LUCREZIO Il sacrificio di Ifigenia

LUCREZIO Il sacrificio di Ifigenia


traduzione (non letterale) + mito di Ifigenia


Illud in his rebus vereor, ne forte rearis
impia te rationis inire elementa viamque
indugredi sceleris. Quod contra saepius illa
religio peperit scelerosa atque impia facta.
Aulide quo pacto Triviai virginis aram
Iphianassai turparunt sanguine foede
ductores Danaum delecti, prima virorum.
Cui simul infula virgineos circumdata comptus
ex ultraque pari malarum parte profusast,
et maestum simul ante aras adstare parentem
sensit et hunc propter ferrum celare ministros
aspectuque suo lacrimas effundere civis,
muta metu terram genibus summissa petebat.
Nec miserae prodesse in tali tempore quibat
quod patrio princeps donarat nomine regem.
Nam sublata virum manibus tremibundaque ad aras
deductast, non ut sollemni more sacrorum
perfecto posset claro comitari Hymenaeo,
sed casta inceste nubendi tempore in ipso
hostia concideret mactatu maesta parentis,
exitus ut classi felix faustusque daretur.
Tantum religio potuit suadere malorum.


In questo argomento temo ciò, che per caso
tu creda d’iniziarti ai principi di un’empia dottrina
e di entrare in una via scellerata. Poichè invece più spesso
fu proprio la religione a produrre scellerati delitti.
Così in Aulide l’altare della vergine Trivia
turpemente violarono col sangue d’Ifianassa gli scelti
duci dei Danai, il fiore di tutti i guerrieri.
Non appena la benda ravvolta alle chiome virginee
le ricadde eguale sull’una e l’altra gota,
ed ella sentì la presenza del padre dolente
presso l’altare, e che vicino a lui i sacerdoti celavano il ferro,
e alla sua vista i cittadini non potevano trattenere le lacrime,
muta per il terrore cadeva in terra in ginocchio.
Né in quel momento poteva giovare alla sventurata
l’avere per prima donato al re il nome di padre.
Infatti, sorretta dalle mani dei guerrieri, è condotta tremante
all’altare, non perchè dopo il rito solenne
possa andare fra i cori dello splendente Imeneo,
ma empiamente casta, proprio nell’età delle nozze,
perchè cada, mesta vittima immolata dal padre,
affinchè una fausta e felice partenza sia data alla flotta.
Tanto male potè suggerire la religione.

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Il mito di Ifigenia

Il mito di Ifigenia ha un’origine lontanissima. Originariamente Ifigenia era una divinità della natura, il cui culto, diffuso in Grecia, era spesso associato a quello di Artemide. E’ probabilmente a questo ruolo ancestrale di divinità agreste che va fatto risalire l’accostamento con il rito del sacrificio, da intendere come un rito propiziatorio collegato alla fertilità dei campi. Nonostante la sua origine remota, la versione del mito che noi conosciamo e che aveva nel sacrificio il suo nucleo centrale, non pare essere nota a Omero, che nell’Iliade dimostra di conoscere Ifigenia ma non la associa a nessun sacrificio. E’ solo nel V secolo a.C. che la vicenda mitologica fa la sua comparsa in letteratura.

Il primo autore a trattarla è Eschilo, che nell’Agamennone la collega alla catena di empietà commessa dagli Atridi, insistendo più sulla colpa del re che sul fatto in sé. Quando il mito viene riaffrontato da Sofocle dell’Elettra, il tragediografo tenterà invece una giustificazione all’atteggiamento di Agamennone, sottolineando l’imposizione da parte di Artemide.

E’ con Euripide, però, che il sacrificio di Ifigenia diviene soggetto di due tragedie: Ifigenia in Tauride e Ifigenia in Aulide. Euripide introduce nel mito una variante sostanziale, perchè il sacrificio umano non si compie: Artemide, infatti, salva Ifigenia e la trasporta in Tauride, dove solo molti anni dopo sarà ritrovata dal fratello Oreste nelle vesti di una sacerdotessa.
Al di là dell’esito della vicenda, nella tragedia si affronta la riflessione se sia o no lecito il sacrificio umano e la risposta che ne scaturisce è che è giusto il sacrificio volontario in nome dell’amor di patria.

Anche la pittura si è interessata a Ifigenia. Si ricordano il celebre dipinto di Timante citato da Cicerone nell’Orator, da Quintiliano (Institutio oratoria) e da Plinio il Vecchio (Naturalis istoria), l’affresco della Casa dei Vettii a Pompei e il bassorilievo del cosiddetto “Altare di Cleomene” a Firenze.

Dopo Lucrezio, il mito non appare praticamente ripreso, forse perchè il tema risultava scottante. In età moderna solo Racine e Goethe hanno riaffrontato la tematica; il primo del dramma Iphigénie en Aulide (1674), da cui fu tratto un libretto per un melodramma di Gluck, che propone una Ifigenia appassionatamente innamorata di Achille ma insieme serena di fronte alla morte, il secondo con la Iphigenie auf Tauris (1786), che vede la protagonista nel ruolo di nobile salvatrice dell’umanità, a cui dona la serenità greca cercando di allontanarla dalla rozzezza, violenza e follia

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