LUCIO APULEIO BIOGRAFIA

LUCIO APULEIO BIOGRAFIA

LUCIO APULEIO BIOGRAFIA


IL CONTESTO STORICO

Con la morte di Adriano nel 138 d.C. diventò imperatore Tito Aurelio Antonino, detto Antonino Pio. Pur avendo 4 figli, nel 138 adottò come cesari i nipoti Marco Annio Vero e Lucio Aurelio Vero. Nel 161 ad Antonino successe Marco Annio Vero con il nome di Marco Elio Aurelio, che associò alla conduzione dell’impero il fratello Lucio Aurelio chiamato Lucio Vero, associandogli poteri pari ai suoi. Si ebbe per la prima volta nella storia i Roma una diarchia. Nel 169 Lucio Aurelio morì improvvisamente, lasciando solo Marco Aurelio, che si trovò a dover fronteggiare le invasioni dei Germani, che vennero respinti solo nel 175 circa. Marco Aurelio morì nel 180, gli successe il figlio Commodo che instaurò una tirannide, durata fino alla sua morte, avvenuta a causa di una congiura di palazzo, nel 192. 

L’epoca in cui visse Apuleio fu caratterizzata dalla seconda sofistica, periodo in cui il letterato e l’oratore godono di un favore particolare nella società in cui vivono, vengono invitati per tenere discorsi ufficiali a festa, commemorazioni, conferenze; in tali circostanze fanno vanitose ostentazioni delle loro capacità intellettuali trovando ammirazioni anche da parte della corte imperiale. 

LA VITA

Apuleio nacque intorno al 120-125 d.C. a Madauro (odierna Algeria). Studiò a Cartagine e perfezionò i suoi studi ad Atene. Viaggiò molto e andò sicuramente anche a Roma. Svolse con successo l’attività tipica del letterato dell’epoca, cioè colui che si reca da una città all’altra dell’impero facendo mostra delle sue capacità oratorie. Apuleio si trova a suo agio in questo periodo caratterizzato dalla seconda sofistica e grazie alla sua eloquenza e alle doti di brillante oratore si procura rispettabilità, fama e prestigio. Durante uno dei suoi numerosi viaggi si ferma a Oea (odierna Tripoli) dove viene ospitato in casa dell’amico di studi Ponziano. Poco dopo sposa Pudentilla, madre di Ponziano e vedova da 14 anni. Alla morte di Ponziano i parenti di Pudentilla intentano contro Apuleio una causa per magia accusandolo di aver sedotto la donna con filtri magici per costringerla alle nozze al fine di carpirle le ricchezze. Il processo fu celebrato nella città di Sabatra dal proconsole Claudio Massimo (che amministrava la giustizia). Gli avversari di Apuleio non riuscirono a provare le accuse e l’imputato si difese brillantemente dispiegando tutte le risorse della sua consumata abilità oratoria; fu assolto e successivamente ricoprì anche la carica di sacerdos provinciae a Cartagine dove fu fatta erigere una statua in suo onore. Morì tra il 170 e il 190.

LE OPERE

  • LE OPERE FILOSOFICHE: Apuleio nutrì grande interesse verso la filosofia e fu uno dei massimi rappresentanti del medioplatonismo, corrente diffusa tra il I secolo a.C. e il II secolo D.C., caratterizzata dalla ripresa delle dottrine non scritte di Platone. Tra le opere filosofiche di Apuleio, tutte giovanili, oltre ai due brevi trattati  “De Mundu” e “De Platone et eius domate”, particolarmente significativo è il “De deo Socratis”, un trattato in cui egli elabora un’articolata teoria sui demoni, creature intermedie tra la sfera umana e la sfera divina.
  • DE MAGIA o APOLOGIA à unica orazione giudiziaria di età imperiale, è la sua autodifesa durante il processo di Sabatra. Nella prima parte del discorso egli sgombra il campo da accuse secondarie, ricavate da suoi comportamenti interpretati dagli accusatori come indizi d’immoralità: ad esempio, il fatto di aver scritto poesie amorose o di far uso del dentifricio e dello specchio; respinge inoltre l’accusa di essere povero (e di aver quindi circuito la ricca vedova per interesse). Dal capitolo 25 ha inizio la confutazione dell’accusa di magia. In essa Apuleio opera una netta distinzione tra magia nera e magia bianca (theourghia) e, confutando ogni accusa di stregoneria, lascia ambiguamente intendere di aver praticato la magia bianca, considerata “positivamente” come complemento dell’attività filosofica. Con esposizioni venate di saccenteria Apuleio fa sfoggio delle sue conoscenze filosofiche, scientifiche e letterarie. Trattandosi di un’orazione giudiziaria, il modello stilistico che l’oratore ha tenuto presente è Cicerone: la sua è un’oratoria che inserisce su una base ciceroniana moltissimi abbellimenti desunti dalle scuole di retorica dei suoi tempi.
  • FLORIDA (= fiori vari) à raccolta di ventitre declamazioni che ci forniscono una documentazione della sua attività di conferenziere. Il contenuto dei “Florida” è quanto di più vario, ma anche di più superficiale si possa immaginare: davvero Apuleio, secondo la tradizione dei sofisti, è in grado di parlare su qualsiasi argomento. Egli ostenta quell’abilità tecnica e quella versatilità di cui si vanta espressamente in un passo ove dichiara di conoscere un’unica arte, quella della parola, ma di possederla in modo perfetto e di essere in grado di scrivere opere appartenenti ai più svariati generi letterari. 
  • LE METAMORFOSI

LE METAMORFOSI

Le “Metamorfosi” è l’opera narrativa che ha dato fama ad Apuleio, è conosciuta anche con il nome di “L’asino d’oro”.  Presenta somiglianze con l’opera di Luciano di Samosata ma è  più ampia e stilisticamente più pregiata.

Trama:

Il giovane Lucio di Petrasso (Grecia) dopo essersi messo in viaggio per la Tessaglia, giunge a Ipato ospite in casa di Milone, la cui moglie è una maga. Lucio ha una relazione con una servetta, Fotide, che gli permette di provare le arti della padrona. Chiede di essere trasformato in uccello ma per errore diventa asino; solo cibandosi di rose tornerà alla forma primitiva. Iniziano così le avventure dell’uomo-bestia, che però conserva intelligenza e sensibilità umana. Viene infatti catturato da una banda di briganti e costretto a lavorare duramente. Durante uno di questi lavori si ritrova in una grotta ad ascoltare una vecchia che racconta la favola di Amore e Psiche. Riesce poi a liberarsi dai briganti ma viene venduto prima a sedicenti sacerdoti, poi ad un mugnaio, quindi ad un ortolano, ad un soldato, a un cuoco ed infine ad una matrona. Viene portato a Corinto dove è destinato a tenere uno spettacolo e a congiungersi pubblicamente nell’anfiteatro a una donna condannata ad bestias, riesce a fuggire e trova rifugio nelle acque di un golfo vicino a Corinto, dove invoca la luna, simbolo di Iside. La dea ha pietà di lui e lo istruisce su dove potrà trovare le rose. Alla festa in onore di Iside a Corinto, Lucio trova le rose, ritorna in sé e diventa devoto a Iside. Per completare la sua iniziazione si reca a Roma e diviene devoto anche di Osiride, salvando la sua anima.

LA FAVOLA DI “AMORE E PSICHE”

La favola inizia nel più classico dei modi: c’erano una volta, in una città, un re e una regina, che avevano tre figlie. L’ultima, Psiche, è bellissima, tanto da suscitare la gelosia di Venere, la quale prega il dio Amore di ispirare alla fanciulla una passione disonorevole per l’uomo più vile della terra. Tuttavia, lo stesso Amore si invaghisce della ragazza, e la trasporta nel suo palazzo, dov’ella è servita ed onorata come una regina da ancelle invisibili e dove, ogni notte, il dio le procura indimenticabili visite. Ma Psiche deve stare attenta a non vedere il viso del misterioso amante, a rischio di rompere l’incantesimo. Per consolare la sua solitudine, la fanciulla ottiene di far venire nel castello le sue due sorelle; ma queste, invidiose, le suggeriscono che il suo amante è in realtà un serpente mostruoso: allora, Psiche, proprio come Lucio, non resiste alla “curiositas”, e, armata di pugnale, si avvicina al suo amante per ucciderlo. Ma a lei il dio Amore, che dorme, si rivela nel suo fulgore, coi capelli profumati di ambrosia e le ali rugiadose di luce e il candido collo e le guance di porpora. Dalla faretra del dio, Psiche trae una saetta, dalla quale resta punta, innamorandosi, così, perdutamente, del’Amore stesso. Dalla lucerna di Psiche una stilla d’olio cade sul corpo di Amore, e lo sveglia. L’amante, allora, fugge da Psiche, che ha violato il patto. L’incantesimo, dunque, è rotto, e Psiche, disperata, si mette alla ricerca dell’amato. Deve affrontare l’ira di Venere, che sfoga la sua gelosia imponendole di superare quattro difficilissime prove, l’ultima delle quali comporta la discesa nel regno dei morti e il farsi dare da Persefone un vaso. Psiche avrebbe dovuto consegnarlo a Venere senza aprirlo, ma la curiosità la perde ancora una volta. La fanciulla viene allora avvolta in un sonno mortale, ma interviene Amore a salvarla; non solo: il dio otterrà per lei da Giove l’immortalità e la farà sua sposa. Dalla loro unione nascerà una figlia, chiamata “Voluttà”. 

LE SEZIONI NARRATIVE DE “LE METAMORFOSI”

Si possono distinguere nel romanzo tre sezioni narrative, dotate di caratteristiche diverse.

La prima corrisponde ai primi tre libri, che contengono le vicende di Lucio fino alla sua trasformazione in asino. Questa parte è la più compatta e unitaria, dominata dai temi della curiositas e della magia intorno ai quali ruota tutta la vicenda, comprese le avventure erotiche e le novelle, che creano un’atmosfera soprannaturale, preparatrice della metamorfosi.

La seconda sezione corrisponde ai libri dal IV al X: essa è la più ampia e comprende, oltre alle numerose peripezie di Lucio-asino, il maggior numero delle inserzioni novellistiche, tra cui la lunghissima favola di Amore e Psiche. A differenza della sezione precedente, questa parte centrale ha una struttura assai libera e disorganica: si risolve infatti in una serie di episodi che si susseguono l’uno all’altro, legati unicamente dalla costante presenza dell’asino.

Potremmo definire la struttura di questa seconda parte “paratattica” in quanto accosta un’avventura all’altra secondo il semplice rapporto del prima e del poi. La struttura del romanzo è caratterizzata dalla presenza di una serie indefinita di episodi giustapposti che possono essere accresciuti a piacere: Ne deriva un’impressione di caotico disordine negli avvenimenti che si riverbera sulla visione generale della realtà In realtà il disordine non è la conseguenza di un’incapacità di organizzare la materia, ma è il mezzo di cui si serve lo scrittore per comunicare la confusione e l’arbitrarietà del mondo che circondo Lucio trasformato in asino.

La terza sezione, infine, corrisponde al solo libro XI, comprendente la conversione di Lucio ai misteri di Iside, il suo ritorno alla forma umana e l’adesione al culto di Osiride. E’ importante notare che il romanzo è costituito da undici libri: è un numero insolito per un’opera letteraria, ma ha un valore simbolico perché nella religione isiaca l’iniziazione avveniva nell’undicesimo giorno, dopo dieci giorni di preparazione.

Quest’ultima parte è totalmente differente dalle due precedenti, tanto che è stata considerata da alcuni studiosi come l’infelice intrusione di un elemento estraneo nel clima scanzonato del romanzo: Apuleio sarebbe ricorso a questa aggiunta, seria ma posticcia, alla scopo di ricrearsi una credibilità, dopo aver raccontato una storia piena di elementi erotici e ridicoli.

In realtà proprio in tale sezione, all’apparenza così slegata ed eterogenea rispetto a qunto precede, l’autore spiega, per bocca del sacerdote di Iside, il significato di tutta la vicenda: Lucio ha colpevolmente ceduto alla propria eccessiva inclinazione verso la curiositas; si è abbassato a perseguire serviles voluptates (con allusione alla relazione con Fotide); ha cercato di violare le leggi della natura ricorrendo alla magia. Per questo egli è caduto in balia della Fortuna cieca e crudele, ed è stato mutato nell’animale più brutto e più disprezzato (simbolo della più grossolana ignoranza e della più bassa sensualità). Soltanto la Fortuna veggente, cioè la provvidenza della dea Iside, ha potuto venirgli in soccorso e riscattarlo, ridonandogli forma umana.

Le tre parti dell’opera, pur così diverse, si organizzano dunque in una superiore unità, che deriva proprio dai loro reciproco contrasto, mentre l’apparente disorganicità del testo si compone nella tensione del racconto verso i due punti essenziali della vicenda, costituiti dalle due metamorfosi di Lucio.

CARATTERISTICHE E INTENTI DELL’OPERA

Questa complessità d’impostazione si addice particolarmente a una forma letteraria libera e “aperta” come quella che con termine moderno chiamiamo romanzo. Le Metamorfosi accentuano la molteplicità e ricchezza di temi e toni, introducendo nuovi interessi di tipo filosofico-religioso. Apuleio sceglie una forma che ai suoi tempi, grazie allo sviluppo dell’istruzione scolastica e all’opera di divulgazione culturale attuata dalla seconda sofistica, poteva raggiungere larghi strati della società: di questa forma, che era la forma d’intrattenimento prediletto da un vasto pubblico di lettori, egli si serve per approfondire un messaggio ricco d’implicazioni letterarie, filosofiche e religiose.

Non si può negare tuttavia che coesistano nell’opera due aspetti e atteggiamenti differenti ed eterogenei: da una parte la gioia del raccontare, l’intento di intrattenere piacevolmente il lettore suscitando il divertimento e il riso, dall’altra l’intento serio ed edificante.

Il primo aspetto corrisponde al programma che il narratore esplicitamente propone nel proemio con le parole: lector, intende, laetaberis (lettore, presta attenzione: ti divertirai). Questa componente è caratterizzata dal gran numero di racconti di argomento erotico, con l’intreccio di più racconti incastrati l’uno nell’altro.

L’aspetto e l’intento edificanti si rivelano, invece, nella conclusione del romanzo, quando viene proposta un’interpretazione globale dell’opera in termini di “ravvedimento” del protagonista, che attraverso una serie di disavventure si riscatta dalla caduta nella materialità e nella colpa. Questa componente dell’opera affiora tuttavia anche nella grande sezione centrale contenete la novella di Amore e Psiche, che si può leggere come una sorta di reduplicazione della trama principale e un’anticipazione dei suoi significati.

la successione degli avvenimenti della novella riprende quella delle vicende del romanzo: prima un’avventura erotica, poi la curiositas punita con la perdita della condizione beata (per Lucio, della forma umana e di un’elevata posizione sociale; per Psiche, di un giardino di delizie e dell’amore del più bello tra i numi), quindi le peripezie e le sofferenze, che vengono concluse dall’azione salvifica della divinità. L’allegoria filosofica è appena accennata, nel nome della protagonista, Psiche, simbolo dell’anima umana; ma il significato religioso è evidente soprattutto nell’intervento finale di Amore che, come Iside, prende l’iniziativa di salvare chi è caduto e lo fa di sua spontanea volontà, non per i meriti della creatura umana. A questo schema iniziatico (di un percorso che attraverso una serie di prove conduce alla salvezza grazie alla benevolenza divina) la conclusione del romanza aggiunge implicazioni soggettive. Quando infatti nell’ultimo libro lo scrittore ci rivela in Madaurense (cioè se stesso) dietro il personaggio di Lucio, autorizza e suggerisce, almeno entro certi limiti, una lettura della vicenda in chiave autobiografica.

L’elemento che più vistosamente accomuna il finale delle Metamorfosi e ciò che sappiamo della vita dell’autore è l’iniziazione a riti misterici, ma un altro importante punto di contatto tra il romanzo e chi l’ha scritto è costituito dalla magia. Non si può escutere che nelle Metamorfosi Apuleio abbia voluto riprendere, in un ambito e in modi differenti, il fine, già perseguito nel De Magia, di difendersi dall’accusa di praticare le arti magiche. Il giudizio sulla magia è infatti decisamente negativo: esso provoca quella trasformazione in asino che è l’emblema di ridursi in besta dell’uomo, della sua totale degradazione.

Più in generale, lo scrittore ha probabilmente voluto offrire ai suoi lettori una rappresentazione simbolica del proprio itinerario spirituale, che l’ha portato dall’interesse per la magia all’adesione al culto di Iside. La seconda metamorfosi, infatti, -che segna il passaggio dal mondo della casualità, del disordine e dell’errore a una condizione migliore di quella iniziale- non avviene grazie alla ragione umana o ai meriti del protagonista, ma è dovuta esclusivamente alla misericordia divina. In questo consiste il messaggio propriamente religioso del romanzo: la rinascita (che comporta l’ascesa a uno stato più alto di quello originario) ha qualcosa di miracoloso; la salvezza dell’uomo è un dono gratuito della divinità. Dunque il filosofo platonico approda alla religione attraverso l’iniziazione a un culto misterico: la razionalità cede il campo al misticismo. Non si deve tuttavia interpretare una simile posizione come una sconfessione della filosofia: già nel De Magia Apuleio presentava la filosofia come una forma di comunicazione con il divino.     

   

LA LINGUA E LO STILE

Anche la lingua e lo stile del romanzo sono perfettamente in linea con le tendenze e con i gusti del II secolo. Apuleio riassume nel proprio modo di esprimersi, e insieme supera grazie al suo ingegno brillantissimo, sia le correnti arcaizzanti sia lo stile fiorito, elaborato e ornato delle scuole di retorica. E’ difficile immaginare una scrittura più artefatta (in senso etimologico) di quella apuleiana: anche nei casi in cui egli persegue effetti di semplicità, di spontaneità e di naturalezza, a un esame approfondito tali effetti risultano il frutto di una raffinata elaborazione artistica.

Questo stile artificioso e composito si vale di un lessico estremamente vario: arcaismi, neologismi, parole rare, espressioni ricercate e insolite si mescolano, a seconda delle esigenze espressive, con colloquialismi e volgarismi. Spiccatissimo è il colorito poetico, ottenuto mediante pietismi (ossia termini usati esclusivamente o prevalentemente in poesia), metafore, similitudini, perifrasi, epiteti esornativi. Molto alta è anche la percentuale dei diminutivi, che derivano sia dall’uso parlato e dal linguaggio familiare e affettivo sia dall’imitazione dei poetici neoterici e di Catullo, e che divengono di volta in volta strumenti di un modo di esprimersi manierato, un po’ affettato e lezioso, oppure malizioso, giocoso e ironico.

A livello sintattico, la disposizione delle parole nella frase e delle frasi nel periodo obbedisce a criteri artistici, dominati dall’intento di differenziare lo stile rispetto a quello della comunicazione ordinaria. In questa prosa così costruita e artisticamente elaborata grande rilievo assumono le figure di suono (come anfore, allitterazioni, omeoteleuti, rime, assonanze) e le clausole, ossia le cadenze armoniose con cui si concludono frasi e periodi. Tipiche dello stile apuleiano sono anche una certa enfasi e ridondanza, con frequenti reduplicazioni dello stesso concetto e abbondanza di nessi sinonimici, e la tendenza ai giochi di parole, proprie di un virtuoso della lingua.