LEONE EBREO DIALOGHI D’AMORE

LEONE EBREO DIALOGHI D’AMORE

Giada Nicolini

Leone Ebreo

Dialoghi d’amore

                                                                                                                                                                  I due protagonisti di quest’opera filosofica, Filone e Sofia, attraverso i loro dialoghi ci aprono la strada per capire il pensiero di Leone nei confronti dell’amore.

Il testo è diviso in tre dialoghi: D’amore e desiderio; De la comunità d’amore; De l’origine d’amore.

Nel primo dialogo Leone mira a puntualizzare come l’amore sia «desiderio di godere con unione la cosa conosciuta per buona». Nel secondo si concentra piuttosto sul fatto che la natura nella sua totalità, non può essere priva d’amore. Nel terzo dialogo invece riprende temi già affrontati precedentemente, facendo però numerosi confronti con Platone.

I tre dialoghi hanno una lunghezza molto differente fra loro. Il secondo è il doppio del primo e il terzo è più lungo della somma dei due dialoghi precedenti.

I Dialoghi d’amore furono pubblicati per la prima volta a Roma, postumi (il testo è quindi completamente sganciato dall’autore) e in italiano nel 1535 a cura di Mariano Lenzi, un personaggio che per il resto rimane sconosciuto. Egli, oltre a sistemare alcuni tratti del testo, lo rende suo e l’usa per elogiare una donna della quale Leone non è nemmeno a conoscenza.

Questa vera e propria catena di rimandi di qualcosa a qualcos’altro e quest’oscurità che ricoprono l’opera rimandano all’immagine di platonica memoria, lasciandoci quasi pensare che le cose dette si sostengano da sole, essendo la distanza che separa l’autore dalle sue affermazioni notevole.

Si può notare perciò il topos platonico, nel quale l’autore è pressoché misterioso e nascosto.

«Desiderio di godere con unione la cosa conosciuta per buona»

                Filone. Il conoscerti, o Sofia, causa in me amore e desiderio.

                Sofia. Discordanti mi paiono , o Filone, questi effetti che la cognizione di me in te produce; ma forse la passione ti fa dire così.

                Filone. Da’ tuoi discordano, che sono alieni d’ogni correspondenzia.

                Sofia. Anzi fra lor stessi son contrari affetti de la volontà, amare e desiderare.

                Filone. E perché contrari?

                Sofia. Perché le cose che da noi son stimate buone, quelle che aviamo e possediamo , l’amiamo, e quelle che ci mancano, le desideriamo : di modo che quel che s’ama, prima si desidera e , di poi che la cosa desiderata s’è ottenuta, l’amore viene e manca il desiderio.

                Filone. Che ti muove ad avere questa opinione?

                Sofia. L’esemplo de le cose che sono amate e desiderate. Non vedi tu che la sanità, quando non l’aviamo, la desideriamo, ma non diremo gia amarla; dipoi che l’aviamo , l’amiamo e non la desideriamo. Le ricchezze, le eredità. Le gioie, innanzi che s’abbaino , son desiderate e non amate; dipoi che si sono avute, non si desiderano più, ma s’amano.

                Filone. Benché la sanità e le ricchezze, quando ci mancano, non si possono amare perché non l’aviamo, niente di manco s’amano d’averle.

                Sofia. Questo è un parlare improprio il dire amare, cioè di volere avere la cosa che si vuol dire desiderarla: perchél’amore è de la medesima cosa amata, e il desiderio è d’averla o acquistarla; né pare possino stare insieme amare e desiderare.

                Filone. Le tue ragioni, o Sofia, più dimostrano la sottigliezza del tuo ingegno che la verità de la tua opinion; perchése quello che noi desideriamo, non l’amiamo, desidereremo quel che non s’ama e , per consequente, quel che s’abborisce e ha in odio: che non potria essere maggior contraddizione.

                Sofia. Non m’inganno, o Filone, ch’io desidero quel che, se vene per non possederlo non l’amo, quando l’averò, sarà amato da me e non più desiderato; né, per questo, desidero mai quel ch’io aborrisco, né ancor quello ch’io amo; perché la cosa amata si ha, e la desiderata ci manca. E qual più chiaro esemplo si po’ dare che quel de’ figliuoli? Che chi non gli ha, non gli può amare, ma gli desidera; e chi gli ha, non gli desidera, ma gli ama.

                Filone. Così come dimostri per esemplo di figliuoli, ti deveresti ricordare del marito; il quale, innanzi che s’abbi, si desidera e amasi insieme, e dipoi che s’è avuto, manca il desiderio e alcuna volta l’amore, se bene in molte, non sol perseveri, ma ancor cresca; il che molte volte occorre similmente al marito, de la moglie. Questo esemplo non ti par piùsuffiziente per confermare il mio detto, che il tuo per riprovarlo?

La natura non può essere priva d’amore

                Sofia. Né questo ancor mi consuona; perché, come si dice, molte cose son desiderate le quali non possono essere amate, perché non sono in essere: e l’amore è de le cose che sono, e il desiderio è proprio di quelle che non sono. Come possiamo noi amar i figliuoli e la sanità, se non l’aviamo, se ben la desideriamo? questo mi fa tener l’amore e ‘l desiderio esser due affetti contrari de la volontà. E tu m’hai detto che l’uno e l’altro possono star insieme. Dichiarami questo dubbio.

                Filone. Se l’amore non è se non de le cose che hanno essere, il desiderio perché non sarà di quelle ancora?

                Sofia. Perché, così come l’amore presuppone l’essere de le cose, così il desiderio presuppone la privazione di quelle.

                Filone. Per qual ragione l’amore presuppone l’essere de le cose?

                Sofia. Perché bisogna che il conoscimento preceda a l’amore: ché nissuna cosa si potria amare, se prima sotto spezie di buona non si conoscesse; e nessuna cosa cade in nostro conoscimento, se prima effettualmente non si truova in essere. Perché la mente nostra è uno specchio ed esemplo o, per dir meglio, una immagine de le cose reali: di modo che non è cosa alcuna che si possa amare, se prima non si truova in essere realmente.

                Filone. Tu dici la verità. Ma, ancora per questa medesima ragione, il desiderio non può cadere se non nelle cose che hanno essere; perché non desideriamo se non quelle cose che primamente conosciamo sotto spezie di buone e per questo il Filosofo ha diffinito il buono essere quello che ciascuno desidera , poi che il conoscimento è de le cose che hanno essere.

                Sofia. Non si può negare che ‘l conoscimento non preceda al desiderio. Ma più presto direi che non solamente ogni cognizione è de le cose che sono, ma ancora di quelle ce non sono: perché il nostro intelletto giudica una cosa che è come la giudica, e un’altra che non è così. E poiché ‘l suo uffizio è il discernere in l’essere delle cose e nel non essere, bisogna conosca quelle che sono e quelle che non sono. Direi adunque che l’amore presuppone la cognizione de le cose che sono, e il desiderio di quelle che non sono e di quelle che noi siamo privi.

                Filone. Tanto a l’amore quanto al desiderio precede il conoscimento de la cosa amata o desiderata, qua è buona. E a nessuno di loro la cognizione deve essere altro che buona: perché tal cognizione saria causa di far aborrire la cosa conosciuta totalmente, e non desiderarla o amarla. Sì che l’amore come il desiderio parimenti presuppongono l’essere de le cose, così in realtà come in cognizione.

Lamore platonico

                Sofia. E tu fai forse fra il buono e il bello questa differinzia?

                Filone. Sì, che io la faccio.

                Sofia. A che modo?

                Filone. Che il buono possi il desiderante desiare per sé, o per altri che lui ama, ma il bello propriamente sol per se medesimo desii.

                Sofia. Per che ragione?

                Filone. La ragione è che il bello è appropriato a chi l’ama, ché quel che a un par bello non pare a un altro. Onde il bello, che è bello appresso uno, non è bello appresso d’un altro: ma il buono è comune in se stesso, onde il più delle volte quel che è buono lo è appresso di molti. Sì che chi desidera bello, sempre il desidera per sé, che gli manca; a chi desidera buono, il può desiderare per se medesimo o per altro suo amico, a chi manchi.

                Sofia. Non sento già questa differenzia che tu poni fra il bello e il buono, però che, così come dici del bello, o ver buono, che pare a uno e non a un altro, così dirò io (e con verità) del buono, che a uno una cosa par buona e a un altro non buona; e tu vedi che l’uomo vizioso il cattivo il reputa buono e però il fugge, [come] contrario del virtuoso: sì che questo, ch’interviene al bello, interviene ancor al buono.

                Filone. Tutti gl’uomini di sano iudizio e di retta e temperata volontà reputano il buono per buono e il cattivo per cattivo, così come tutti li sani di gusto il cibo dolce gli addolcisce, l’amaro gli amareggia; ma a quelli d’infermo e corrotto ingegno e di stemperata volontà il buono gli par cattivo e il cattivo buono, così come gl’infermi, ch’il dolce, quantunque amareggi l’infermo, non però lassa d’essere veramente dolce, così il buono, non ostante che da l’infermo d’ingegno sia reputato cattivo, non però lassa d’essere veramente e comunemente buono.

[…]

                Sofia. Come mi negherai che ogni bello non sia buono?

                Filone. Io non il nego, ma vulgarmente si suol negare.

                Sofia. A che modo?

                Filone. Dicono che non ogni bello è buono, perché qualche cosa che par bella è gattiva in effetto; così qualche cosa che par brutta è buona.

Commento

Nel primo brano possiamo vedere come Leone inizia la sua opera, ed è da queste poche righe che si può capire ed anticipare l’intero andamento. È infatti un susseguirsi di domande e risposte, di dubbi che Sofia, l’amata, pone al suo amante. I due personaggi vanno quindi a scavare nei profondi abissi dell’amore, andando a captare e ricercare i suoi significati più nascosti e l’origine di esso.

Sofia in questo primo dialogo riguardante i rapporto tra amore e desiderio sostiene che essi non possono manifestarsi nello stesso momento, ma che invece sono contrari l’uno all’altro : «…le cose che possediamo le amiamo, quelle che ci mancano le desideriamo: di modo che quel che s’ama, prima si desidera e di poi che la cosa desiderata s’è ottenuta, l’amore viene e manca il desiderio». Questa sua affermazione è l’esempio di uno dei collegamenti che Leone crea con Platone. Eglis infatti credeva che «…è una necessità che il desiderare sia desiderare ciò di cui si è privi e che se non si è privi non vi sia più desiderio». Ma Leone fa dell’altro. Non vuole semplicemente riportare il pensiero di un grande filosofo precedente, vuole invece contestarlo. Tramite le risposte che Filone dà a Sofia, possiamo capire come l’autore pensava che amore e desiderio non sono contrari e che il desiderio non viene a mancare quando si è in possesso della cosa amata, in quanto si sente sempre e comunque una certa mancanza. Per dimostrare questa sua tesi afferma che l’amore è «desiderio di godere con unione la cosa conosciuta per buona». E con ciò vuole dire che possesso e unione sono due concetti distaccati tra loro, e che l’amore non è altro che il desiderio, relativo a cose possedute, di congiungersi in unione con loro. Perciò il desiderio (d’unione, s’intende) permane anche quando si possiede la cosa desiderata. L’amore, più specificamente, è desiderio di unione perfetta, ma non essendo questa possibile, resta comunque il desiderio.

Come ultima motivazione del fatto che il desiderio è presente anche quando si è in possesso della cosa voluta, egli espone questo suo pensiero: il desiderio di un’unione perfetta (la quale già di per sé non è possibile ed implica il desiderio in sè) èper sempre, mentre l’unione in effetti non dura in eterno. Infatti ci si può trovare in condizione di riuscire a godere del beneficio dell’unione nel momento presente, ma si è consapevoli del fatto che essa non durerà per sempre, e quindi si ha continuamente il desiderio che essa perduri nel tempo, pur sapendo che non sarà possibile.

Inoltre «nel per sempre si include il mancamento continuo», afferma Leone. In questo caso egli mette in relazione il desiderio e la mancanza con il fattore tempo, eternità. È così che ci dimostra, un’altra volta, che il desiderio non scompare quando si ottiene la cosa voluta, in quanto la si vorrebbe trattenere per sempre presso di sé, unita a sé, ma non si può, e ciò provoca un mancamento che implica il desiderio continuo e struggente.

Nel secondo brano si mette in risalto la relazione amore-conoscenza. Secondo Leone infatti sia l’amore che il desiderio vedono prima la conoscenza, non vi può infatti essere alcun sentimento di attrazione verso qualcosa che non si conosce, come ci vien ben mostrato fin dalla prima frase dell’opera. Inoltre la conoscenza e consapevolezza di ciò che manca crea nell’individuo desiderio, quel desiderio che è sempre presente , anche dopo che si è in possesso dell’oggetto della propria volontà.

Nell’ultimo brano si nota come Leone ci propone una natura diversa del bello e del buono. Non tutto ciò che è bello è buono, e, allo stesso modo, non tutto ciò che è buono è anche per forza bello.

Il bello infatti, ci vien detto, è desiderato dall’amante soltanto per sé stesso, in quanto è bello secondo il suo punto di vista, ma non lo è ugualmente per tutte le altre persone. Al contrario invece il buono può essere desiderato sia per sé stessi, che per gli altri, poiché, solitamente , ciò che è buono per un individuo, lo è anche per molti altri. A questo proposito bisogna peròescludere le persone di <<infermo e corrotto ingegno e di stemperata volontà>>, per il fatto che per loro ciò che ècomunemente considerato come buono appare cattivo e ciò che è detto essere cattivo è invece buono.

Biografia

Leone Ebreo, autore de I DIALOGHI D’AMORE, è un personaggio che rimane ancora oggi misterioso, in quanto di lui si hanno pochissime notizie e per lo più incerte.

Nato in una famiglia ebraica agiata di Lisbona tra il 1460 e il 1465, fu costretto, condizione che lo accompagnò per tutta la vita, a migrare da una città all’altra, a causa delle persecuzioni antisemite. Fu così che da Lisbona si spostò a Siviglia, e poi in Italia, a Napoli (dove trascorse gran parte della sua vita). Soggiornò inoltre in varie città della penisola, quali Genova, Barletta, Venezia, Ferrara e Pesaro. In questo modo ebbe l’opportunità di venire a contatto con diversi tipi di pensiero e svariate tradizioni, che lo aiutarono a diventare un uomo aperto a vari orientamenti di pensiero. Nella sua vita praticò la professione di medico (a ciò deve il nome Leone, e perciò si presuppone una solida conoscenza del latino) e , grazie alla buona preparazione filosofico-scientifica e teologica dovuta agli insegnamenti ricevuti nella colta cerchia culturale cui apparteneva il padre, riuscì a scrivere questo testo complesso.