LEOPARDI IL PASSERO SOLITARIO PARAFRASI

LEOPARDI IL PASSERO SOLITARIO PARAFRASI

  1. D’in su la vetta della torre antica,
  2. Passero solitario, alla campagna
  3. Cantando vai finché non more il giorno;
  4. Ed erra l’armonia per questa valle.
  5. Primavera dintorno
  6. Brilla nell’aria, e per li campi esulta,
  7. Sì ch’a mirarla intenerisce il core.
  8. Odi greggi belar, muggire armenti;
  9. Gli altri augelli contenti, a gara insieme
  10. Per lo libero ciel fan mille giri,
  11. Pur festeggiando il lor tempo migliore:
  12. Tu pensoso in disparte il tutto miri;
  13. Non compagni, non voli,
  14. Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi;
  15. Canti, e così trapassi
  16. Dell’anno e di tua vita il più bel fiore.
  17. Oimè, quanto somiglia
  18. Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
  19. Della novella età dolce famiglia,
  20. E te german di giovinezza, amore,
  21. Sospiro acerbo de’ provetti giorni,
  22. Non curo, io non so come; anzi da loro
  23. Quasi fuggo lontano;
  24. Quasi romito, e strano
  25. Al mio loco natio,
  26. Passo del viver mio la primavera.
  27. Questo giorno ch’omai cede alla sera,
  28. Festeggiar si costuma al nostro borgo.
  29. Odi per lo sereno un suon di squilla,
  30. Odi spesso un tonar di ferree canne,
  31. Che rimbomba lontan di villa in villa.
  32. Tutta vestita a festa
  33. La gioventù del loco
  34. Lascia le case, e per le vie si spande;
  35. mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
  36. Io solitario in questa
  37. Rimota parte alla campagna uscendo,
  38. Ogni diletto e gioco
  39. Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
  40. Steso nell’aria aprica
  41. Mi fere il Sol che tra lontani monti,
  42. Dopo il giorno sereno,
  43. Cadendo si dilegua, e par che dica
  44. Che la beata gioventù vien meno.
  45. Tusolingo augellin, venuto a sera
  46. Del viver che daranno a te le stelle,
  47. Certo del tuo costume
  48. Non ti dorrai; che di natura è frutto
  49. Ogni vostra vaghezza.
  50. A me, se di vecchiezza
  51. La detestata soglia
  52. Evitar non impetro,
  53. Quando muti questi occhi all’altrui core,
  54. lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
  55. Del dì presente più noioso e tetro,
  56. Che parrà di tal voglia?
  57. Che di quest’anni miei? che di me stesso?
  58. Ahi pentirommi, e spesso,
  59. Ma sconsolato, volgerommi indietro.

PARAFRASI

Dall’ultima cima (D’in su la vetta) dell’antico campanile (torre antica – il campanile di Sant’Agostino in Recanati), O passero solitario, vai cinguettando verso i campi finché non si fa sera (non more il giorno) e il suono melodioso si diffonde (erra l’armonia) in questa valle. Tutto intorno (dintorno) la primavera [personificazione] risplende (brilla) e si diffonde in tutta la sua pienezza (esulta) per i campi [v. 6 – chiasmo] così che a guardarla si prova un senso di tenerezza. 
Senti (odi: l’uso della 2° persona singolare è caro a Leopardi) le pecore belare e le mucche muggire [v.8 -chiasmo], gli altri uccelli (augelli – forma arcaica) volano lieti nel cielo sereno (libero ciel) fanno mille voli (giri: voli che esprimono felicità) facendo a gara tra loro, anch’essi (pur) festeggiando la gioventù e la primavera (il loro tempo migliore): tu, O passero, assorto in meditazione (pensoso: Leopardi attribuisce atteggiamenti umani al passero), in disparte osservi, non stai con gli altri passeri, non voli, non ti importa (non ti cal) dell’allegria, eviti (schivi) i divertimenti (spassi); canti, e così trascorri (trapassi) il più bel periodo dell’anno [la primavera] e della vita [la giovinezza].

[Inizia qui la parte della lirica incentrata sul poeta che è costruita in modo perfettamente simmetrico a quella precedente] Povero me (oimè: esprime tristezza nel constatare la somiglianza), come assomiglia il mio al tuo modo di vivere (al tuo costume)! Del divertimento (sollazzo – termine arcaico) e delle risate, [che sono] dolce compagnia della giovinezza (della…famiglia famiglia è un latinismo, sta per compagnia; novella etàè un termine arcaico), non mi curo e neanche di te, amore, [che sei] fratello (german – termine arcaico) della giovinezza, doloroso rimpianto dell’età matura (de’ provetti giorni – lat. sta per età avanzata: causa di rimpianto nella vecchiaia, che non conosce più illusioni). Non so perché mi comporto così, anzi scappo lontano da loro, quasi lontano ed estraneo (romito e strano), al mio paese natale [Recanati], trascorro la giovinezza della vita. Questa giornata che ormai (omai) lascia il posto (cede) alla sera [è finito] è uso (si costuma) festeggiarlo nel nostro borgo. Senti (odi) nel cielo sereno il suono della campana (un suon di squilla -allitterazione), senti spesso il rumore sordo (un tonar) dei colpi dei fucili (ferree canne: alla campana si oppongono le note gravi, cupe dei colpi sparati dai fucili – allitterazione) che rimbombano lontano di casolare in casolare (villa) [vengono sparati in segno di festa]. I giovani (la gioventù – metonimia)  del paese tutti (tuttaaccresce il senso dell’esclusione) vestiti a festa lasciano le case e si riversano per le strade guardano e sono ammirati (mira ed è mirata) e il cuore si rallegra. Io, da solo (io solitario corrisponde al “tu pensoso” del v.12 riferito al passero), andando in questo luogo isolato della campagna, rimando (indugio) ad altro momento ogni piacere e ogni divertimento e intanto il sole calando, dopo una giornata serena, scompare (cadendo si dilegua) tra i monti lontani, ferisce (fere) il mio sguardo che corre lontano nell’aria limpida (aprica), e [tramontando] sembra avvertirmi che la gioventù si dilegua anch’essa (vien meno) [metafora].

[Nell’ultima parte il passero e il poeta si dividono in modo pressoché identico i versi della strofa. Leopardi sottolinea la differenza che contraddistingue i due soggetti] 
Tu (sottolinea l’opposizione con l’io del v.36 e con l’a me del v.50) uccellino solitario (solingo) giunto alla fine della vita (metafora: sera = fine della vita) che il destino (stelle) ti avrà assegnato, certamente non avrai motivo di rammaricarti del tuo modo di vivere (costume, già in questo senso al v.18), poiché la natura determina ogni vostro desiderio (Che…vaghezza). A me (in chiave oppositiva) se non otterrò (non impetro) di evitare la orribile vecchiaia (la detestata soglia), quando i miei occhi non ispireranno più nulla (muti) al cuore degli altri uomini e il mondo intero sarà per loro privo di ogni fascino (lor fia voto il mondo), e il futuro (dì futuro) sembrerà loro ancora più noioso e cupo del presente (dì presente). Che penserò (parrà) di tale scelta? (Voglia= Leopardi si riferisce alla propria voglia di solitudine). Che cosa di questi anni miei (anni giovanili vissuti infelicemente)?, che cosa di me stesso (che ho scelto questo modo di vivere – che/che/che –triplice anafora). Mi pentirò e sovente mi volgerò indietro con rimpianto [perché il tempo perduto non torna più].


Il poeta si rivolge ad un passero che solo,

da sopra l’antica torre, (il campanile della chiesa di S. Agostino a Recanati) canta rivolto alla campagna fino al tramonto del sole quando il giorno muore ed il suo canto melodioso si diffonde vagando nella valle.

Intorno la primavera risplende nell’aria luminosa e si manifesta nei campi con la trionfante e prorompente rinascita della vita tanto che a guardare questo meraviglioso spettacolo della natura il cuore si commuove.

Si può (puoi) ascoltare il belato delle greggi e il muggire dei vitelli (armenti: branco di vitelli); gli altri uccelli nel cielo sgombro di nubi, libero, limpido, intrecciano mille voli intenti soltanto a festeggiare il tempo più bello dell’anno, la primavera: tu solitario passero resti in disparte, come assorto nei tuoi pensieri, sembri osservare tutto: non hai compagni, non intrecci voli, non ti interessa di vivere in allegria, eviti i divertimenti. Canti e così, cantando in solitudine, trascorri il più bel tempo dell’anno; la primavera, e della tua vita, la gioventù.

Tanto somiglia il modo di vivere del poeta a quello del passero.

Il poeta non ama, e non sa perché, i divertimenti e le risate, che sono dolci compagni della gioventù (divertimenti e risate sono inseparabili compagni dei giovani come se fossero membri di una stessa famiglia), età nuova, e non si interessa dell’amore, fratello inseparabile della gioventù, triste rimpianto nei giorni della vecchiaia; anzi, addirittura, quasi ne avesse timore, fugge lontano dalle occasioni di incontro e di svago.

Il poeta trascorre in solitudine e come se fosse uno straniero nel paese dove è nato, la primavera della sua vita.

In quel giorno che ormai sta per tramontare, il 15 giugno, festa di S. Vito, patrono di Recanati è consuetudine fare festa nel paese.

Si può ascoltare il suono delle campane che attraversa l’aria serena, si può ascoltare spesso il fragore dei colpi di fucile che rimbombano lontano di casolare in casolare.

Tutti i giovani del paese, con gli abiti della festa, lasciano le loro case e se ne vanno per le vie, e si guardano e si ammirano a vicenda e si rallegrano nel gioco degli sguardi.

Il poeta esce pure di casa, ma in solitudine ammina verso la campagna isolata, rimanda ad un altro tempo ogni divertimento ed ogni svago; intanto il sole, che tra i monti lontani tramonta dopo il giorno sereno, ferisce i suoi occhi, che distendono il loro sguardo nell’aria luminosa, e sembra quasi che gli ricordi che la dolce gioventù, il suo tempo migliore, il più bel fiore della vita sta trascorrendo, sta finendo.

Il poeta si rivolge nuovamente al passero solitario: quando ormai vecchio, nella sera della vita che il destino gli concederà, il passero certamente non proverà dolore per il modo in cui ha vissuto perché ogni sua inclinazione, ogni sua scelta è frutto dell’istinto.

Il poeta invece, se non potrà evitare di varcare la detestata soglia della vecchiaia, se non otterrà la grazia di morire prima che sopraggiunga la detestata vecchiaia, che penserà di questo suo modo di vivere, del modo in cui ha trascorsola gioventù, quando sarà vecchio ed i suoi occhi non desteranno nessun interesse nel cuore degli altri, ed il mondo sarà vuoto, privo di interesse ed il giorno futuro sarà più noioso e triste del giorno presente cosa penserà di se stesso?

Certamente si pentirà spesso e senza speranza di poter trovare alcun conforto si guarderà indietro, ripensando alle occasioni perdute.

Il passero solitario è una canzone composta da strofe libere di endecasillabi e settenari

Nella poesia si intrecciano numerosi raffronti:

il passero è immagine del poeta, gli altri uccelli che nel cielo fanno mille giri sono immagine dei giovano che sciamano nelle strade del paese

La primavera è immagine della gioventù, la sera del giorno è immagine della vecchiaia

Canzone libera di tre stanze rispettivamente di 16, 28 e 15 versi, di endecasillabi e settenari liberamente distribuiti. Le scelte linguistiche sono raffinate, classicheggianti e a volte ricorrono, in particolar modo nelle descrizioni, a termini della quotidianità.