L’età di Adriano e degli Antonini

LA DINASTIA DEGLI ANTONINI


La dinastia degli Antonini

Il principato di Adriano inaugura una fase illuminata di relativo benessere e sensibilità alla vita spirituale che gli storici moderni definiscono “impero umanistico” e si protrae per il lungo e pacifico impero di Antonino Pio (138-161) e quello di Marco Aurelio (161-180).
Sotto Marco Aurelio, l’imperatore filosofo che ci ha lasciato testimonianza delle proprie riflessioni nel suggestivo “diario spirituale” “A se stesso”, le cose subirono un radicale mutamento. S’incrinò innanzitutto la pace. I Parti di re Vologese III (148-193) tentarono una riscossa in Oriente: Lucio Vero (che governò in diarchia con Marco Aurelio dal 161 al 169) li affrontò in una guerra vittoriosa, conclusa dal trionfo partico dei due imperatori (161-166). Ma si affacciava a nord il pericolo germanico con l’invasione di Quadi e Marcomanni (167), e Marco dovette nuovamente fronteggiarlo, a più riprese, fino al trionfo celebrato nel 176. Alla nuova fase di guerre si era intanto sovrapposta, nel 164, una grave epidemia di peste per tutto l’impero. 
L’ultimo degli Antonini, Commodo, figlio di Marco Aurelio e in diarchia con lui dal 177, non fu all’altezza dei predecessori. Con lui cadeva il principio dell’adozione rimasto in vigore per quasi un secolo. Ma quel ch’è peggio, tornavano in vigore atteggiamenti esibizionistici e dispotici che ricordavano i tempi di Nerone e Domiziano: a porre termine alla sua vita e alla dinastia antonina fu pertanto una congiura.
L’orizzonte culturale tracciato dalla cultura d’età adrianea trova consolidamento sotto gli Antonini. In Grecia continuano a fervere lo studio e la sistemazione del sapere in opere dei più vari settori.
Claudio Tolomeo, ad Alessandria, scrisse fondamentali trattati di astronomia, astrologia, geografia, ottica, musica (100-178 circa). Sorano di Efeso (prima metà del secolo) e Galeno di Pergamo (129- 200 circa) diedero lustro alla medicina. Nella seconda metà del secolo, Artemidoro di Daldi (in realtà di Efeso) scrisse un manuale di “Interpretazione dei Sogni”; Pausania una “Descrizione della Grecia”, “manuale turistico” importante per le notizie su santuari e monumenti; Appiano di Alessandria ultimò intorno al 160 una “Storia Romana” da Enea a Traiano; Arriano di Nicomedia (già ricordato per aver raccolto gli insegnamenti di Epitteto e morto verso il 180) scrisse una “Anabasi di Alessandro” in sette libri; Dioscoride di Anazarbo (Cilicia) i cinque libri “Sui Medicinali”; Ateneo di Nàucrati terminò dopo la morte di Commodo i suoi “Deipnosofisti”, ovvero “I sofisti a banchetto”, un colossale dialogo di varia erudizione (trenta libri, poi ridotti agli attuali quindici); Diogene Laerzio (fine II-inizi III secolo) scrisse i dieci libri delle “Vite e Dottrine dei Filosofi Illustri”.
Nel mondo latino il nuovo clima di passione culturale significa il progressivo affermarsi di gusti antiquari ed eruditi affini a quelli di cui dà prova Svetonio. La letteratura esibisce una sempre più spiccata propensione per gli autori più antichi, che va sotto il nome di “arcaismo”. Lo stesso Adriano dovette contribuire all’incremento di questa tendenza, se è vera la notizia della “Historia Augusta” (Vita Hadriani) secondo cui egli avrebbe preferito Ennio a Virgilio, Catone a Cicerone e addirittura Celio Antipatro a quel Sallustio che pure era tanto ammirato dal nuovo gusto proprio per il suo stile duro e arcaizzante.
Il fascino principale della produzione letteraria arcaica consisteva nella sua natura di miniera di espressioni suggestive: quelle antiche parole erano quanto di meglio per generare nell’ambito di una composizione un colpo ad effetto. Diveniva di moda attingere una nuova fonte di originalità al repertorio lessicale e stilistico più antiquato. I due principali araldi di questa nuova moda latina sono anche le nostre principali fonti sul gusto dell’epoca: Frontone e Aulio Gellio.
Ma l’età dell’arcaismo è anche l’età della fioritura della letteratura giuridica con Gaio e del consolidarsi di quella cristiana.
E’ altresì un’età di rigoglioso sviluppo della letteratura d’intrattenimento, specie del romanzo erotico e fantastico. Fra i prodotti della Seconda Sofistica greca del II secolo ricordiamo per il romanzo erotico le “Avventure di Leucippe e Clitofonte” di Achille Tazio; la “Storia Pastorale di Dafni e Cloe” di Longo Sofista; le “Storie Babilonesi” del siriano Giamblico, scritte sotto Marco Aurelio; le “Storie Fenicie” di Lolliano.
Il capolavoro del romanzo fantastico greco di quest’epoca è invece un “romanzo” che è al contempo un brillante gioco d’ironia sullo stesso genere letterario in cui si iscrive, e su vari altri (l’epos, la storiografia): la “Storia Vera” di Luciano, racconto d’una avventura che spazia dai mondi stellari al ventre di una balena. Nato a Samosata, in Siria, verso il 120, Luciano morì ad Atene dopo il 180 circa. Fu uno dei sofisti più brillanti della sua epoca e uno spirito sarcastico e dissacratore; ci restano di lui un’ottantina di scritti, per lo più divertenti e originali, come i vari “Dialoghi” (“Marini”, “Degli Dèi”, “Dei Morti”, “Di Cortigiane”).
In latino, questo tipo di produzione è rappresentato dal capolavoro di Apuleio, “Le Metamorfosi” o “L’Asino d’Oro”, che fra l’altro appare legato in modo difficile da precisare al romanzo “Lucio o l’Asino”, attribuito appunto a Luciano. Quella di Apuleio è un’opera che non appare priva di uno sfondo religioso e morale, ma il cui dato saliente, oggi ai nostri occhi, è il dispiegarsi del puro piacere letterario di uno stile sofisticato e dello sbrigliarsi della fantasia.

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