LUIGI CAPUANA

LUIGI CAPUANA

La vita

Nato a Mineo in provincia di Catania nel 1839, da una famiglia di proprietari terrieri, trascorse buona parte della giovinezza impegnandosi nell’attività politica in favore di Garibaldi e dell’unità d’Italia prima e come ispettore scolastico dopo il 1871.

Tra il 1864 e il 1868 visse a Firenze svolgendo attività di critico teatrale per il giornale fiorentino “La Nazione”. Lavorò come giornalista anche a Milano (1877-1882) presso il “Corriere della Sera” e a Roma (1882-1884) dove diresse “Il Fanfulla della domenica”. Sulla sua formazione letteraria influì sia il soggiorno fiorentino, dove entrò in contatto con letterati famosi (Prati, Aleardi, Fusinato, Capponi) e conobbe Verga, sia il soggiorno milanese durante il quale, insieme a Verga, frequentò l’ambiente degli scapigliati. A Roma conobbe un altro grande conterraneo, Luigi Pirandello, il quale, dopo aver iniziata l’attività letteraria come poeta, scoprì la sua autentica vena di narratore proprio per i suggerimenti di Capuana.

Rimase a Roma come professore di letteratura italiana all’Istituto Superiore di Magistero sino al 1884, quindi passò ad insegnare estetica e stilistica all’Università di Catania, città nella quale si stabilì definitivamente. Rientrato a Mineo si dedicò agli studi teorici sulla letteratura, oltre che alle opere filosofiche di Hegel e ai testi del Positivismo. Morì a Catania nel 1915.

Capuana fu il teorico e il divulgatore del verismo; a lui si deve il primo romanzo verista Giacinta (1879). Scritto dopo la lettura di Madame Bovary di Flaubert ispirandosi a un caso di vita vera, il racconto, che è dominato dal canone verista dell’impersonalità, presenta l’analisi minuziosa e quasi clinica della vita dei singoli personaggi. Ma il suo capolavoro è Il Marchese di Roccaverdina (1901). Pregevoli sono anche dei racconti per l’infanzia e molto importanti gli studi critici che fanno di Capuana il miglior critico letterario dell’Italia del suo tempo.

Fondatore del verismo insieme a Giovanni Verga, Capuana fu superiore a Verga come teorico ma inferiore come scrittore. Infatti, mentre Verga è riuscito a dare una rappresentazione storicamente precisa ma soprattutto intimamente umana degli umili, visti come portatori di una civiltà degnissima di rispetto, Capuana è rimasto legato per certi versi agli aspetti scientifici del naturalismo francese. Ne deriva un gusto (evidente in Giacinta) per il caso patologico e per la precisa ricostruzione storica e ambientale. Anche nel Marchese di Roccaverdina l’aspetto patologico (la pazzia) e la minuta descrizione dell’ambiente sono strettamente collegati all’analisi psicologica del personaggio principale.

GIACINTA (1879)

Giacinta, figlia di un padre inetto e di una madre intrigante, avida di denaro e di godimento, è violentata, ancora bambina, da un giovanetto, servo di casa. Solo più tardi, da fanciulla, attraverso le chiacchiere delle domestiche, ella conosce la sciagura, della quale aveva perduto perfino la memoria.

La rivelazione provoca in lei una disperata aberrazione: ella non vorrà mai sposare l’uomo che ama, Andrea, e sarà invece la sua devota e appassionata amante fin dal giorno delle sue nozze con un vecchio conte Giulio, il quale accetta di vivere fraternamente con la moglie, senza inquietarsi della continua presenza, in casa, di Andrea. Giacinta ostenta quasi la sua passione per Andrea, che dopo la nascita di una bambina le sembra consacrata per sempre.

Quando la madre di lei, preoccupata della sua condotta, riesce, per salvare le apparenze, a far traslocare Andrea, Giacinta obbliga l’amante a dare le dimissioni dall’impiego e ad accettare, per vivere, il danaro che ella gli offre. Da quel momento Andrea, in cui l’amore cominciava ad affievolirsi, sente nella nuova situazione falsa ed avvilente aumentare l’insofferenza del suo legame con Giacinta senza però trovare la forza di rompere. La bambina intanto si ammala di difterite e muore; l’indifferenza di Andrea di fronte alla sventura, fa comprendere a Giacinta come sia irreparabilmente finito quell’amore a cui si era abbandonata con una foga testarda; e poiché la vita ormai, per lei, non ha più senso, si uccide.

Alcuni critici hanno sostenuto che manca a questo romanzo la dignità di stile e la forza rappresentativa necessarie a salvare la narrazione dalle strette del caso patologico e dello scandalo. Preoccupato soltanto di serbar fede al canone naturalista, l’autore non si sarebbe accorto che fra tanti particolari di vita reale, minuzie quasi cliniche, i suoi personaggi rimanevano anonimi, vaghi, privi della necessaria vita fantastica.

Altra opera importante è Il marchese di Roccaverdina (1901).