere stesso» – come ha scritto lo storico francese F’. Furet [  62].

 

Vogliamo un ordine di cose nel quale ogni passione bassa e crudele sia incatenata, nel quale ogni passione bene­fica e generosa sia ridestata dalle leggi; nel quale l’am­bizione sia il desiderio di meritare la gloria e di servire la patria; ove le distinzioni non nascano altro che dalla stessa uguaglianza; nel quale il cittadino sia sottomesso al magistrato, e il magistrato al popolo, e il popolo alla giustizia; nel quale la patria assicuri il benessere ad ogni individuo, e nel quale ogni individuo goda con orgoglio della prosperità e della gloria della patria; nel quale tutti gli animi si ingrandiscano con la continua comunione dei sentimenti repubblicani, e con l’esigenza di meritare la stima di un grande popolo; nel quale le arti siano gli ornamenti della libertà che le nobilita, il commercio sia la fonte della ricchezza pubblica e non soltanto quella dell’opulenza mostruosa di alcune case. […]

La democrazia non è già uno Stato in cui il popolo -costantemente riunito – regola da se stesso tutti gli affari pubblici: ed ancor meno è quello in cui centomila fazio­ni del popolo, con misure isolate, precipitose e contrad­dittorie, decidono la sorte dell’intera società. Un simile governo non è mai esistito, né potrebbe esistere se non per ricondurre il popolo verso il dispotismo.

La democrazia è uno Stato in cui il popolo sovrano, guidato da leggi che sono il frutto della sua opera, fa da se stesso tutto ciò che può far bene, e per mezzo dei suoi delegati tutto ciò che non può fare da se stesso.

E dunque nei princìpi del governo democratico che dovrete ricercare le regole per la vostra condotta politica.

Ma, per fondare e per consolidare la democrazia tra di noi, per poter giungere al regno pacifico delle leggi costituzionali, bisogna condurre a termine la guerra delle libertà contro la tirannia, ed attraversare con successo le tempeste della rivoluzione. Tale è lo scopo del sistema rivoluzionario, che voi avete regolarizzato. Dovete dun­que ancora regolare la vostra condotta nelle circostanze tempestose in cui si trova la Repubblica: ed il piano della vostra amministrazione dev’essere il risultato dello spiri­to rivoluzionario, combinato assieme ai princìpi generali della democrazia.

Ora, qual e mai il principio fondamentale del governo democratico o popolare, cioè la forza essenziale che lo sostiene e che lo fa muovere? E’  la virtù.

Parlo di quella virtù pubblica che operò tanti prodigi nella Grecia ed in Roma, e che ne dovrà produrre altri, molto più sbalorditivi, nella Francia repubblicana. Di quella virtù che è in sostanza l’amore della patria e delle sue leggi. Ma, dato che l’essenza della Repubblica, ossia della democrazia, è l’uguaglianza, ne consegue che l’amore della patria comprende necessariamente l’amore dell’u­guaglianza. […]

Non soltanto la virtù è l’anima della democrazia, ma addirittura essa può esistere solo in quella forma di gover­no. Infatti, nella monarchia conosco solo un individuo che possa amare la patria, ma che, proprio per questo, non ha alcun bisogno della virtù: il monarca. La ragione di ciò è nel fatto che – tra tutti gli abitanti dei suoi Stati -il monarca è il solo ad avere una patria. Non è lui, forse, il sovrano, almeno di fatto? E non è forse lui ad occupare il posto del popolo? E infatti, che cosa è mai la patria, se non il paese dove ognuno è cittadino e partecipe della sovranità?

Discende dallo stesso principio che, negli Stati aristo­cratici, la patria significa qualche cosa solo per le famiglie patrizie che hanno usurpato la sovranità.

Soltanto in un regime democratico lo Stato è veramen­te la patria di tutti gli individui che lo compongono e può contare tanti difensori interessati della sua causa, quanti sono i cittadini che esso contiene. Ecco qui la fonte della superiorità dei popoli liberi su tutti gli altri popoli. Se Atene e Sparta hanno trionfato sui tiranni dell’Asia, e gli svizzeri sui tiranni di Spagna e d’Austria, non occorre affatto cercare altra causa.

Ma i francesi sono il primo popolo del mondo che abbia instaurato la vera democrazia chiamando tutte le persone all’uguaglianza ed alla pienezza dei diritti del cittadino. Ed è proprio qui, a mio avviso, la vera ragione per cui tutti i tiranni alleati contro la Repubblica verran­no vinti.

Ora occorre trarre grandi conseguenze dai principi che abbiamo qui esposto.

Dato che l’anima della Repubblica è la virtù, l’ugua­glianza, e dato che il vostro scopo è di fondare, di consoli­dare la Repubblica, ne consegue che la regola prima del­la vostra condotta politica dev’essere quella di indirizzare tutte le vostre opere al mantenimento dell’uguaglianza ed allo sviluppo della virtù: poiché la cura principale del legislatore dev’essere quella di fortificare il principio su cui si fonda il suo potere di governo.

Così, tutte le cose che tendono ad eccitare l’amor di patria, a purificare i costumi, ad elevare gli spiriti, ad indi­rizzare le passioni del cuore umano verso l’interesse pub­blico, devono essere da voi adottate ed instaurate. Mentre tutte le cose che tendono a concentrare le passioni verso l’abiezione dell’io individuale, a risvegliare l’interesse per le piccole cause ed il disprezzo per quelle grandi, devono essere da voi respinte o represse.

Nel sistema instaurato con la rivoluzione francese tut­to ciò che è immorale è impolitico, tutto ciò che è atto a corrompere è controrivoluzionario.

[…] Bisogna soffocare i nemici interni ed esterni della Repubblica, oppure perire con essa. Ora, in questa situazione, la massima principale della vostra politica dev’essere quella di guidare il popolo con la ragione, ed i nemici del popolo con il terrore.

Se la forza del governo popolare in tempo di pace è la virtù, la forza del governo popolare in tempo di rivolu­zione è ad un tempo la virtù ed il terrore. La virtù, senza la quale il terrore è cosa funesta; il terrore, senza il quale la virtù è impotente.

Il terrore non è altro che la giustizia pronta, severa, inflessibile. Esso è dunque una emanazione della virtù. È molto meno un principio contingente, che non una conseguenza del principio generale della democrazia applicata ai bisogni più pressanti della patria.

Si è detto da alcuni che il terrore era la forza del go­verno dispotico. Il vostro terrore rassomiglia dunque al dispotismo? Sì, ma come la spada che brilla nelle ma­ni degli eroi della libertà assomiglia a quella della qua­le sono armati gli sgherri della tirannia. Che il despota governi pure con il terrore i suoi sudditi abbrutiti. Egli ha ragione, come despota. Domate pure con il terrore i nemici della libertà: e anche voi avrete ragione, come fondatori della Repubblica.  Il governo della rivoluzione è il dispotismo della liber­tà contro la tirannia.