MARZO 1821

MARZO 1821

ANALISI

Alessandro Manzoni


Manzoni scrisse quest’ode a metà del marzo 1821, quando sembrava che l’esercito sabaudo, sotto la reggenza di Carlo Alberto, dovesse oltrepassare il confine sul Ticino e combattere insieme ai lombardi che si erano sollevati contro il dominio austriaco. Le attese non furono soddisfatte, anzi il re Carlo Felice, subentrato al reggente, inasprì la repressione contro i patrioti. La lirica non fu pubblicata, anche per ragioni di sicurezza personale; pare anzi che l’autore la bruciasse, per poi riscriverla a memoria nel ’48, quando, in coincidenza con le Cinque Giornate di Milano, fu data alle stampe.

METRO

Ode di tredici strofe di otto decasillabi, ognuna delle quali si compone di due metà metricamente uguali: il quarto e l’ottavo verso sono tronchi e rimano tra loro, gli altri sono piani; il secondo e il terzo sono in rima baciata, così come il sesto e il settimo. Lo schema è abbcdeec (solo nella prima strofa il primo verso rima col quinto).

ANALISI 

L’ode ha come intestazione la dedica a Toedoro Koerner, poeta tedesco che lavorò per la corte di Vienna, morto giovanissimo combattendo come volontario contro Napoleone. La dedica ha una duplice funzione: serve ad escludere un nazionalismo unilaterale, suscitatore di odio indiscriminato nei confronti del popolo avversario, e vale a richiamare il fatto che anche i popoli germanici hanno dovuto soffrire e combattere per la libertà in un passato recente e perciò dovrebbero riconoscere le istanze patriottiche italiane. Entrambe le puntualizzazioni rientrano nel quadro ideologico manzoniano, ben presente in Marzo 1821: l’affermazione teologica che Dio “è Padre di tutte le genti” (v.69) non può consentire che sul piano etico-politico si mettano gli interessi della propria nazione al di sopra di quelli delle altre; perciò la rivendicazione della libertà e dell’indipendenza potrà avvenire solo secondo un’idea di giustizia superiore, fondata in Dio, che tutte le parti devono riconoscere. Da tale impostazione di pensiero deriva, nell’ode, l’insistenza nel sottolineare che i patrioti italiani stanno dalla parte del giusto, mentre i nemici austriaci sono nel torto, e ciò è dimostrato per mezzo delle loro stesse parole (cfr. vv. 49-56).

Quando Carducci biasimava in Marzo 1821 il tono troppo cristiano e troppo meditativo, incapace – a suo dire – di «alimentare l’odio e l’entusiasmo», e proponeva, a tutto sfavore dell’ode manzoniana, il confronto con Il giuramento di Pontida di Berchet, non faceva altro che rimarcare l’evidente distanza ideologica tra sé e Manzoni; tuttavia, le sue osservazioni ci invitano a mettere in luce una contraddizione o, almeno, una singolarità stilistica insita in Marzo 1821, che nasce proprio dall’esortare alla guerra, ma senza odio per il nemico, dallo spingere all’azione, ma fermandosi a meditare.

L’ode civile di Manzoni contiene molti dei moduli espressivi tipici della lirica patriottica. Innanzi tutto, il ritmo si presta ad un facile apprendimento mnemonico: la marcata cadenza dei decasillabi non è quasi mai attenuata da enjambement,  ed è sempre di nuovo conclusa, nel breve giro di quattro versi, dalla battuta forte del verso tronco. Tuttavia, la facile cantabilità del metro appare troppo meccanica quando, nella parte centrale della lirica, deve esprimere periodi e concetti più complessi.

Un’altra scelta stilistica consueta nella poesia risorgimentale è l’ampio uso di sineddochi e metonimie: nel nostro caso abbiamo la serie di parole-chiave “onda”, “rive”, “spade”, “altare”, “sangue”, “suolo”, “terra”, “ugne”, “stendardo”, santi colori”, “brandi”, “orrida verga”; inoltre appartengono concettualmente allo stesso tipo di figura retorica l’espressione “le destre hanno stretto le destre”, la menzione dei molti affluenti alpini del Po per significare le regioni del Piemonte e della Lombardia, la designazione dell’intera Italia per mezzo delle sue estremità (“tra l’Alpe e il mare”, “Dal Cenisio alla balza di Scilla”), l’immagine del “maglio” posto “in pugno” a Giaele.

Sul piano tematico, poi, è dato ampio spazio all’idea dell’ora decisiva, sviluppata attraverso i temi del giuramento, del destino, della storia che giunge a un bivio. Anche questi sono luoghi comuni della letteratura politica, e nazionalistica in particolare. Il giuramento compare, ad es., anche nell’inno di Mameli e nel già ricordato Giuramento di Pontida. Il campo semantico del destino è toccato esplicitamente almeno tre volte (vv. 4, 27, 92) e ad esso si connette un perentorio aut-aut, che appare a sua volta come la prosecuzione della formula del giuramento: o l’Italia sarà “libera tutta, / O fia serva tra l’Alpe ed il mare”, “O risorta per voi la vedremo /…O più serva, più vil, più derisa, ecc.”. Anche il lungo e affollato adynaton che riempie tutta la terza strofa convalida l’idea di destino, poiché sta a significare che la fusione delle genti italiane in una sola nazione è fatale come è fatale che le acque dei fiumi padani si mescolino nel Po. Il linguaggio del destino si colora, come spesso avviene, di intonazioni religiose: troviamo allora “le sacre parole”, i “santi colori”, l’Italia “risorta” “al convito dei popoli assisa” (che è immagine biblica ed escatologica, qui degradata a valore laico e mondano), “la santa vittrice bandiera”. Si può subito osservare che questo lessico religioso non contiene nulla di propriamente cristiano.

Non è difficile immaginare che con l’insieme di queste scelte stilistiche Manzoni intendesse dare ai suoi versi proprio quel carattere di entusiasmo patriottico che secondo Carducci non è stato ottenuto. In realtà, in Marzo 1821, gli elementi comuni della poesia politico-nazionalistica si mescolano in un impasto non omogeneo con temi di andamento più meditativo; questi occupano soprattutto le strofe centrali dell’ode. La quinta raffigura con evidenza e drammaticità pittorica il quadro storico della Lombardia dominata, attraverso i tratti fisionomici (il “volto”, il “guardo”) del “mendico sofferto / per mercede” e attraverso un gioco efficace di contrapposizioni (“suolo straniero” – “sua terra”; “altrui voglia” – “legge per lui”; “suo fato” – “segreto d’altrui”). Le strofe dalla settima alla nona costituiscono il nucleo morale e religioso della poesia: qui, come si diceva sopra, la questione dell’indipendenza nazionale viene vista non solo in ragione delle esigenze italiane, ma alla luce di un principio universale di giustizia che gli austriaci hanno prima affermato a loro favore e poi trasgredito. Qui la generica e ambigua religiosità del “destino” viene ricondotta ad uno dei temi fondamentali della fede biblica: Dio ascolta le invocazioni degli uomini ed interviene nella storia. E’ questo uno dei motivi di più profonda meditazione nella spiritualità manzoniana, ma esso è oggetto di una sensibile evoluzione. Nelle odi civili, sia pure in maniera via via più sfumata, il poeta sembra “sapere” dove si trovi la Provvidenza, con chi si schieri e a chi, di conseguenza, debba assicurare la vittoria. In Aprile 1814 l’appoggio divino è visto dalla parte della coalizione antinapoleonica (“dico che Iddio coi ben pugnanti ha vinto”, v.64) per ridare libertà ai popoli europei. L’anno dopo, nel Proclama di Rimini, è Murat (cognato e generale di Napoleone) a combattere, come Mosè, col favore di Dio. Ma già nel Cinque maggio, di pochi mesi posteriore a Marzo 1821, e poi nell’Adelchi, nel romanzo, in quel lacerante frammento che è Natale del 1833 la presenza di Dio nel mondo si manifesta per vie misteriose, non attraverso il trionfo sullo scenario del mondo, ma piuttosto nella solitudine e nello scacco, «dov’è silenzio e tenebre la gloria che passò». (G.D.)