Lo sviluppo dei comuni e la nascita delle signorie

Lo sviluppo dei comuni e la nascita delle signorie

Lo sviluppo dei comuni e la nascita delle signorie


Con la sconfitta degli Svevi, che avevano costantemente tentato di ridurre la loro autonomia, i comuni italiani possono sviluppare la loro potenza economica e politica, che si manifesta completamente nel secolo XIII.

In questo secolo, infatti, la borghesia cittadina consolida ancora di più il proprio potere politico facendo nominare nelle città un capitano del popolo, cioè un magistrato che, con un proprio corpo di armati ha il compito di tenere a bada la nobiltà cittadina e di difendere gli interessi borghesi.

Questo provvedimento non riuscì a placare le aspre lotte all’interno delle città divise fra le fazioni dei guelfi e dei ghibellini. In Italia i guelfi sono i sostenitori del papa, mentre i ghibellini dell’imperatore, ma talvolta queste dominazioni indicano semplicemente due opposti partiti che si scontrano soltanto perché portatori di interessi politici o economici contrastanti all’interno della città.

In questo periodo, infatti, inizia una espansione delle città verso il contado, cioè verso la campagna vicina, così chiamata dal conte, il feudatario che fino ad allora l’aveva tenuta soggetta, per garantirsi i rifornimenti alimentari, controllare le vie di comunicazione e togliere e dazi feudali sulle strade e su fiumi, perché ostacolavano il commercio.

Nella conquista del territorio circostante i comuni si scontrano con quelli vicini, mentre i feudatari sono costretti a restringere i loro possessi alle zone più impervie della collina e della montagna, o alle terre più improduttive, che non interessano economicamente ai grandi comuni.

Alcuni comuni prevalgono ben presto sugli altri per potenza economica e per incremento della popolazione. Nell’alta Italia si impone su tutti Milano, prospera per la lavorazione dei metalli e della lana, e per la sua posizione di raccordo tra i grandi passi alpini come Sempione e Gottardo, e le città emiliane. Nel Veneto emergono i comuni di Verona, Padova e Treviso. In Emilia si sviluppano soprattutto Piacenza e Bologna. In Toscana si sviluppano per primi i comuni di Lucca, che inizialmente ha un primato nella produzione della seta e della lana, e di Siena che si specializza nelle operazioni di cambio e, più in generale, nell’attività bancaria.

Ma già verso la metà del duecento è Firenze che conquista una posizione predominante in tutta la regione. I ricchi mercanti, chiamati a Firenze popolo grasso, costituiscono il partito guelfo, mentre la fazione ghibellina rappresenta gli interessi della nobiltà cittadina.

Alla morte di Federico II, grande protettore dei ghibellini italiani, a Firenze prevale la parte guelfa. Dopo la battaglia di Montaperti i fuoriusciti ghibellini riescono a ritornare a Firenze ma vengono definitivamente cacciati dopo la sconfitta di Manfredi a Benevento. Da allora in poi Firenze rimane saldamente in mano ai guelfi e dal 1282 il governo cittadino è affidato ai priori delle arti, cioè ai capi delle corporazioni più importanti, dette arti maggiori (giudici, notai, medici e speziali, mercanti della lana, banchieri, setaioli, vasai) e delle arti medie (macellai, calzolai, fabbri).

Il predominio esclusivo dei commercianti e degli artigiani nella vita cittadina fu stabilito nel 1293 dai cosiddetti “Ordinamenti di giustizia” di Giano della Bella. Queste nuove leggi, escludevano i nobili dal governo della città e stabilivano che solo chi era iscritto ad una corporazione poteva ricoprire cariche pubbliche.

Firenze ha in questo periodo uno straordinario sviluppo. Le più importanti famiglie mercantili (i Bardi, i Peruzzi, i Cerchi) accumulano grandi ricchezze e iniziano a concedere denaro in prestito, contro un compenso detto interesse, esercitando un’attività bancaria che ha per clienti perfino i sovrani dei maggiori stati europei. La figura del mercante-banchiere , con vasti interessi economici in Europa diviene tipica dell’area fiorentina.

Dalla metà del duecento comincia ad essere coniato il fiorino: questa moneta d’oro di Firenze diviene la più solida e prestigiosa del Medioevo. Alla fioritura economica corrisponde in questo periodo anche una straordinaria fioritura culturale della città. A Firenze in questo periodo si afferma la poesia del “dolce stilnovo” per opera di Guido Cavalcanti e Dante Alighieri.

Nel duecento giunge alla sua massima espansione la potenza commerciale di Genova. Genova è così forte che nel 1261 riesce ad abbattere l’impero latino l’impero latino d’oriente, che era stato creato dai veneziani durante la quarta crociata. Genova riporta sul trono di Bisanzio la deposta dinastia dei Paleologi e ne ottiene in cambio colonie nell’Egeo e nel Mar Nero, dai cui può commerciare con la Russia e con l’Asia centrale. Genova alleata con Lucca e con Firenze, inflisse a Pisa la sconfitta della Meloria che pose fine all’attività commerciale della concorrente città toscana.

Genova concentrò poi la sua lotta contro l’altra antagonista, Venezia, e riusci ad infliggere alla città lagunare una grave sconfitta alla isole Curzolari nel 1298. Ma Venezia era molto più solida di Pisa, perché più ricca economicamente e più stabile all’interno per il suo rigido regime aristocratico, e riuscì a superare la crisi derivata da quella disfatta.

Dalla fine del XIII secolo Genova invece comincia e decadere a causa delle lotte interne che sorsero tra i guelfi, che tutelano i ricchi armatori e i ghibellini, che rappresentano il popolo. Venezia in questo periodo rafforza il suo sistema di governo, rigidamente aristocratico. Con la cosiddetta “serrata del Maggior Consiglio” venne stabilito che di questo organismo poteva far parte solo un numero chiuso di famiglie, cioè il governo divenne monopolio delle famiglie più antiche e ricche della città. Le classi popolari, escluse dal potere, cercarono di rovesciare la situazione con diverse congiure, tutte fallite. Importante fu il Consiglio dei Dieci che processava i sospetti di sovversione contro lo stato.

Importante in questo periodo è la figura del mercante, che ha una mentalità pratica e aperta. Mentre il feudatario disprezzava il lavoro, questo nuovo ceto gli dedica tutta la vita. Cambia anche il tipo di cultura; mentre la precedente organizzazione sociale aveva fatto della teologia lo studio più importante ed aveva prodotto principalmente poemi cavallereschi, i mercanti hanno bisogno di un’istruzione, soprattutto pratica, che insegni l’arte del calcolo e dell’amministrazione aziendale.

Intorno alla metà del Duecento si passa dal comune alla signoria. Questo passaggio avviene gradualmente senza rivoluzioni clamorose. Il capo della città riesce ad ottenere la carica a vita e a trasmettere il suo potere ai propri discendenti. Il foverno popolare del comune viene così sostituito dal governo di una sola famiglia che diventa una monarchia cittadina di tipo ereditario.

Questo declino del comune avviene senza incontrare troppe opposizioni, sia perché il popolo l’accetta con stanchezza contro le continue lotte intestine sia perché le fazioni sconfitte e le popolazioni periferiche vedono nel signore un protettore contro le ingiustizie e le vessazioni praticate dalla vecchia classe dominante della città. In pratica, se la signoria costituì un passo indietro, perché ridusse la partecipazione popolare al potere, essa rappresentò anche un miglioramento per quanto riguardava l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge; infatti la volontà del signore vale ora per tutti, abitanti della città e della campagna. Nascono in questo modo la signoria degli Scaligeri a Verona, dei Da Carrara a Padova, dei Gonzaga a Mantova, degli Estensi a Ferrara, dei Visconti a Milano.

Nell’Italia centrale, il ricco mercante diventa un imprenditore che , disponendo di grandi capitali, investe il suo denaro in molteplici attività. Egli acquista merce grezza e la da a lavorare ai propri dipendenti o a domicilio, facendosela riconsegnare sotto forma di prodotto finito, che mette in vendita. Il vecchio artigiano, che acquista direttamente la materia prima e vende direttamente il frutto del proprio lavoro fissandone il prezzo, tende a scomparire di fronte ad un operaio che non può stabilire il prezzo del proprio lavoro e dipende esclusivamente dal salario a cottimo o a giornata fissato dal mercante.

Il mercante capitalista può comprare la migliore terra del contado. Poiché il mercante ricerca il guadagno in tutto quello che fa, egli, a differenza del feudatario, sorveglia attentamente il contadino cercando di interessarlo ad una maggiore produzione e di farlo lavorare di più.

Nascono in questo periodo i nuovi contratti agrari, come quello del mezzadria, che concede al contadino la metà del prodotto, ma che è più gravoso rispetto ai vecchi contratti feudali, che prevedevano la cessione al feudatario di una quantità fissa e comunque inferiore del raccolto.

Questa concentrazione della ricchezza in poche mani e il peggioramento delle plebi cittadine e rurali provoca aspri conflitti. Lo scontro sociale appare abbastanza aspro a Firenze. Qui, con gli “Ordinamenti di Giustizia” di Giano della Bella era stato sancito il predominio della ricca borghesia; tuttavia il popolo minuto, che faceva parte delle arti minori come i carpentieri, i fornai, i venditori d’olio, gli albergatori, premeva per una maggiore partecipazione alla vita pubblica.

Ad un livello di vita ancora più basso rimanevano i lavoratori salariati, che costituivano gran parte della popolazione della città ed erano duramente sfruttati, per il fatto che la concentrazione della produzione in poche mani faceva sì che i grossi mercanti fossero in grado di fissare senza concorrenza il prezzo del loro lavoro. Questa situazione fece scoppiare a Firenze una sollevazione popolare: il cosiddetto tumulto dei Ciompi. In un primo tempo la rivolta ebbe successo e i priori vennero scelti anche tra le arti minori. Nel 1382 la ricca borghesia , cioè il popolo grasso, riprese in mano tutto il potere.

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