L’ira di Giunone dal verso 12 al 80
L’ira di Giunone dal verso 12 al 80
PARAFRASI
Vi fu un’antica città, Cartagine, la occuparono coloni Tirii, lontano contro l’Italia e le bocche Tiberine, ricca di beni e fortissima per le passioni di guerra, che Giunone, si dice, abbia amato più di tutte le terre, posposta (anche ) Samo. Qui le sue armi, qui il cocchio ci fu; la dea già allora, lo aspira e lo cura, sia questo regno per (tali) popoli, se mai i fati permettano. Ma aveva sentito che una stipe di sangue troiano si formava, che un tempo muterebbe le fortezze tirie; di qui sarebbe giunto un popolo ampiamente capo e superbo in guerra per la rovina di Libia; così filavano le Parche. Temendo ciò e memore della antica guerra la Saturnia, perchè per prima l’aveva mossa a Troia per la cara Argo – nè ancora erano cadute dal cuore le cause dell’ira e gli acuti dolori: resta nascosto nell’alta mente il giudizio di Paride e l’oltraggio della bellezza sprezzata e la stirpe odiata e i favori di Ganimede rapito: bruciata per questo, scagliati per tutto il mare, spingeva lontano dal Lazio i Troiani, avanzi dei Danai e del crudele Achille, e per molti anni pressati dai fati erravano per tutti i mari. Così tanto costava fondare la gente romana. Appena alla vista della terra sicula in alto mare lieti alzavano le vele e ne rompevano le spume col bronzo, che Giunone serbando nel petto l’eterna ferita questo tra sè: “Io desistere forse dall’iniziativa, vinta, nè poter deviar dall’Italia il re dei Teucri. Sono proprio bloccata dai fati. Ma Pallade potè bruciare la flotta degli Argivi e sommergerli nel mare per la colpa e le furie del solo Aiace Oileo? con la bufera lo agguantò, trapassato il petto, esalante fiamme e lo inchiodò sullo scoglio aguzzo; ma io, che procedo regina degli dei e di Giove sia sorella che sposa, con una sola razza tanti anni faccio guerre. Ma nessuno adora la maestà di Giunone mai più o supplice porrà offerte su altari?” La dea cose meditando tali cose tra sè con animo acceso giunse in Eolia, patria di tempeste, luoghi pieni blocca i venti violenti e le roboanti tempeste con autorità e li frena con catene e prigione. Essi riluttanti con grande brontolio del monte fermono attorno le sbarre; Eolo siede sull’alta fortezza tenendo gli scettri e placa i cuori e controlla le ire. Se non lo facesse, davvero rapidi prenderebbero mari e terre ed il cielo profondo e con sè spazzerebbero per l’aria; ma il padre onnipotente li nascose in nere caverne temendo ciò, e sovrappose una mole ed alti monti e diede un re, che con norma sicura sapesse sia bloccare che al comando allentare le briglie. Ma con lui dunque supplice Giunone usò queste frasi: “Eolo, a te infatti il padre degli dei e re degli uomini concesse sia di calmare che alzare i flutti col vento, una razza a me avversa naviga il mare tirreno portando in Italia Ilio ed i vinti penati: lancia una forza coi venti e copri le poppe sommerse o falli sbandati e disperdine i corpi nel mare. Io ho quattordici Ninfe di corpo formoso di cui quella più bella d’aspetto, Deiopea, legherò di unione stabile e donerò speciale, che tutti gli anni passi per tali meriti con te e ti renda padre di bella prole. Eolo questo rispose: “Tuo il disturbo, o regina, cercare quello che vuoi; per me è legge eseguire i comandi. Tu quel po’ di potere, tu gli scettri e Giove mi accordi, tu mi fai sedere alle feste degli dei e mi rendi padrone di tempeste e bufere