MAGNA GRECIA LE COLONIE GRECHE D’ITALIA E DI SICILIA

MAGNA GRECIA LE COLONIE GRECHE D’ITALIA E DI SICILIA


“Magna Grecia” è quel complesso di colonie fondate dai Greci nell’Italia meridionale e nella Sicilia orientale, quella parte dell’Italia costituita soprattutto dalla costa ionica, dove a partire dagli ultimi decenni del secolo VIII a.C. si sviluppò la colonizzazione greca. E’ Polibio che usa per la prima volta questo termine volendo indicare tutta la parte meridionale della penisola costellata di colonie greche, dallo Ionio al Tirreno, anche se non indicò la Sicilia benchè anche in essa vi fossero numerose le colonie greche, alcune antiche e piuttosto importanti come Siracusa e Agrigento.

Di questa espansione territoriale greca nella penisola per quanto riguarda la cronologia c’è molta incertezza. Molte fonti letterarie posteriori ci tramandano racconti leggendari, anche se indubbiamente una certa realtà storica riflette queste leggende. Infatti le relazioni tra Grecia e Italia risalgono ad epoche antichissime, forse già dal secondo millennio, in epoca micenea, e le testimonianze stanno nella sempre più ricca documentazione archeologica del nostro XX secolo.

Questa documentazione diventa più numerosa e ricca (Alcune ceramiche ci dicono esattamente da dove prvenivano i colonizzatori) quando intorno all’anno 1000-1050 a.C., iniziamo ad avere una delle prime testimonianze di queste colonie, con la fondazione di Cuma, presso Capo Miseno; la quale a sua volta fondò Dicearchia (Pozzuoli) e Partenope (Napoli).

Ma il movimento principale della migrazione greca in Italia, avvenne tre secoli dopo, fra il 750 e il 650 a.C.. Allora, infatti, vennero fondate in Sicilia: Nasso, Siracusa, Catania, Leontini, Zanche (detta poi Messena, ora Messina), Megara, Selinunte, Gela, Agrigento ed altre. Nell’Italia meridionale: Sibari, Crotone, Taranto, Metaponto, Locri Epizephyria, Reggio, Terina, Elèa, Posidonia, ecc. insomma tante colonie greche lungo tutta la costa dell’Italia meridionale, che solo più tardi prese il nome territoriale usando il termine di Polibio: Magna Grecia.

Scrive l’Olivati nella sua ottima Storia Greca,
“I Greci fondatori di tutte queste colonie, parte Ioni, parte Achei e parte Dori, assoggettarono ben presto alla loro sovranità le popolazioni indigene dei paesi occupati, introducendovi la loro lingua e i loro ordinamenti e costumi, e così in breve ciascuna colonia divenne una piccola, ma forte repubblica. Infatti tutte queste colonie, tutte queste repubbliche, esercitando un attivissimo commercio, e coltivando alacremente il fecondissimo suolo, giunsero presto a un’alta prosperità. Alcune loro città poi divennero famose anche per le scuole che vi fondarono alcuni celebri scienziati e filosofi, come Elèa per la scuola di Senòfane, detta eleatica dal nome della città, e Crotone per la scuola di Pitagora, detta pitagorica dal nome del suo fondatore.
” Purtroppo, nell’accrescimento di tante ricchezze, nel godimento di tanti vantaggi, curando soltanto più i loro materiali interessi, queste colonie dimenticarono quasi la madre patria e per dì più si accesero di violenta gelosia le une contro le altre, tanto che la Magna Grecia divenne teatro di lotte sanguinose fra le città elleniche limitrofe, e le più deboli furono distrutte dalle più forti, come Sibari da Crotone. Perciò quando la madre patria fu assalita dall’invasione persiana, le sue colonie italiche rimasero indifferenti, intente solo ai loro guadagni, e spesso agitate da fraterne contese.
E così continuarono, finché -più tardi- furono esse stesse assalite, e poi distrutte e assoggettate, da un’altra potenza che sorgeva contemporaneamente in Italia, più forte di loro, cioè dalla repubblica romana. Delle loro interne vicende ben poco ci narra la storia: alcune di esse non ebbero una gran durata perché all’epoca della seconda guerra punica, ossia alla fine del terzo secolo a. C., colonie greche indipendenti in Italia non ne esistevano più». Tuttavia qualcosa sappiamo.

SIBARI E CROTONE. – Sibari e Crotone ebbero la stessa origine : entrambe furono fondate da colonie di Ioni e di Achei, la prima nel 720 a. C., la seconda nel 710, a poca distanza l’una dall’altra, sulle stesse rive del golfo di Taranto.
Sembra che per due secoli, queste città le cui vicende s’intrecciano, abbiano vissuto in buona armonia; e pure di queste sappiamo poco della loro storia, fino alla fatale contesa dell’anno 510 a. C., che fu causa della rovina di Sibari. Durante tutto questo periodo erano le più floride città di tutta l’Ellade; le mura di Sibari comprendevano un circuito di sei miglia, e quelle di Crotone avevano non meno dei dodici miglia di cinta; ma la prima, benché più piccola, era la più potente, poiché possedeva un più vasto spazio di territorio, e un maggior numero di colonie, fra le quali la Iontana città di Posidonia (Pesto), le cui magnifiche rovine fanno tuttora testimonianza della passata grandezza.

Parecchie tribù primitive si sottomisero all’impero di Sibari e di Crotone, e i loro domini si estesero dall’uno all’altro mare, attraverso la penisola di Calabria.
Sibari particolarmente toccò un grado di ricchezza favoloso; e i suoi abitanti furono così famosi per il lusso, per l’effeminatezza, e per la dissolutezza dei loro costumi, che il loro nome, sia nei tempi antichi che nei moderni, divenne sinonimo di voluttuoso. Molti degli aneddoti che di essi si narrano, mostrano chiaramente i segni delle esagerazioni di un’età posteriore; ma la loro grande ricchezza è provata dal fatto, che 5000 cavalieri, ornati di magnifici addobbi, facevano parte della processione in certe feste della città, mentre Atene, nei suoi più prosperi giorni, non poteva metterne assieme più di 1200.

Crotone era segnalata per l’eccellenza dei suoi medici e chirurghi, e per il numero dei suoi cittadini che ottenevano premi ai giochi olimpici. Il suo governo era un’aristocrazia, e stava riposto in mano a un Senato di mille persone. In questa città si stabilì Pitagora, e vi fondò una comunione di cui daremo cenno nel seguente capitolo.
La guerra fra queste due potenti città è il fatto più importante che ricordi la storia della Magna Grecia. Essa ebbe origine dalle discordie civili di Sibari, dove il governo oligarchico fu abbattuto da una insurrezione popolare, condotta da un cittadino di nome Teli, il quale riuscì a farsi tiranno della sua patria. I capi della parte oligarchica, in numero di 500, furono cacciati e messi al bando: ed essendosi questi rifugiati a Crotone, Teli chiese che gli fossero consegnati, minacciando di scatenare una guerra in caso di rifiuto. Tale domanda suscitò a Crotone grandissimo allarme, perché la forza militare di Sibari era indubitabilmente superiore; e soltanto dopo le esortazioni di Pitagora, i Crotoniati deliberarono di affrontare la vendetta dei loro vicini, anziché incorrere nell’infamia di tradire i rifugiati supplicanti. Nella guerra che quindi avvenne, si narra che Sibari ponesse in campo 300.000 uomini e Crotone 100.000, le quali cifre sembrano grossolanamente esagerate. I Crotoniati furono condotti da Milone, (discepolo di Pitagora), il più famoso atleta di quel tempo, e furono pure rinforzati da uno stuolo di Spartani, sotto la scorta di Dorico fratello minore del re Cleomene, il quale navigava lungo le coste del golfo di Taranto, per andare a fondare una colonia in Sicilia.

I due eserciti si scontrarono sulle sponde del fiume Treide o Trionto; e si combatté una sanguinosa giornata, nella quale i Sibariti furono sconfitti subendo una terribile strage. I Crotoniati non contenti proseguirono il loro trionfo con la presa di Sibari, che distrussero fino alle fondamenta; e per cancellarne ogni vestigio, deviarono il corso del fiume Orati sopra le sue rovine (510 a. C.).
La caduta di questa ricca e potente città eccitò in tutto il mondo ellenico insieme al profondo sdegno, ed i Milesi che avevano sempre conservato con i Sibariti le più amichevoli relazioni, si rasero la testa in segno di lutto.
Ma la rovina di Sibari ebbe conseguenze funeste anche per i Crotoniati e per le altre colonie greche dell’Italia meridionale, poiché ne seguì un totale disgregamento, e per di più la repubblica di Crotone si logorò nelle lotte civili causate dalla divisione delle spoglie di Sibari. Rimase invece ancora alta la sua fama per la scuola che vi aveva fondato Pitagora.

I Sibariti dispersi tentarono di far risorgere la loro città, ma ne furono ostinatamente impediti dai loro antichi nemici; e quando, circa cinquanta anni dopo, i superstiti si unirono ai coloni ateniesi mandati in Italia da Pericle, vennero in discordia anche con questi e finirono coll’essere trucidati o scacciati. Dopo di che, gli Ateniesi, a breve distanza dal luogo dov’era stata l’antica Sibari, fondarono Thurii (Turio).

TURIO. – La nuova città non tardò a fiorire, facendo prosperare il commercio e l’agricoltura, e divenne un grande e ricco centro, splendida gloria per i suoi fondatori, fra i quali é da annoverare anche Erodoto, il sommo storico, che vi accompagnò i coloni ateniesi e vi passò gli ultimi anni della sua vita feconda di opere imperiture.
” Considerazione particolare – scrive il Pais nella sua Storia dell’Italia antica – merita la costituzione che per Thurii compose Protagora di Abdera, il famoso sofista a tutti noto grazie al dialogo di Platone; scrittura polemica, che non dà un’idea esatta del valore di questo insigne personaggio. Abbiamo solo notizie frammentarie su tale legislazione, ma da un complesso di circostanze é dato ricavare che Protagora fu forse il primo a tentare una codificazione ispirata da legislazioni diverse, non di una sola stirpe o città.
Egli si valse di quelle anteriori dei Greci di Occidente, che andavano sotto il nome di Zaleuco e di Caronda; tenne pur conto delle usanze peloponnesiache e delle leggi di Solone e del fatto che a Thurii erano raccolti coloni che appartenevano a tutte le stirpi greche. Stando alla cronologia di Diodoro, ciò ebbe luogo negli stessi anni nei quali in Roma si sarebbe formata la legislazione delle Dodici Tavole. La determinazione cronologica tradizionale della legislazione decemvirale é ripercussione di quella che allora ebbe realmente luogo in Thurii. Ai Romani ambasciatori ed ai decemviri romani fu attribuito quell’esame e comparazione delle migliori legislazioni già esistenti. Ma in quel tempo ciò fu realmente fatto per Thurii dal celebre sofista di Abdera.
« Thurii, posta in un punto intermedio fra la Grecia e la Sicilia, prosperò notevolmente sia per abbondanza di terreno, sia per rapporti commerciali. Non godette tuttavia di molta pace; lacerata da discordie civili, fu tormentata da guerre esterne e dal pericolo delle invasioni delle genti Sabelliche, che avevano indotto gli Ateniesi alla fondazione della nuova Sibari.
« Appena sorta, Thurii sostenne lotte con le vicine città di Crotone e di Taranto. E’ probabile che, allorquando fu costituita la colonia panellenica di Sibari, si fosse venuti a quell’accordo fra tutte le città achee di cui fa parola Polibio. E di accordi si torna a parlare quando si narra la battaglia di Laos nella quale, verso il 390 a. Cr., i Thurini vennero sconfitti dai Lucani. Vivevano sempre le vecchie rivalità fra le città italiote. Thurii sperava vincere da sola i Lucani; aspirava al primato fra tutti gli Italioti.
Nel 439 era già sorta in Grecia la guerra corinziaca causata dalle rivalità fra Corinto e Corcira a proposito di Epidammo, ed essa preparava alla sua volta lo scoppio di quella maggiore detta del Peloponneso. In questo frattempo, verso il 433 a. Cr., scoppiavano ardenti le lotte fra i Tarantini ed i Thurini per il possesso della interposta regione della Siritide.
“Venuti infine dopo la prova delle armi ad accordi, fu deliberato che la Siritide fosse abitata in comune dai cittadini dei due Stati. Ma alla vecchia Sirds già fondata dai Colofoni, combattuta e presa dagli Achei, e che in questo frattempo era stata forse abbandonata, succedette lungo il corso del fiume Siris la città di Eraclea, la quale fu però considerata colonia dei Tarantini ».

Dopo questo periodo Thurii incominciò a decadere. Sfuggita al dominio di Dionisio di Siracusa, finì per cadere in possesso dei Sanniti (Lucani). Era già stata minacciata da costoro verso il 390 a. C. Sebbene gl’Italioti avessero fatto una lega per darsi mutuo aiuto contro i Lucani, i Thurini, l’abbiamo appena accennato, mirando al primato, avevano sostenuto da soli la lotta ed erano stati sconfitti. Caduta la signoria di Dionisio Il di Siracusa, i Lucani ebbero mano libera contro le città italiote ed i Thurini finirono coll’esser a loro in parte soggetti. I Lucani non distrussero tuttavia del tutto l’elemento greco; e questo sul finire delle guerre sannitiche chiesero e ottennero aiuto dai Romani. La vittoria di Canne (216 a. Cr.), che dette in mano ad Annibale tutta l’Italia meridionale, determinò la rivolta dei Romani di Taranto, di Metaponto e di Thurii. Vinto Annibale, i Romani cercarono di porre riparo ai danni cagionati dalla lunga guerra. Nel 194 a. C. avevano fondata una colonia di loro cittadini a Crotone ed un’altra là dove era sorta l’antica Temesa; nell’anno successivo ne dedussero una di diritto latino a Thurii.
“Il nome di Copia-Thurii impresso nelle mo nete che hanno il simbolo della cornucopia indicava la speranza che per rinnovata floridezza la nuova città, fondata su ampio terreno, rivaleggiasse con le vetuste Sibari e Thurii. Nei fatti queste speranze fallirono e negli annali romani l’ “ager Thurinus” vien solo ricordato a proposito di devastazioni e di guerre sorte per ribellione di schiavi e per moti civili.

« Nella bella pianura del Crati, ove enormi frane cadute dai monti ormai diboscati coprono pianure che furono già fertili e sono tuttora in parte rallegrate da colossali alberi di ulivi, nessuno sa oggi precisare con tutta certezza ove sorse la sede dei molli Sibariti. Scavi tentati in questi ultimi anni non furono fortunati, ma saranno forse di nuovo ripresi da chi con animo alacre e con mano esperta ha sollevato la coltre funerea che nascondeva altre antiche città di Sicilia e d’Italia. Una fonte, secondo il parere di eruditi locali, indicherebbe ancor oggi il luogo in cui sgorgavano le acque della fonte Thuria, che sul suolo della distrutta Sibari attrasse i coloni giunti sotto gli auspici di Atene e di Pericle”. Così il Pais, già citato.

TARANTO. – Fondata poco dopo Sibari e Crotone, da coloni spartani, Taranto superò in potenza tutte le città vicine, e fu per lungo tempo il principale emporio degli scambi fra l’Italia meridionale e la Grecia, ed anche con i primi mercati dell’Adriatico. Peraltro, avendo esteso il suo dominio sul territorio circostante alla città, ebbe a lottare, al nord, coi Peucezi, suoi confinanti da quel lato; e più tardi all’ovest con i Turiesi, poiché la fondazione e l’incremento di Turio aveva destato nel modo più violento la sua gelosia. Ma Taranto riuscì a comporre le contese in proprio vantaggio cogli uni e cogli altri, e riuscì quindi mantenersi fiorente fino all’epoca in cui venne in guerra con Roma.

Senonchè i Tarantini, in mezzo alla prosperità che godevano, grandemente si corruppero con il darsi alle mollezze, agli spettacoli, ai banchetti, così tanti che si narra che i loro i giorni di festa erano più numerosi dei giorni di lavoro; e perciò, quando vennero in guerra con i Romani non si sentirono forti abbastanza da affrontare da soli questi irresistibili nemici e chiamarono in aiuto Pirro, re dell’Epiro. I Romani peraltro finirono col vincere anche Pirro, e quindi assoggettarono Taranto e tutta l’ Italia meridionale al loro dominio.

LOCRI, REGGIO, E POSIDONIA- La città di Locri, detta Epizefiria per la vicinanza del capo Zefirio, fu fondata da coloni usciti dalla madre patria nel 603 a. C. La storia primitiva dei Locresi è degna di memoria perché sembra siano stati i primi, fra i popoli ellenici, ad avere un corpo di leggi scritte.
Narrasi che avessero tanto sentito la mancanza di legga precise, da decidersi a rivolgersi all’oracolo di Delfo, il quale consigliò loro di adottare gli ordinamenti proposti dal pastore Zaleuco.
Questa legislazione fu promulgata nel 664 a. C., quarant’anni prima di quella di Dracone. Ebbe infatti qualche somiglianza con questa, per la severità delle pene. I Locresi la osservarono per un lungo periodo, e furono così contrari ad apportarvi dei mutamenti; anzi, chiunque intendesse proporre una nuova legge doveva comparire nella pubblica assemblea, con una corda legata al collo, la quale veniva immediatamente stretta, se non riusciva a persuadere i suoi concittadini della necessità del proprio disegno.

I Crotoniati, dopo la distruzione di Sibari, mossero guerra anche ai Locresi. a Avvenne allora, – così scrive il Pais – la battaglia della Sagra, celebrata da Stesicoro detto di Imera, nato però a Matauro sulla costa del Tirreno posta fra Reggio e le colonie di Locri. Il poeta glorificava la comparsa od « epiphania » dei Dioscuri a favore dei Locresi (verso il 550 a. C.). Sentendosi inferiori per forza ai Crotoniati, i Locresi avevano implorato l’aiuto della divinità e ne avevano avuto per risposta l’esortazione di affidarsi a Castore ed a Polluce. Durante la lotta, ai due corni dell’esercito apparvero infatti due giovani di esimia grandezza, vestiti di porpora, su bianchi cavalli, che li guidarono alla vittoria.

Tale la leggenda cantata dal più antico poeta italiota; essa, com’é noto, si trova ripetuta per altre regioni, ad esempio per Cirene, e ricompare più tardi nel racconto della vittoria romana sui Latini presso il Lago Regillo. L’efficacia letteraria rivestì con forme ed imagini analoghe fenomeni comuni ad altri popoli e religioni. Dal lato psicologico hanno infatti analogia la celebre tradizione intorno al labaro apparso alle milizie di Costantino sul ponte Milvio e la pia credenza su S. Ambrogio, che i Milanesi credettero vedere alla battaglia di Parabiago.
“Nel mondo classico, grazie alla musa di Stercoro, il ricordo dell'”epiphania” dei Dioscuri alla Sagra conseguì grande celebrità. I Locresi per loro conto eternarono il ricordo della splendida vittoria con un tempio e con quelle eleganti opere di scultura raffiguranti i “Dioscuri” che giungono a cavallo su tritoni, che anche oggi noi, grazie a scavi sapienti e fortunati, siamo in grado di ammirare.

“Non abbiamo notizia completa delle varie lotte sostenute dai Locresi contro i Crotoniati e nemmeno di quelle che ebbero luogo fra Regini e Locresi. Di codesta inimicizia fra Regini e Locresi rimasero vivi ricordi letterari. E’ circostanza per noi insignificante, ma fu messa in rilievo dagli antichi e rivela i sentimenti che esistevano fra le due città nemiche, l’episodio delle cicale mute nel suolo di Regio, sonore invece al di là del fiume Alece, con il quale cominciava il territorio di Locri ».
Reggio (Regio) situata sullo stretto di Messina, di fronte alla Sicilia, fu popolata da coloni calcidesi, ma accolse pure un gran numero di Messeni, i quali vi si stabilirono dopo la fine delle guerre messeniche. Anassilao, che se ne fece tiranno (circa 500 a. Cr.) era di razza messenia, e fu lui che mutò in Messana il nome di Zancle, città sicula, quando se ne impadronì nel 494 a. C.

Per la sua posizione, Reggio era la naturale rivale di Messana.
” Lo scalo di Regio – scrive l’autore già citato – era assai opportuno anzi inevitabile per tutti coloro che, venendo dalla Grecia, miravano a commerciare con le coste tirrene. La città però non aveva, come l’opposta Messana, un buon porto, né possedeva grande estensione di retroterra, perché le sovrastavano le montagne della Sila. Locri infine la premeva ai due fianchi e su due mari, sia direttamente, sia con le colonie di Medma e di Ipponio. Meraviglioso era invece il sito in cui Messana era sorta; ma anche questa non aveva un ampio retroterra che le permettesse la formazione di uno Stato esteso. Anche Messana fu quindi obbligata a far soprattutto assegnamento sui lucrosi affari che promettevano il mare ed il commercio marittimo attraverso lo Stretto. Le lotte per il possesso dello Stretto costituiscono uno dei tratti più caratteristici della storia della Magna Grecia e della Sicilia. La rivalità di Messana e Reggio era resa ancor più singolare dal fatto che le stirpi che governavano le due città si mescolarono più volte fra loro.
« Le vicende di Regio hanno talora tratti notevoli, sicché rientrano nella storia politica generale. Tale é quello del tiranno Anassilao, che lottò fortemente contro i pirati tirreni, ai quali oppose la fortezza di Scilla posta su di una roccia sporgente sul Tirreno donde sbarrava il passaggio dello Stretto. Avremo poi occasione di riparlare di questo principe a proposito delle lotte fra Siracusa e Cartagine. Qui notiamo che i figli che a lui succedettero si rivelarono inferiori nell’arte del governo, che per qualche tempo era stato affidato al loro tutore, l’arcade Micito.

« Liberatisi dai successori di Anassilao, i Regini riacquistarono la libertà, rinvigorirono il governo democratico e cercarono di resistere a Siracusa. La lotta con Siracusa ed il tentativo d’insignorirsi di Messana venne anzi a costituire un altro tratto fondamentale della storia di Regio. Senonché, impotente ad escludere dal commercio dello Stretto le città rivali, con un terreno che non bastava ad assicurarle robusta signoria continentale, Regio fu obbligata a ricorrere all’aiuto degli Ateniesi, più tardi a quello degli stessi Cartaginesi, naturali nemici dei greci.
« La lunga lotta con Siracusa portò sventura a Regio. Dopo lungo assedio, Dionigi I, al quale era stata rifiutata in sposa una fanciulla Regina e che non era quindi riuscito ad insignorirsi della città per via di alleanza, fece le sue vendette. Sposò una fanciulla di Locri e la città alleata la premiò con i territori tolti a Regio, a Crotone e ad altre città della Magna Grecia. Regio, dopo lungo e terribile assedio, fu presa e distrutta. Più tardi fu ricostruita da Dionigi Il col nome di Febea »,

POSIDONIA o PESTO, posta non lontana dalle sponde del Silaro (Sele), segnava il confine settentrionale della Magna Grecia.
Questa città, di origine abbastanza remota (600 a. C., come afferma Strabone), ha un vasto orizzonte chiuso, a settentrione, dai monti di Novi e di Capaccio e dagli Albuini, all’occidente dalla co
sta amalfitana, al sud dal Capo Tressino. I Sibariti furono i fondatori di questa colonia per impadronirsi del dominio del Tirreno e per potervi estendere il vasto commercio, che giovò ad arricchire, in breve tempo, la città di Sibari. Le monete di Sibari e di Pesto provano infatti la comune origine delle due città. Se gli scrittori dell’antichità classica non parlano dei famosi tempi di Pesto, ciò può attribuirsi al fatto che tali costruzioni erano comuni a molte città della Magna Grecia. Soltanto le rose di Pesto – i cui celebri campi, ad imitazione di quelli della Siritide, presso Sibari, furono celebrati da Orazio, da Ovidio, da Virgilio, da Marziale, incantati della bellezza della posizione della città ch’era addirittura in mezzo ai fiori – furono il suo miglior vanto.

Nella storia di Posidonia vu sono guerre continue, che essa ebbe con Sibari, prima sua alleata, poi sua fiera nemica. I Lucani, nel IV secolo, la soggiogarono. Dopo la disfatta di Pirro, nel 273 a. C., la città venne in potere dei Romani, che vi stabilirono la colonia di Paestum. Per ricordare l’origine greca vi fu istituita una festa detta «la festa delle lacrime», dedicata appunto a Posidone. In potere dei Romani, Pesto restò fedele a Roma durante la guerra contro Annibale; ma andò tuttavia decadendo, sempre, di giorno in giorno. Sotto Augusto, questa contrada, rimasta incolta ed infetta dalla malaria, sempre più gente la disertò nei successivi anni, fino a renderla quasi disabitata,

LE COLONIE IN SICILIA. – La più antica colonia greca in Sicilia fu fondata nel 735 a. C.
La maggior parte di quest’isola era allora abitata dalle tribù dei Siculi e Sicani; la maggior parte degli insediamenti cartaginesi stavano nella parte occidentale; ma le coste di levante e di mezzogiorno erano occupate soltanto dai Siculi e dai Sicani, i quali furono agevolmente ricacciati dai Greci nell’interno del paese. La straordinaria fertilità del suolo, congiunta con la facilità dell’acquisizione, presto attirarono numerosi coloni da varie parti della Grecia; e quindi sorse sulle rive della Sicilia una serie di fiorenti città, delle quali ripetiamo qui sotto un elenco.
Nasso, la più antica, fondata dai Calcidiesi, 735 a. C. – Siracusa, dai Corintii, 734. – Leontini e Catania, da Nasso, 730. – Megara Iblea, da Megara, 723. – Gela, da Rodi e dai Cretesi, 690. – Zancle, poi detta Messana, dai Cumei e dai Calcidiesi, la data è incerta. – Acri, da Siracusa, 664. – Casmene, da Siracusa, 664. -Selinunte, da Megara Iblea, 630. – Camarina, da Siracusa, 599. – Acraga, più nota sotto il nome romano d’Agrigento, da Gela, 582. – Imera, da Zancle, data incerta. – Taormina (Tauromenium) fu fondata nel 396 a. C. dai profughi della distrutta Nasso. – Antichissima colonia fu anche Egesta (Segesta), nell’interno dell’isola. Questa città ebbe aspre contese con Selinunte.

Fra queste, Siracusa e Agrigento, ambedue colonie doriche, divennero le più potenti. Della prima diremo più avanti.
AGRIGENTO ebbe un’origine posteriore, e fu fondata non prima dell’anno 582 a. C., dai Dorii di Gela, colonia essa stessa dei Rodii e dei Cretesi; ma il suo avanzamento fu più rapido, e presto si levò in così straordinario stato di ricchezza e di potenza, che divenne famosa nel mondo antico per la magnificenza dei

suoi pubblici edifici, e Pindaro, un secolo dopo la sua fondazione, la chiamò «la più bella delle città mortali». La sua storia primitiva non per altro riguardo é degna di memoria, che per la tirannia di Falaride, al quale rimase una proverbiale rinomanza di despota crudele ed inumano. Incerta é la sua data esatta; ma sappiamo che fu contemporaneo di Pisistrato e di Creso, e possiamo forse porre il suo regno nel 570 a. Cr. Narrasi che bruciasse vivi in un toro di bronzo i disgraziati su cui esercitava la sua ferocia ; e questo celebre strumento di tortura non solo é menzionato da Pindaro, ma esisteva tuttavia ad Agrigento in tempi posteriori. Falaride fu impegnato in frequenti guerre con i vicini, e da ogni lato estese il proprio dominio e la propria autorità; ma la sua barbarie lo fece venir tanto in odio al popolo, che questo si sollevò a un tratto contro di lui e lo uccise.
La prosperità delle città greche in Sicilia fu poi compromessa, come vedremo, per le ostilità dei Cartaginesi; ma durante due secoli e mezzo, dal tempo in cui i Greci si stabilirono per la prima volta nell’isola, esse non ebbero a che fare con quel popolo, e così poterono svolgere liberamente le loro forze, senza opposizione di alcuno Stato straniero.

SIRACUSA.- Nella storia di Siracusa si compendia quella di tutte le colonie greche della Sicilia, anzi di tutta la Sicilia nei tempi antichi. Cediamo la parola all’Olivati (Storia greca, già citata) che riassume egregiamente in poche pagine le vicende della grande città e dell’isola intera, fino alla conquista romana.

“Maggiore di tutte le precedenti colonie della Magna Grecia, e più ragguardevole anche di tutte quelle della Sicilia, divenne Siracusa, fondata dai Corintii nel 734 a. C. Questa sorse dapprima sopra un’isoletta, chiamata Ortigia, vicinissima alla costa, e mutata in una specie di penisola per mezzo di un ponte che l’univa alla terraferma; ma nel volgere di poco più di due secoli si estese così tanto anche in terraferma, da dare origine ad altri quattro grandi quartieri, separati l’uno dall’altro da grosse mura; cosicché Siracusa si poté dire composta di cinque città fortificate. Furono queste Ortigia, Acradina, Tica, Napoli ed Epipola, tutte insieme recinte da un’unica grande muraglia, del perimetro di 36 chilomerti. Ortigia costituiva la parte marittima ed aveva due porti; gli altri quartieri formavano la parte continentale. Nessuna città crebbe così presto a tanta potenza. Essa divenne in breve tempo non solo la più grande, la più popolata, la più forte della Sicilia, ma anche una delle più importanti città dell’antichità; che giunse ad avere più di 500 mila abitanti, e secondo alcuni anche più di un milione.

” Siracusa si resse per circa due secoli e mezzo a repubblica aristocratica, come la madre patria Corinto; ma anch’essa, come le altre colonie greco-italiche, fu spesso lacerata dalle contese di parte, sorte tra le fazioni aristocratica e democratica, volendo questa afferrare il potere, quella conservarlo; e come al solito, tra tali contese sorse alla fine chi seppe giovarsene, per farsi padrone assoluto della città. Infatti nel 485 il governo repubblicano fu rovesciato da Gelone, valente guerriero ed accorto politico, che già da sei anni si era fatto signore di Gela, e che, chiamato dagli stessi Siracusani per ristabilire l’ordine nella loro città, vi accorse ma usurpò il supremo potere.
« Tuttavia, conseguita l’autorità che agognava, si mostrò un saggio regnante; sotto di lui la città ebbe il suo maggiore incremento, e lo Stato siracusano allargò molto il suo dominio nella Sicilia. Gelone divenne così potente, da offrire perfino validi soccorsi alla Grecia, che veniva allora invasa dai Persiani sotto Serse; e poiché tali soccorsi non furono accettati dai Greci, per la pretesa che aveva manifestato Gelone di volere il comando supremo di quella guerra, egli impiegò le sue armi contro altri e più formidabili nemici, nella stessa Sicilia.
« Furono questi i Cartaginesi, che fattisi padroni della parte occidentale dell’isola, ove sorgevano Panormo, Lilibeo ed altre colonie fenicie, miravano a conquistare il resto della Sicilia. Gelone si oppose alle loro cupidigie, e, dichiarata loro la guerra, li sconfisse interamente in una decisiva battaglia ad Iméra (ora Termini) nel 480 a. Cr. (si narra che il giorno stesso della battaglia di Salamina, 20 di settembre) e quindi li obbligò ad una pace umiliante.

« Il suo regno glorioso durò appena nove anni (485-476 a. Cr.). Ma non meno glorioso fu quello del fratello di Jerone, o Gerone I, il quale aumentò la potenza di Siracusa a danno degli Etruschi, battendoli a Cuma nel 474 a. C., e togliendo loro il predominio sul mare; poi accrebbe la vita intellettuale della città stessa, attirandovi dalla madre patria i più insigni poeti di quel tempo (quali Simonide, Pindaro, Eschilo) e proteggendo largamente letterati ed artisti. Ma anche il regno di Gerone fu di corta durata. Egli morì nel 467, lasciando il trono al figlio Trasibulo, il quale, assai diverso dal padre, si mostrò presto un crudelissimo tiranno, e provocò in tal modo una generale rivoluzione, onde fu scacciato dopo soli 11 mesi di regno. Allora in Siracusa fu ricostituita la repubblica, e questa volta in forma democratica».

La nuova repubblica durò 60 anni (466-406 a. C.), all’inizio tranquilla, ma verso la fine nuovamente turbata dalle solite fazioni aristocratica e democratica, che prepararono il ritorno della tirannide. Il fatto più grave successo in questo intervallo di tempo e che minacciò l’esistenza stessa della città di Siracusa, fu la guerra mossale dagli Ateniesi nel secondo periodo della guerra del Peloponneso, tra il 415 e il 413 a. C..
Liberatasi dal pericolo di cadere setto il dominio degli Ateniesi grazie all’aiuto che ebbe dagli Spartani, Siracusa dovette pensare a una nuova guerra contro i Cartaginesi, che intanto avevano fatto notevoli progressi in Sicilia e che nel 409 si erano impadroniti d’Imera, di Selinunte e infine anche della potente e ricchissima Agrigento; città che avevano ridotte un mucchio di rovine.

Questi fatti e soprattutto la distruzione di Agrigento scossero talmente i Siracusani, da suscitare fra loro nuovi e gravissimi contrasti; in mezzo ai quali si fece strada e s’innalzò a gran potenza Dionisio o Dionigi, uomo di umile origine, ma di molto ingegno e di molta cultura, prode soldato, valente oratore. Egli vinse con arte i sospetti che alimentavano le sue mire ambiziose, accrebbe con accorta politica la sua autorità, e usando poi la forza e il terrore, si sbarazzò degli avversari e dei colleghi, e al pari dei Gelone si fece capo della città, restaurandovi la monarchia (406 a. Cr.).
Conseguita la suprema autorità dello Stato, si rivolse presto contro i Cartaginesi, e d’allora in poi fino alla venuta di Pirro (e quindi per 130 anni) la guerra fra Siracusa e Cartagine, che si contendevano il dominio di tutta l’isola, non fu troncata se non per brevi intervalli, per poi essere ripresa ogni volta con maggior vigore, senza che l’una delle due parti riuscisse mai ad espellere l’altra.
Dionigi combatté valorosamente ed a lungo; ma i potenti Cartaginesi riuscirono perfino a cingere d’assedio Siracusa stessa. Tuttavia egli seppe cogliere un momento opportuno per assalire a sua volta gli assedianti, e li costrinse a ritirarsi. E allora la guerra fu sospesa. Sicuro da quella parte, l’ambizioso Dionigi si rivolse al continente italico e conquistò Reggio; poi, chiamato a dare aiuto a Sparta, che era allora in guerra con Tebe ed era assalita da Epaminonda nello stesso Peloponneso (368 a. Cr.), vi mandò un corpo di mercenari, felice non tanto di aiutare l’antica alleata che altre volte aveva aiutato Siracusa, quanto di potersi ingerire nelle faccende della Grecia. E il soccorso di lui fu, efficacissimo a Sparta.

“Né Dionigi, che regnò 38 anni (dal 406 al 363) si occupò soltanto di guerre, ma, amante delle lettere e delle scienze, accolse alla sua corte letterali e scienziati, e favorì sempre più lo sviluppo della coltura siracusana. Cinonostante egli si mostrò talvolta crudele, e poiché una trista azione basta ad oscurarne molte buonissime, così la fama delle sue crudeltà rimase nella storia superiore a quella delle sue splendide gesta, quantunque tale trista fama spetti più specialmente al suo figlio e successore Dionigi II, o il giovane. Costui, per animo e per costumi ben diverso dal padre, si diede tutto ai piaceri e alle dissolutezze, e straziò Siracusa colle sue barbarie, finché un suo parente, Dione, riuscì a deporlo a esilirlo e ad occupare il suo posto (459).

Respirarono i Siracusani sotto il quinquennale regno di Dione, che diede buone leggi e governò saggiamente, reprimendo con severità le inique trame dei suoi avversari; ma egli fu proditoriamente assassinato nel 454.
” Spento Dione, lo Stato siracusano fu per vari anni tormentato da molti ambiziosi, che successivamente se ne fecero tiranni, finché tornò Dionigi stesso, che, ricuperato il trono perduto, esercitò le più sfrenate vendette. Naturalmente scoppiarono allora nuove agitazioni, e di queste approfittarono i Cartaginesi, rinnovando la guerra a Siracusa e rafforzando ed estendendo il loro dominio in Sicilia.


“Le città greche dell’isola si rivolsero allora per aiuto a Corinto, la quale vi mandò un esercito sotto gli ordini del valoroso Timoleone. Questi assalì dapprima il tiranno Dionigi, che, sconfitto, si ritirò definitivamente in Grecia (344); poi volse le armi contro i Cartaginesi, li sconfisse e li obbligò a desistere da ulteriori conquiste. Timoleone (che, quand’era a Corinto, aveva commesso un orrendo delitto, uccidendo il proprio fratello perché mirava a farsi tiranno), rimasto adesso incontrastato signore di Siracusa, coerente ai suoi principi liberali, non se ne fece sovrano, ma vi ristabilì la repubblica democratica, dandole un governo saggio, bene ordinato in ogni ramo della pubblica amministrazione, e tale insomma da impedire gli eccessi della libertà come quelli della oligarchia. Per nulla insuperbito della gloria acquistata e degli onori di cui lo colmavano i riconoscenti Siracusani, non volle alcun privilegio per sé, e visse in città da privato, adorato da tutti. Per opera sua Siracusa godette un periodo di felicità, nel tempo in cui la Grecia passava sotto il dominio macedonico».

Ma quel periodo a Siracusa fu breve. Morto Timoleone nel 336, a poco a poco tornò a mancare la concordia fra i cittadini ; risorsero i capi parte, e con essi le lotte intestine; e queste sfociarono infine nell’anarchia, la quale aprì la strada ad un altro tiranno. Fu questi Agatocle, un avventuriero di oscura origine, ma di molto ingegno ed audacia, che riuscì ad usurpare il supremo potere e a farsi padrone di Siracusa (317). Egli riprese allora a combattere contro i Cartaginesi, e mostrò tanta ardire e perizia, da portare la guerra nel cuore stesso della potenza nemica (come nessuno aveva fatto prima di lui, e come solo più tardi fecero Attilio Regolo e Publio Cornelio Scipione, romani). Ma in Africa fu sconfitto, e dovette fuggire velocemente a Siracusa, dove, usando rigori e supplizi, consolidò il suo dominio, mentre i Cartaginesi consolidavano il loro sulla maggior parte della Sicilia.
Dopo la subita sconfitta, sia per far fronte ai Cartaginesi, sia per mantenersi più sicuro sul trono, Agatocle assoldò molti mercenari della Campania (Italia), che si
 chiamavano mamertini, cioè seguaci di Marte, e si davano al servizio di chi li pagava meglio; in questo modo Agatocle continuò a reggersi nell’usurpato dominio fino alla sua morte, che avvenne nel 289 a. Cr. (Era il tempo delle guerre fra i successori di Alessandro il grande). Alla morte di Agatocle i Siracusani restaurarono un’altra volta la repubblica e scacciarono dalle loro mura i Mamertini, i quali, cammin facendo per tornare in patria, occuparono Messina e vi si fermarono.

Pochi anni dopo questi fatti (che narriamo in altre pagine dedicate) nel 280, venne in Italia Pirro, chiamato dai Tarantini contro i Romani; e i Siracusani, quando intesero le strepitose vittorie che egli aveva all’inizio riportate sopra questi, lo chiamarono anch’ essi in Sicilia, perché li aiutasse contro i Cartaginesi. Pirro vi andò, e vi rimase tre anni (278-276), ma inutilmente; onde tornò in Italia contro i Romani, dai quali fu interamente sconfitto. Ma intanto la potenza di Siracusa era stata fiaccata, e quindi la preponderanza sulla Sicilia rimase quasi indisturbata in mano ai Cartaginesi.
Tuttavia i Siracusani, condotti da un prode loro ufficiale, Gerone, assalirono in questo frattempo i Mamertini di Messina e li vinsero (270 a. Cr.); per la quale vittoria essi stessi proclamarono re il loro capo col nome di Gerone II, e restaurarono così la monarchia. Che durò poco, sei anni dopo, essendosi proposto Gerone II di espellere per sempre dalla Sicilia i Mamertini, questi chiamarono in loro soccorso contro di lui, prima i Romani e poi i Cartaginesi (264 a. C.), e porsero così l’occasione ai rivali venire a guerra fra loro, iniziando la famosa prima guerra punica.

« Gerone Il, sconfitto dai Romani, fece presto la pace, anzi si alleò con loro (263 a. C.); e per questo, alla fine della prima guerra punica, espulsi i Cartaginesi dalla Sicilia, e passata questa ai Romani, Siracusa fu lasciata a Gerone Il, che si mantenne fedele alleato di Roma per tutta la vita. Ma nella seconda guerra punica, dopo la morte di Gerone (216), avendo i Siracusani abbandonata l’alleanza romana per passare dalla parte dei loro antichi rivali, i Cartaginesi, la loro città fu assalita da un esercito romano condotto dal prode Marcello « la spada di Roma », e dopo un memorabile assedio di due anni, nonostante il genio del grande Archimede che faceva, si può dire, miracoli per salvarla, essa fu presa, e divenne così, al pari delle altre città greche dell’isola, possesso della repubblica romana (212 a. C.).

« Così cadde questa grande città, la più vasta e la più popolata dell’Italia antica. In essa la monarchia e la repubblica si erano alternate con frequenti e sempre dannose vicende, e la mancanza di uno stabile governo e della conseguente assenza di concordia le recò quella fatale debolezza, che doveva infine ridurla all’estrema rovina».