LUIGI ZAMBONI

LUIGI ZAMBONI


Studente in Legge e martire dell’Indipendenza (Bologna, 12 ottobre 1772 – Bologna, 18 agosto 1795)
Luigi ZamboniPochi bolognesi e ancor meno studenti conoscono l’origine del nome della via universitaria per eccellenza: via Zamboni. Appena unita l’Italia, nel 1867, l’antica strada San Donato venne intitolata al giovane laureando in Legge, Luigi Zamboni, che assieme all’amico Giovanni Battista De Rolandis e ad altri ragazzi infiammati dagli ideali francesi, aveva tentato nel 1795 di liberare la città dall’assolutismo della Chiesa.

Luigi Zamboni nacque nel 1772 da genitori di modeste fortune. Il padre Giuseppe era commerciante di stoffe in via Strazzacappe, dove ancora una lapide ricorda i luoghi natali del giovane rivoluzionario locale.

Nonostante le umili origini, Luigi ebbe modo di iscriversi alla facoltà di Legge e nello stesso periodo, nel 1790, si avvicinò ai movimenti antipapalini, che cospiravano per la cacciata del legato pontificio e il ripristino dell’assetto comunale.

I sentimenti di libertà dello studente vennero intercettati dal sedicente ‘abate Bauset’, alias Antoine Christophe Saliceti, che lo coinvolse in una più organizzata rete cospirativa di stampo internazionale.

Zamboni, capendo che Bologna e l’Italia tutta ancora non erano pronte a una rivolta di portata collettiva, decise di imbarcarsi per la Francia dove, arruolato nella milizia Rivoluzionaria, potette assimilare meglio tanto gli ideali quanto i modi armati della democrazia d’oltralpe.

Dopo varie esperienze entusiasmanti in Corsica, Sardegna e a Perpignano, si sentì pronto a intraprendere una missione segreta sotto falso nome, quello di Luigi Rinaldi, col quale si iscrisse nella cavalleria pontificia romana, per spiarne tattiche e mosse, in vista di una più decisa rivolta contro l’assolutismo della Chiesa.

Quando poi tornò a Bologna, nel 1793, trovò ad attenderlo il Saliceti, che lo presentò a nuovi compagni sovversivi.

Tra questi, Luigi strinse subito amicizia col giovane aristocratico astigiano Giovanni Battista De Rolandis, mandato dalla madre nel capoluogo emiliano proprio per tenerlo lontano dai disordini che lo stesso ragazzo aveva innescato a seguito di alcune critiche nei confronti del Seminario nel quale era iscritto. A Bologna il nobile idealista era iscritto alla facoltà di Teologia e alloggiava in quello che ai tempi era il collegio riservato ai piemontesi, la Palazzina della Viola, attuale sede dell’Area Relazioni Internazionali d’Ateneo.

Luigi e Giovanni Battista si misero a capo di una piccola congrega composta da altri studenti universitari, alcuni giovani laureati e altri semplici ragazzi di strada. Spinti dall’entusiasmo, intrapresero ben presto una malriuscita sommossa nella notte tra il 13 e il 14 novembre del 1794, che mirava alla cacciata delle guardie svizzere, al sequestro del legato pontificio, alla liberazione dei carcerati politici e alla distribuzione delle armi al popolo.

Ma la rivolta non riuscì a coinvolgere adeguatamente la cittadinanza e alla fine Zamboni e De Rolandis, traditi da due loro compagni, vennero catturati mentre tentavano la fuga sull’appennino tosco-emiliano.

Vennero riportati in città e imprigionati nelle Carceri del Torrone, in Palazzo Comunale.

Su di loro iniziò un lungo processo, fatto di interrogatori e torture, durante il quale, il 18 agosto del 1795, Luigi Zamboni venne trovato appeso a una fune. Gli atti parlarono di suicidio, anche se fin da subito circolarono voci sul suo possibile assassinio.

De Rolandis, invece, venne pubblicamente impiccato l’anno seguente, il 23 aprile del 1796: ironia della sorte, a pochissimi giorni dall’arrivo in città di Napoleone Bonaparte, il 19 giugno.

Bologna ricompensò ben presto i due ragazzi, le cui ceneri vennero portate in trionfo per le vie della città, fino ad essere collocate in un’urna su un’alta colonna nella piazza del Mercato, l’attuale piazza VIII Agosto.

Il cenotafio venne però distrutto pochi anni dopo, nel 1799, durante il breve ritorno degli austriaci, e in quell’occasione le ceneri dei due rivoluzionari furono disperse.

Dopo il periodo napoleonico, all’epoca della Restaurazione, a Bologna si continuò a mal sopportare il potere assoluto della Chiesa e questa volta anche numerose famiglie senatorie iniziarono a organizzare nei loro silenziosi spazi segreti circoli carbonari, massonici e irredentisti, come quello che si teneva in Palazzo Hercolani, attuale sede del Dipartimento di Scienze Economiche, di Scienze Politiche e Sociali e di Sociologia e Diritto dell’Economia.

Proprio in una delle sue sontuose sale, due Vittorie alate portano i colori di Francia e Italia, sorelle democratiche in quegli anni così bui.

Quando il Paese infine venne unito, di Zamboni e De Rolandis si iniziò a celebrare la figura proprio in merito al tricolore italiano.

La loro fama e il loro merito vennero ristabiliti grazie all’edizione del 1860 del “Martirologio italiano dal 1792 al 1847” di Giuseppe Ricciardi. A quest’opera, che fece conoscere a tutti le gesta dei due ‘proto-rivoluzionari’ risorgimentali, seguì, nel 1862, “I primi martiri della libertà italiana e l’origine della bandiera tricolore o congiura e morte di Luigi Zamboni di Bologna e Gio. Battista De Rolandis di Castel d’Alfero presso Asti tra da documenti autentici e narrata da Augusto Aglebert”, in cui l’Aglebert riportò che lo stesso De Rolandis, in una seduta d’appello, aveva sostenuto che, durante la sommossa, la madre e la zia di Zamboni avevano confezionato coccarde con tre colori: il bianco, il rosso e il verde; quest’ultimo diverso dal celeste, per distinguere l’insurrezione italiana dalla rivoluzione francese.

Tale testimonianza pubblicizzata in questa maniera portò i bolognesi a proclamarsi fautori dei colori italici, fino a quando la teoria portata avanti dal trattatello venne successivamente smontata dall’accademico Vittorio Fiorini che nelle carte giudiziarie non trovò alcun documento in merito. Anzi, attraverso una dichiarazione ritrovata dello stesso Zamboni, si capì che il verde era solo la fodera del piccolo simbolo rivoluzionario, i cui colori, bianco e rosso, non volevano rimandare agli ideali francesi, bensì ai colori comunali bolognesi. Persino Antonio Aldini, politico, nonché docente di Diritto all’Alma Mater Studiorum, quando difese in tribunale De Rolandis, sostenne che il suo assistito inneggiava unicamente alla liberazione di Bologna e non ai valori rivoluzionari d’oltralpe, ricordando la bicromia comunale delle coccarde trovate in suo possesso.

La difesa di Aldini è tuttavia in contraddizione con il racconto che fece Ito De Rolandis nel suo ‘Origine del Tricolore’, quando ricorda che lo stesso avvocato riconsegnò la coccarda di Giovanni Battista ai suoi familiari piemontesi e che in essa era presente anche il verde.

Oggi è comunque assodato il fatto che il primo tricolore sia comparso a Milano nel 1796 e che venne definitivamente consacrato alla causa italiana nella seduta del 7 gennaio 1797 durante il Congresso Cispadano di Reggio Emilia.

La questione sulla bandiera italiana era riuscita comunque a promuovere nel ricordo collettivo Luigi Zamboni e Giovanni Battista De Rolandis, dei quali Giosuè Carducci ricordò le gesta nell’ode “Nel vigesimo anniversario dell’VIII Agosto 1848”.

Le mie vittorïose aquile io voglio
Piantar dove moriva il tuo Zamboni
A i tre color pensando; …

L’anno prima di questa onorificenza poetica, il Comune aveva intitolato ai giovani insorti due strade cittadine che ancora oggi si incontrano nel cuore della cittadella universitaria. A Luigi Zamboni si dedicò proprio l’antica strada San Donato, su cui, pochi anni dopo la sua morte, nel 1803, si era trasferita la nuova sede dell’Alma Mater Studiorum.