MATTIA PASCAL RIASSUNTO DAL CAPITOLO 6 AL 7

MATTIA PASCAL RIASSUNTO DAL CAPITOLO 6 AL 7

Mattia Pascal giocatore di “roulette”, a Montecarlo, e la sua creduta morte


I capitoli sesto e settimo (“Tac tac tac…”, “Cambio tre­no”) preparano l’occasione della rinascita. Rompendo decisamente con le attese del lettore, si accampa subito nello spazio narrativo la «pallottola d’avorio» della roulette, e il rumore del suo movimento («tac… tac… tac», per l’appunto). Solo in seguito Pirandello specifica il mutamento d’ambiente e d’occupazione che fa di Mattia un giocatore, e un giocatore fortunato («Ero capitato là, a Montecarlo, per caso»). Già si è accennato al residuo diabolico, e quindi romantico, che si deposita visibilmente in questo episodio. La vincita al gioco provoca una ricchezza faticosa e incerta: «tante mani avevano recato, come in offerta votiva», alla “pallottolina d’avorio” «oro, oro e oro, tante mani che tremavano adesso nell’attesa angosciosa, palpando inconsciamente altro oro, quello della prossima posta». Simile ricchezza può condurre prima o poi alla dannazione, ma nel caso di Mattia la vincita costituisce il primo passo per la sua mutazione e liberazione. Egli entra subito in uno stato d’incertezza; è tutt’altro che sicuro, anzi gli sembra una pazzia, di dover rientrare a casa. Ma non diventa, per questo, un personaggio dostoievskiano, il protagonista autobiografico del breve romanzo II giocatore (1866), che dal gioco è ossessionato ed è circondato da donne demoniache. Nei riguardi degli altri giocatori non si registra alcun distacco moralistico da parte di Mattia. Solo nella misura in cui il gioco è una tappa verso la mutazione d’identità, Mattia non si confonde con la «tanta gente […] che buttava a manate oro e argento, come fossero rena, senza alcun timore», e che reca sul volto, nel comportamento, più d’una stigmate di questa sconsideratezza. La vista di uno di questi personaggi, suicida perché ha perduto tutto alla roulette, è anch’essa strumentale, nella misura in cui prepara la finta morte di Mattia: «Pareva più piccolo, li in mezzo al viale: stava composto, coi piedi uniti, come se si fosse messo a giacere prima, per non farsi male, cadendo; un braccio era aderente al corpo; l’altro, un po’ sospeso, con la mano raggrinchiata e un dito, l’indice, ancora nell’atto di tirare. Era presso a questa mano la rivoltella; più là, il cappello». Segue il particolare macabro del sangue, che è sprizzato su tutto il volto ed è succhiato dalle vespe, in pieno contrasto con la relativa compostezza del corpo. E non è chi non veda quanto l’aggiunta sia opportuna, per stabilire il parallelo voluto con il ritrovamento del supposto «cadavere» di Mattia Pascal, rinvenuto «in istato di avanzata putrefazione» presso «la gora d’un mulino» della sua proprietà, com’egli stesso apprende da un giornale acquistato durante il viaggio di ritorno. Già perché la vista del giocatore suicida, un giovane che gli era rimasto impresso vedendolo a un tavolo della roulette, lo ha indotto a «scappare via» da Montecarlo, con questa avvertenza per il lettore ingenuo: «Tutto potevo immaginare, tranne che, nella sera di quello stesso giorno, dovesse accadere anche a me qualcosa di simile». Anche per il presunto Mattia si tratterebbe di suicidio, motivato, come leggerà subito appresso nel giornale del suo paese, dalle disgrazie familiari, sì che l’analogia fra quel che ha visto e quel che ha letto diventa lampante. Ovviamente permane la distinzione fra realtà e finzione, vita e informazione giornalistica, con tutto quel di negativo che si può pensare circa l’alterazione del reale a opera dello strumento di comunicazione di massa. Sta di fatto però che, nell’economia del libro, la falsa notizia è fondamentale, per consentire a Mattia il cambiamento d’identità: nel caso specifico, la mutazione di stato civile, a partire dal nome e dal volto.