LUDOVICO ARIOSTO LE OPERE MINORI

LUDOVICO ARIOSTO LE OPERE MINORI


Nacque a Reggio Emilio nel 1474. Si trasferì con la famiglia a Ferrara e visse in quella città, signorile e fastosa, che egli amò intensamente e sentì come la sua vera patria. Il padre, che lo aveva destinato alla vita di corte, volle che si dedicasse agli studi di diritto, ma vista l’avversione del figlio per essi, lo lasciò libero di seguire la sua vocazione letteraria. L’Ariosto, quindi, si dedicò quindi agli studi umanistici, approfondendo soltanto la lingua del latino e non quella del greco. Lo svolgimento dei suoi studi fu troncato dalla prematura morte del padre. In quest’occasione, infatti, Ludovico, figlio primogenito, dovette provvedere all’educazione e alla sistemazione dei suoi fratelli e delle sue sorelle e dovette dedicarsi alla difficile amministrazione dell’insufficiente patrimonio. Per poter affrontare queste difficoltà, l’Ariosto fu costretto ad iniziare la vita di corte e vide sfumare il suo sogno di diventare dotto umanista. Entrò al servizio del cardinale Ippolito d’Este, fratello del duca di Ferrara nel 1503, e vi rimase fino al 1517. Non furono anni felici per Ariosto: il cardinale era uno spirito pratico e sbrigativo, che non ammirava le capacità poetiche del suo “segretario”. Da poeta, come dice Ariosto, lo fece “cavallaro” affidandogli missioni diplomatiche. Il poeta si stanca di questa situazione per cui quando nel 1517 l cardinale Ippolito decide di raggiungere il suo vescovado in Ungheria, fu licenziato in quanto si rifiutò di seguirlo. In quell’occasione entrò al servizio del duca Alfonso, e visse per qualche anno più sereno. Nel 1522, infatti, dovette accettare gli incarichi di governatore della Garfagnana , un territorio da poco ritornato sotto il dominio estense infestato dai banditi. L’Ariosto trascorse tre anni in quella terra, assolvendo i suoi compiti con saggezza e abilità, ma soffriva perché si sentiva un esiliato. Muore a Ferrara nel 1533. L’Ariosto amava soprattutto la quiete della propria casa, l’intimità degli affetti domestici, i viaggi che poteva compiere con l’immaginazione sfogliando le carte geografiche. Un solo ideale sembra dominare la sua vita, quello dell’”otium” , cioè della tranquillità raccolta; una vita semplice, lontana da ogni ambizione, immersa in un sereno fantasticare. L’Ariosto nutre una gran fiducia nell’uomo, nella sua capacità di comprendere e dominare la realtà degli eventi, attraverso la ragione.

Le opere minori

Tra le opere minori dell’Ariosto si ricordano i “Carmina”, cioè una raccolta di poesie latine, scritta come esercizio letterario, sotto la guida dei classici latini, che venivano considerati dall’umanesimo e dal Rinascimento come maestri di stile e di vita. In lingua italiana sono le “Rime”, che comprendono sonetti, canzoni e componimenti in terzine. Sono quasi tutte dedicate alla donna che amò ed esprimono l’amore come serena gioia vitale. Le rime, come tutta la lirica del Cinquecento, imitano la forma petrarchesca, ma lo spirito è assai lontano dal canzoniere del Petrarca, ricco di introspezione. L’Ariosto scrisse anche delle commedie come per esempio: la Cassaria, i Suppositi, il Negromante. Queste commedie hanno un’importanza notevole nella storia della letteratura italiana perché costituiscono un modello per tutto il teatro del Cinquecento, che limitava anch’esso i classici latini, soprattutto Plauto. Le migliori tra le opere minori dell’Ariosto sono le “Satire”. Si tratta di lettere poetiche scritte in terzine, dedicate dall’Ariosto a parenti e amici. Traggono spunto dall’esperienza quotidiana e rappresentano una meditazione del poeta su se stesso, sugli uomini e sulle cose che lo circondano. La prima satira espone i motivi per i quali il poeta non volle seguire il cardinale Ippolito in Ungheria, e racconta i rapporti intercorsi tra l’Ariosto e il suo avaro protettore, mette in evidenza il vivo desiderio del poeta di quiete, di una vita semplice, rallegrata dal culto degli affetti domestici e della poesia. Nella seconda il poeta delinea un quadro della corruzione della corte pontificia. La terza racconta come sia passato al servizio del duca Alfonso. In questa satira il poeta esprime il suo desiderio di evadere dalla vita cortigiana, a favore di un’esistenza raccolta e tranquilla; afferma che può trovare la pace del cuore solo chi non si affida all’ambizione, troppo legata alla mutevole fortuna. La quarta diretta della Garfagnana espone le pene del poeta, lontano da Ferrara e dalla donna che ama, fonte primaria della sua poesia, costretto a vivere fra mille affanni in quel territorio turbolento. La quinta contiene considerazioni sul matrimonio e sulle donne in genere. Nella sesta il poeta prega il Bembo di trovare un maestro greco per il figlio, ricorda la propria giovinezza, i propri studi troncati, e lamenta gli affanni della sua esistenza. Nella settima il poeta ringrazia il segretario del duca della proposta di nominato ambasciatore presso il papa, ma lo prega di richiamarlo a Ferrara. Le satire presentano gli ideali del poeta. Si sente in esse l’influenza del poeta latino Crazio, che aveva affermato un ideale di vita semplice, serena e raccolta, lontana dall’affannarsi dietro le ambizioni; voleva ricercare la felicità non fuori di sè, ma in se stessi, in una meditazione della nostra esistenza, in una comprensione del nostro animo. L’ideale del poeta latino era una poesia che fosse studio dell’uomo, ricerca e conquista della saggezza. Nelle satire dell’Ariosto, che si rifanno al poeta latino, troviamo espressi equilibrio, misura, serena accettazione della vita: questi tre elementi forniscono per l’Ariosto la felicità vera, cioè la pace del cuore.

Orlando Furioso

Fu il sogno di una vita. L’Ariosto incominciò a scriverlo tra il 1503 e il 1504 e ne pubblicò una prima edizione nel 1516. Questa edizione non lasciò soddisfatto il poeta, che ha pubblicato il suo poema per la seconda volta nel 1521. Ma neppure questa volta il poeta fu soddisfatto, per cui cominciò a correggere il suo lavoro, a togliere alla lingua ogni elemento dialettale emiliano tenendo come punto di riferimento il toscano letterario. L’ultima e definitiva edizione si ebbe nel 1532, un anno prima della sua morte. Il ” Furioso” si allaccia all’Orlando innamorato del Boiardo; anzi l’Ariosto lo presenta come un’aggiunta e una conclusione di esso, riprendendo il racconto nel punto in cui il suo predecessore l’aveva lasciato interrotto. Se nell’Orlando innamorato, il paladino cristiano ere innamorato di Angelica, nell’opera dell’Ariosto, diventa ” Furioso”, cioè pazzo per amore; se nel poema del Boiardo si delineava una guerra decisiva tra cristiani e saraceni, nel “Furioso” essa giunge alla fine. Come il Boiardo, l’Ariosto accetta la fusione dei due cicli cavallereschi francesi: cioè quello epico con quello dell’amore e d’avventura, dando prevalenza a quest’ultimo. Due sono le storie centrali del poema: la pazzia d’Orlando, e l’assedio posto dai mori a Parigi. L’”Innamorato” era rimasto interrotto all’imminenza di una grande battaglia tra saraceni e cristiani. Prima di essa, Carlo Magno aveva consegnato Angelica, oggetto di discordia tra i cugini.

Ornaldo e Rinaldo, entrambi innamoratissimi di lei, al vecchio Namo, per assegnarla dopo la battaglia a quello dei due eroi più valorosamente combattuto. Da qui parte l’Ariosto. Durante la battaglia che si risolve con la sconfitta dei cristiani, Angelica fugge da Namo e la sua fuga si concluderà, dopo molte avventure, quando ella incontrerà un umile fante saraceno, il giovane Medoro, ferito. Alla fine Angelica cura Medoro e si innamora di lui. Sulle sue tracce nel frattempo si mettono molti guerrieri sia saraceni sia cristiani, innamorati di lei. Tra costoro c’è anche Orlando, che giunge nel luogo dove la coppia felice ha celebrato le nozze. Dagli alberi in cui sono stati scritti i loro nomi, dal pastore che ha ospitato Angelica e Medoro, Orlando ha la rivelazione di questa verità e la sua mente ne rimane sconvolta. Nudo e fuori di senno, corre per la Francia e per la Spagna, compiendo imprese terribili. Alla fine giunge in Africa dove incontra il paladini Astolfo , il quale si reca sulla luna per riprendere il senno smarrito di Orlando, gli fa odorare l’ampolla in cui esso è contenuto e lo libera dalla follia. La vicenda di Orlando e di Angelica si svolge sullo sfondo della guerra tra cristiani e saraceni. Questa culmina con l’assedio di Parigi e il vano assalto della città. La guerra poi si sposta in Africa e si conclude con la sconfitta dei saraceni. Tra le numerose storie, ha importanza quella di Ruggero, che milita non sapendo di essere nato da genitori cristiani in campo saraceno e quella di Bradanate, sorella di Rinaldo, quindi cristiana. Nella storia d’amore di questi due giovani ha una parte rivelante il mago Atlante, che cerca di tenere lontani i due giovani sapendo che dopo le loro nozze Ruggero andrà incontro a prematura morte. Dopo aver superato numerosi ostacoli, i due giovani possono finalmente sposarsi. Durante il banchetto nuziale giunge il saraceno Rodomonte che sfida Ruggero accusandolo di tradimento. Con questo duello e la morte di Rodomonte, si conclude il poema.

Nell’opera, l’elemento meraviglioso, magico o fantastico si mescola alle azioni, creando una mescolanza tra realtà e sogno. Nell’opera lo sguardo dell’autore è rivolto a scrutare nell’intimo dell’animo umano, a coglierne le complesse reazioni e i contrastanti sentimenti. Il poema, proprio per l’attenzione dell’Ariosto alla complessità dell’animo umano, presenta i temi dell’amicizia, della fedeltà, della lealtà dello spirito d’avventura, ma anche quelli dell’inganno, del tradimento, della violenza e della superbia. Per questo si dice che il poema, sotto il velo della favola fantastica, palpita dovunque la vita colta e rappresentata nella sua inesauribile complessità. I personaggi e le vicende non sono una originale invenzione dell’Ariosto, che li ha ripresi dalla tradizione romanzesca carolingia e bretone e dai classici latini e greci. Ma all’Ariosto, più che la semplice invenzione materiale, interessa l’intreccio dei fatti, che hanno il compito di dare un’immagine complessiva della vita nei suoi molteplici aspetti, rientrando con quest’atteggiamento nella visione rinascimentale dell’uomo e del mondo. L’Ariosto ha utilizzato il vecchio mondo cavalleresco, ormai tramontato, come scenario sul quale proiettare la moderna sensibilità rinascimentale, fondata sulla piena rivalutazione dell’uomo, del suo intelletto, della sua libertà, dei suoi affetti. In questo poema l’autore presenta l’affermazione della vita terrena, lontana dall’ansia metafisica, dal senso della fragilità e del peccato che avevano caratterizzato la spiritualità medievale. Al centro del poema è l’uomo, visto nella sua libera avventura terrena, nei suoi limiti, nei suoi errori, nelle sue contrastanti passioni, ma soprattutto nella sua sostanziale dignità. L’intervento dell’autore si avverte nella moralità, cioè in osservazioni che rivelano la profonda saggezza dell’Ariosto e nell’ironia, cioè quel sorriso che rappresenta l’atteggiamento indulgente e di comprensione con cui il poeta contempla le azioni dei suoi personaggi. Nel poema si coglie l’anima aristesca, un’anima affabile, serena, che conosce le difficoltà del vivere, che mostra comprensione per la miseria e la meschinità degli uomini. Dal poema appare evidente come l’ideale del poeta sia quello di raggiungere la “mediocrità”, nel senso che la parola aveva negli scrittori latini, cioè il senso della misura, dell’equilibrio di chi non si lascia dominare da false speranze, né dalle angosciose delusioni.