MATTIA PASCAL PERSONAGGI

MATTIA PASCAL PERSONAGGI

MATTIA PASCAL: protagonista, simbolo di una identità distrutta e non autentica, espressione dell’identità e la denuncia della falsità in cui l’uomo è costretto a vivere. Non vi sono più saldi fondamenti, principi e verità incrollabili, ma solo incertezza e insicurezza dell’uomo in sé stesso e nella realtà; la vita è insufficiente, non ha un centro, è privata di uno scopo e di qualsiasi valore, e l’uomo, il reale esterno non ha consistenza propria, ed è soggetto all’io che ragiona, analizza e conosce. In tutto il romanzo notiamo questo dubbio assillante che il protagonista si rivolge di continuo, e che rappresenta il tema di fondo. Mattia analizza tutte le situazioni in cui viene a trovarsi, esprime tutte le sue sensazioni e i suoi impulsi più nascosti, si fa domande sulla propria vita, cerca di trovare delle soluzioni, e si rende infine conto che non ce ne sono. La sua descrizione è la più completa, rispetto a tutti gli altri personaggi, perché tutto il romanzo si basa sulla sua personalità, anche se distrutta: Mattia cresce, durante la storia, e si descrive da sé, procedendo nel racconto. Anche il suo aspetto fisico è una componente rilevante, per capire meglio il suo pensiero. La sua prima descrizione è questa: “doveva esser la mia faccia placida e stizzosa e quei grossi occhiali rotondi che mi avevano imposto per raddrizzarmi un occhio, il quale, non so perché, tendeva a guardare per conto suo, altrove…ma ero pieno di salute, e mi bastava. A diciott’anni mi invase la faccia un barbone rossastro e ricciuto, a scapito del naso piuttosto piccolo, che si trovò come sperduto tra esso e la fronte spaziosa e grave”. Mattia avrebbe voluto fare qualcosa per il suo naso, ma “sapendo bene che non si può, rassegnato alle mie fattezze, non me ne curavo più di tanto”. Cambierà poi idea, riguardo all’occhio, quando si trasformerà in Adriano Meis; per operare questo cambiamento, e per cancellare l’immagine e la persona di Mattia Pascal, per prima cosa si farà radere la barba, crescere i capelli, e mettere gli occhiali. Dice infatti: “mi sarebbe piaciuto che, non solo esteriormente, ma anche nell’intimo, non rimanesse più in me alcuna traccia di lui”. Ma quell’occhio storto era un segno che gli faceva sempre ricordare Mattia Pascal, così su consiglio della signorina Caporale si sottopose a un’operazione che finalmente lo sistemò. La questione dell’occhio risorse con la riapparizione di Mattia Pascal e la morte di Adriano Meis: rifatta crescere la barba e tagliati i capelli, quell’occhio non era più di Mattia: ma non rappresentava comunque un problema, anzi, migliorava e ringentiliva l’aspetto e il viso. Mattia dice a riguardo: “l’occhio…non era più quello caratteristico di Mattia Pascal. Ecco, qualche cosa d’Adriano Meis mi sarebbe tuttavia rimasta in faccia”. Non ne parla quindi con rimorso, ma con tranquillità.

Alla fine della narrazione Mattia afferma di non “saper vedere che frutto se ne possa cavare”, e don Eligio, che lavor con lui nella biblioteca, gli risponde: “intanto questo: che fuori della legge e fuori di quelle particolarità, liete o tristi che sieno, per cui noi siamo noi, non è possibile vivere”.   

LA MADRE DI MATTIA: egli la descrive così: “d’indole schiva e placidissima, aveva così scarsa esperienza della vita e degli uomini! A sentirla parlare, pareva una bambina… Gracilissima di complessione, fu, dopo la morte di mio padre, sempre malferma in salute; ma non si lagnò mai de’ suoi mali, né credo se ne infastidisse neppure con sé stessa, accettandoli, rassegnata, come una conseguenza naturale della sua sciagura… aveva per noi una tenerezza addirittura morbosa, piena di palpiti e di sgomento: ci voleva sempre vicini, quasi temesse di perderci… come una cieca si era abbandonata alla guida del marito; rimasta senza, si sentì sperduta nel mondo”. Quando Mattia si sposa, porta la madre a vivere nella casa della moglie: il che suscita l’ira della suocera, la vedova Pescatore. Ma per il contegno e la presenza stessa della donna, la vedova Pescatore si trattiene  ed è solamente a causa di un futile pretesto che alla fine lascia esplodere la sua ira. Mattia descrive così l’aspetto della madre in quel particolare frangente, ulteriore conferma del suo carattere: “spaventata, con le lagrime agli occhi, tutta tremante, si teneva aggrappata con ambo le mani all’altra vecchietta, come per ripararsi”.

ZIA SCOLASTICA: sorella del padre di Mattia, è una donna energica e di carattere: “zitellona bisbetica, con un pajo d’occhi da furetto, bruna e fiera…io, da ragazzo, ne avevo una gran paura…specialmente quando la vedevo scattare in piedi e la sentivo gridare, pestando rabbiosamente un piede sul pavimento…ella aveva un sentimento aspro e dispettoso della giustizia”. Quando viene a sapere il modo in cui la madre di Mattia viene trattata dalla vedova Pescatore, arriva “in gran furia, al solito”, per portare la donna via con sé: la scena che segue è particolarmente vivace, e determinata dallo scontro di due personalità forti come quelle di Zia Scolastica, che “parlava a scatti, e il naso adunco e fiero, nella faccia bruna, itterica, le fremeva, le si arricciava di tratto in tratto, e gli occhi le sfavillavano”, e della vedova Pescatore.

ROMILDA: moglie di Mattia, dopo il matrimonio e in particolare dopo la morte delle due figlie, si lascia andare, senza curarsi più né del marito, né di sé stessa. È succube della madre, e addirittura arriva a pregare Mattia, prima del matrimonio, di portarla via, di avere pietà di lei, “di toglierla comunque… purché lontano da quella sua casa, lontano da quella sua madraccia, da tutti, subito”. La morte delle figlie la distrugge radicalmente, come osserva lo stesso Mattia, che pone l’accento sulla diversità fra la bella Romilda che aveva sposato e la donna stanca, “rivoltata dalle continue nausee, pallida, disfatta, imbruttita, senza più un momento di bene, senza più voglia neanche di parlare o d’aprire gli occhi”. La descrizione di Romilda precedente era completamente diversa: aveva un “simpatico sorriso che prometteva cordiale accoglienza e uno sguardo, dolce e mesto a un tempo, di quegli occhi che mi fecero fin dal prim vederla una così forte impressione: d’uno strano color verde, cupi, intensi, ombreggiati da lunghissime ciglia, tra due bande di capelli neri che le scendevano sulla fronte e sulle tempie, quasi a far meglio risaltare la viva bianchezza de la pelle”. 

MARIANNA DONDI, VEDOVA PESCATORE: il primo attributo che Mattia le rivolge è “la strega”. La consapevolezza della cattiveria e arroganza della vedova lo accompagnerà sempre, segnando la sua vita. Possiamo capire la natura di questa donna anche solo dalla descrizione di una mano: “gelida, secca e nodosa, gialliccia”, approfondendola poi con l’analisi del suo comportamento: sempre “indispettita”, “diventava di giorno in giorno più cupa e di fosche maniere”. Mattia arriva addirittura a dire: “quella bufera di femmina mi lanciava certe occhiatacce, lampi forieri di tempesta”.

IL MALAGNA: “Zia Scolastica lo chiamava “talpa”, perché “scavava di soppiatto la fossa sotto i piedi” della famiglia Pascal. Era l’amministratore dei suoi beni, ma invece di provvedere agli interessi della famiglia, badava ai suoi profitti personali, arricchendosi a spese di quella. La sua descrizione è quella di “un pagliaio nano e panciuto…sudato e sbuffante, scivolava tutto: gli scivolavano nel lungo faccione, di qua e di là, le sopracciglia e gli occhi; gli scivolavano all’attaccatura del collo le spalle; gli scivolava il pancione languido, enorme, quasi fino a terra, perché data l’imminenza di esso sulle gambette tozze, il sarto, per vestirgli quelle gambette, era costretto a tagliargli quanto mai agiati i calzoni; cosicché da lontano, pareva che indossasse, bassa bassa, una veste, e che la pancia gli arrivasse fino a terra…andava piano…sempre con le mani dietro la schiena, e tirava fuori con tanta fatica quella sua voce molle, miagolante!”.

ANSELMO PALEARI: padrone di casa di Mattia quando egli decide di fermarsi a Roma. È un uomo anziano, legatissimo all’unica figlia rimastagli, ma di indole credulona, semplice. La prima impressione che Mattia riceve dal vecchio uomo non è delle migliori, anzi, “fu poco favorevole”, tanto che rimase “a lungo perplesso se non gli convenisse cercare ancora”; la descrizione è infatti questa: “un vecchio su i sessant’anni, in mutande di tela, coi piedi scalzi antro un paio di ciabatte rocciose, nudo il torso roseo, ciccioso, senza un pelo, le mani insaponate e con un fervido turbante di spuma in capo”. Più avanti dice ancora: “aveva pure così, come di spuma, il cervello”, indicando senz’altro sia l’inavvedutezza con cui l’uomo si affidava al genero per le questioni economiche, sia il suo atteggiamento sempre un po’  inavveduto, lo sguardo perso, la partecipazione alle sedute spiritiche organizzate dal genero stesso, i discorsi, talvolta senza capo né coda, talvolta su argomenti elevati, filosofici e profondi.

ADRIANA: figlia di Anselmo Paleari, donna per cui Mattia proverà un amore sincero e impossibile, che lo costringerà a inscenare il suicidio e ad allontanarsi da Roma. Adriana è una donna minuta, “piccola piccola, bionda, pallida, dagli occhi ceruli, dolci e mesti, come tutto il volto”. In un primo momento sembra a Mattia una ragazzetta, con una veste da camera che rende “un po’ goffa” la sua figura, perché non si adatta “alle fattezze di lai così piccolina”. Sguardo fuggevole, “sorriso lieve lieve, e mesto”, Ariana  parla pianissimo, con “tanta serietà”, che colpisce Mattia. Tutto il peso della casa era sulle sue spalle, a causa dell’inadeguatezza del padre: “istintivamente buona e anzi troppo savia”, sembra una “piccola mammina”, che si prende cura del padre, della casa e della signorina Caporale.

SILVIA CAPORALE: era un’insegnante di pianoforte, aveva più di quarant’anni, e il signor Anselmo l’aveva accettata presso casa sua per le sue capacità medianiche, che, sebbene “non ancora bene sviluppate, per dire la verità, si sarebbero senza dubbio sviluppate, col tempo e con l’esercizio”. Mattia dice di non aver mai visto in una “faccia volgarmente brutta, da maschera carnevalesca, con un bel pajo di baffi sotto il naso a pallottola, sempre acceso,… un pajo d’occhi più dolenti” dei suoi: “eran nerissimi, intensi, ovati, e davan l’impressione che dovessero aver dietro un contrappeso di piombo, come quelli delle bambole automatiche”. La povera donna era consapevole della sua bruttezza, “era arrabbiata d’amore”, e continuava a bere, per disperazione. Quando la sera arrivava a casa in “uno stato veramente deplorevole”, era Adriana a doverla consolare, e a farle promettere di non bere più, anche se la volta seguente sarebbe successa la stessa cosa.

TERENZIO PAPIANO: era il genero di Anselmo Paleari, avendo sposato una delle sue due figlie, che era però morta pochi anni prima. Da come fanno intendere le parole di Adriana e della signorina Caporale, Mattia capisce che egli “non doveva aver l’aria del vedovo compunto”, cosa che scopre in seguito, dopo il suo incontro con Papiano stesso. L’incontro avviene una notte, in condizioni abbastanza singolari: Mattia sente delle voci concitate e scopre Papiano, in modo scocciato e scontroso, e la Caporale che parlano di lui. Poi Papiano fa chiamare Adriana, ma dopo il suo tentativo di avvicinarla a sé, Mattia non sa trattenersi ed esce allo scoperto. La reazione di Papiano è sconcertante: inizia a parlare, “strisciando una riverenza, e stringendogli calorosamente la mano”, e “non la finì più”. In seguito Mattia si chiederà spesso il motivo di questa finta amicizia, rispondendosi a ragione che l’uomo voleva cercare di allontanarlo dalla casa subdolamente, in quanto rappresentava un pericolo per le sue mire sull’abitazione.