L’ideologia di Leopardi

L’ideologia di Leopardi

  1. F. VENE’,Capitale e letteratura,

Garzanti 1974, pp. 100-114.

Il pessimismo leopardiano è opposizione al falso progresso portato dallo sviluppo industriale: nello Zibaldone (p. 4199), già nel ’26, elencando le invenzioni più clamorose (mongolfiera, vapore, telegrafo), Leopardi negava che tutto ciò potesse, di per sé, giovare allo stato degli uomini; contro l’ottimismo trionfante, è più lucido lui, che avverte come l’industrialismo comporti logica del profitto, guerra ed infelicità (esemplare, in questo senso, la Palinodia al marchese Gino Capponi: in particolare, i vv. 59-68, dove s’intravede la possibilità di guerre mondiali come conseguenza della lotta per la conquista dei mercati).

Compito del poeta non è quello di farsi apologeta della tecnica, ma quello di denunciare la mistificazione che si mette in atto nel nome della tecnica: prima fra tutte, quella di sostituire l’uomo reale con un’entità astratta (la “massa“), e di fare della “felicità delle masse” la cortina fumogena dietro cui viene nascosta l’infelicità dei singoli (cfr. Palinodia, vv. 197-207).

Ma mentre in Schopenhauer una simile visione negativa è assolutizzata (e quindi diventa, come dice Lukacs, “apologia indiretta” del capitalismo: infatti, riconoscere l’infelicità esistente, ma attribuirne le cause alla natura, equivale a convalidare il sistema esistente, nella fattispecie quello capitalista), in Leopardi essa è storicizzata: infatti viene indicata l’alternativa positiva: nello Zibaldone (p. 565) si parla della democrazia greca come di una società nella quale l’egoismo individuale si converte in bene dello Stato (laddove nella società presente esso si converte in odio e danno degli altri); e ne La ginestra si afferma una fede positiva nella attività umana associata, in una società che riconosca, secondo ragione, la verità della condizione umana ed operi nel senso di ridurre, almeno, l’infelicità.

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