LIGURIA DI VINCENZO CARDARELLI

LIGURIA DI VINCENZO CARDARELLI

Liguria


È la Liguria terra leggiadra.
Il sasso ardente, l’argilla pulita,
s’avvivano di pampini al sole.
È gigante l’ulivo. A primavera
appar dovunque la mimosa effimera.
Ombra e sole s’alternano
per quelle fondi valli
che si celano al mare,
per le vie lastricate
che vanno in su, fra campi di rose,
pozzi e terre spaccate,
costeggiando poderi e vigne chiuse.
In quell’arida terra il sole striscia
sulle pietre come un serpe.
Il mare in certi giorni
è un giardino fiorito.
Reca messaggi il vento.
Venere torna a nascere
ai soffi del maestrale.
O chiese di Liguria, come navi
disposte a esser varate!
O aperti ai venti e all’onde
liguri cimiteri!
Una rosea tristezza vi colora
quando di sera, simile ad un fiore
che marcisce, la grande luce
si va sfacendo e muore.

Vincenzo Cardarelli, Poesie, 1936


Commento

Innanzitutto il metro: ci troviamo di fronte a una poesia di endecasillabi, decasillabi, ottonari e settenari; la rima ricorre rara e in più dei casi è assonanza. È dunque una poesia a versi più che altro sciolti ma ancora legati dalla sillabazione, in parte, alla tradizione italiana. La descrizione di un luogo caro, teatro della vita, è accorgimento frequente nella poesia della prima metà del secolo, basti pensare a “Trieste” di Ungaretti. La Liguria è metafora di passato presente e futuro e l’uso del verbo al presente da parte del Cardarelli ha grande impatto nella poesia proprio perché la rende temporalmente ambigua, disposta sulla linea dello scorrere dei momenti in nessun posto preciso poiché adatta a tutti. La Liguria è metafora di nascita (“s’avvivan”), di vita e di morte. Lo splendore, la voglia di vivere, la felicità della fanciullezza e della gioventù sono espresse con forza nei primi 4 versi. La primavera della vita è simile a una mimosa gialla, luminosa dello stesso sole che avviva i pampini, che fa ardere i sassi. La mimosa di vita è però, già qua lo si marca tristemente e infatti di seguito si insinuano sfiducia e malessere, è “effimera”, poco durevole e facilmente perdibile. Come detto, di seguito, “s’alternano” “ombra e sole”, le vie dell’amata terra natia non son più oliveti o spiagge di argilla purissima, sono invece “lastricate” e si nascondono dall’immensità del mare. Le “fondi valli” sono ora la prigione di un autore che sembra affaticato nell’affrontare la salita nonostante essa sia contornata dai fiori, ma, ahimé, rose, simboli d’amore, spinose e al tempo stesso così belle. Ma al finire del tragitto già viene inesorabile l’aridità della terra o, al contrario ma con stesso significato di vacuità ormai al culmine, la pozza. Ed è allora che tutti i beni terreni non son nulla e sfuggono nel passato, “chiusi”, e la gioventù striscia nei ricordi recando solo dolore e la ben nota malinconia (“serpe”) riportabile al crepuscolarismo. Fin qui la poesia – tracciandosi anche su impronte liberty: molto fine è la metafora che cavalca tutto il testo ma in un livello più sotterraneo, il fiore e in generale la natura è paragonata allo scorrere della vita dell’uomo e da gigante colorato diverrà “rosea tristezza”, ma questo dopo – si muove cronologicamente, ma ora si inserisce una analessi, la quale però rimane ancora così temporalmente indefinita da poter essere anche riferita a una vita intera. L’autore per narrare d’Amore sente di doversi affidare a un’altra metafora, questa volta indefinita nello spazio: il mare. Quel mare che, se toccato da Amore, diventa per tutti i navigatori un giardino fiorito, un locus amaenus insomma. Ma Venere torna a nascere dal maestrale (lo stesso del Carducci), un vento incostante, freddo e caldo. Così il navigatore, l’uomo che vive, è prima “chiesa” e “nave disposta a esser varata”, ma subito dopo, ormai finito il travaglio del viaggio fra questi venti, diviene “cimitero”. L’ultima strofa conclude le metafore, il sole, “la grande luce”, si spegne, il “fiore marcisce” … è il tramonto, la morte che tanto segna anche la vita come si vede qui (“Ombre e sole s’alternano”) ma anche e soprattutto come si vede in Ungaretti:

La morte
si sconta
vivendo

In Liguria spicca il realismo di un autore che certo, non solo si dispiace dell’incondizionato futuro, ma rimane nostalgico e inquieto nell’attesa che lui vede passare palpabile, così sembra. È una poesia altamente simbolica, ricca, a questo proposito, di belle metafore. Nella tragicità del narrare il fine ultimo di vivere, cioè morire, Cardarelli è ricco di colori che, coi suoni sommessi della natura (“vento”, “onde”, …), contrastano appunto il buio della morte. Una poesia in qualche tratto riportabile pure, come si è visto, al crepuscolarismo, se non per la lingua, qui più preziosa, per il contenuto. Una bella poesia sunto dello stato d’animo generale e letterario postdecadentista, postpetrarchista ma pure da dopoguerra.

la grande luce
si va sfacendo e muore.

 

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