LE RACCOLTE EUGENIO MONTALE

LE RACCOLTE EUGENIO MONTALE

OSSI DI SEPPIA


OSSI DI SEPPIA Aspetti caratterizzanti il primo libro di M.la necessità di un abbassamento di tono e di linguaggio, la polemica contro «i poeti laureati», contro la poesia retoricamente intonata dei poeti-vate, dai gusti aulici e amanti degli effetti oratori; lo sforzo verso la semplicità e la chiarezza; una poesia che nasca dalla ricognizione di oggetti familiari, né rari, né speciali (non bossi, ligustri o acanti, ma l’albero dei limoni); la centralità del paesaggio: è un volume scritto in presenza della natura, del mare e del suolo della Liguria; è una meditazione sulla natura e sui simboli che essa offre al poeta per interpretare la sua condizione esistenziale

La genesi Ossi di seppia è un libro di gioventù sulla cui nascita non esistono documenti formali e testimonianze dirette da parte dell’autore. Quando la raccolta viene pubblicata, nel 1925, a Torino, per le edizioni gobettiane di “Rivoluzione liberale”, essa è già frutto di una selezione piuttosto severa (l’opera infatti è assai esile) operata dal poeta tra le liriche giovanili, quelle che lui stesso definirà “protomontaliane”. Siamo lontani, con Montale, dai progetti letterari dei maestri della letteratura: il progetto strutturato, sullo stile del canzoniere lirico, appartiene alla stagione più matura di questo poeta. Con ciò, non mancanoelementi di coesione interna tra i componimenti di questa raccolta. 

Nel 1983 viene pubblicato, postumo, il diario degli anni di studio di Montale, col titolo di Quaderno genovese. Fu subito evidente l’importanza di quel documento per la scoperta delle origini poetiche di Montale. In esso compaiono infatti riflessioni e rielaborazioni giovanili sui grandi temi della letteratura europea che poi formeranno la struttura semantica della sua poesia: la maschera decadente dell’inetto, del disadattato (il Peer Gynt di Ibsen); l’impotenza di fronte allo scorrere del tempo (Svevo); la vena futurista ed espressionista di un Govoni.

Non meno importante, accanto alle suggestioni emotive delle lunghe e solitarie ore di lettura, anche l’educazione musicale ricevuta fra il ‘15 e il ‘23. Un non piccolo gruppo di liriche – di cui negli Ossi di seppia rimarrà solo Corno inglese – è dedicato infatti all’ambiziosa intenzione di imitare la musica con le parole.

Per ultimo vanno annotate, nella cornice della genesi poetica di Montale, le lezioni private di filosofia della sorella a cui partecipò come osservatore, e da cui trasse spunto per la lettura dei più prestigiosi spiritualisti francesi, tra cui Boutroux e Amiel.

Ma tutto questo non basta a dare un’idea sufficiente della preparazione intellettuale e spirituale del giovane Montale. Egli aveva la capacità di rielaborare interiormente con profonda originalità tutto ciò che leggeva, per cui modelli, spunti e suggestioni entrano a far parte della sua poetica come un residuo occulto di forme, simboli e ritmi, residuo che costituisce la struttura profonda della sua lingua.

La struttura Ossi di seppia comprende 58 liriche, raccolte in sette sezioni a cui fanno da cornice una introduzione (In limine) e una conclusione (Riviere). Alcuni critici hanno notato, nella struttura delle raccolte montaliane, un alternarsi di serie di liriche brevi e di testi più diffusi (Mengaldo). Questo negli Ossi vale relativamente: più che di un susseguirsi di forme definite, si potrebbe parlare di un alternarsi musicale di movimenti più distesi e meditativi (come l’adagio di una sonata) e di sprazzi fulminei di immagini simboliche (come il “presto” o lo “scherzo”).

I temi Tematicamente, la raccolta appare come la risposta negativa e parodistica all’Alcyone dannunziano, ovvero il diario di un’estate alla Cinque Terre (Marchese). Il rovesciamento è centrato sulla figura del mare e sul rapporto ambiguo di attrazione/repulsione che il poeta intesse con esso. Il titolo “Ossi di seppia” allude infatti allo scheletro dell’animale marino che dopo la morte galleggia sulle onde ed è trascinato a riva tra gli scarti delle profondità acquatiche, come “inutile maceria”. Simbolo della maturità (profondità; orizzonte lontano e indefinibile), il mare rigetta spolpato di senso colui (l’adolescente) che esso ha assorbito nella sua fascinazione. Montale dunque affronta il tema del tempo – il tempo della vita – riducendolo a simbolo dell’alienazione e del male (“il male di vivere”), mentre D’Annunzio lo ferma in un gesto panico di ricreazione mitologica, dialogando con le divine manifestazioni del vitalismo naturale.

Il male diventa così il controcanto ossessivo (quasi leopardiano) dell’ispirazione del primo Montale: il male della “necessità” che ci stringe e la cui unica alternativa è il caso, o il “miracolo” di un’apparizione (la figura femminile) che non è comunque riservato a noi. La critica parla, a questo proposito, di posizioni pre-esistenzialiste. Ma l’impressione di chi legge non è mai l’angoscia e la negatività emotiva: ciò che si percepisce è soprattutto la ricchezza – ancora una volta “musicale” – di cose e di termini. Come scrive Pier Vincenzo Mengaldo: «… l’individuo che non riesce a vivere, a rigore neppure ad essere, proprio per ciò è massimamente capace di vedere e registrare; e la vita che non dà senso globale proprio per ciò è aggredita, non solo catalogata nei suoi aspetti fenomenici con una straordinaria aderenza al pullulare dei dati concreti e una vera e propria furia di nominazione. Ecco allora che contenuti dominati dal senso della negatività e della disgregazione vengono detti in uno stile niente affatto disgregato e smozzicato, anzi quanto mai compatto, assertivo, deciso, insomma eloquente: la compresenza di uno spirito che nega e di un pronuncia fortemente asseverativa e rotonda, che già si era data in altri modi nei padri fondatori quali Leopardi e Baudelaire, torna negli Ossi ed è uno dei motivi primo della loro importanza, permanente.» [P.V. Mengaldo, L’opera in versi di Eugenio Montale, in: Asor Rosa (a cura di), Letteratura italiana, vol. 9, Le opere, Einaudi].

La struttura ritmica Il tempo in cui furono scritti gli Ossi di seppia fu quello “versoliberista” di futuristi e vociani: la rottura del ritmo, della forma, della stessa struttura sintattica nei suoi componenti elementari, era allora, in Italia, la bandiera della modernità letteraria. L’apparente distacco di Montale dagli eventi esterni – apparente in quanto egli seppe fare i conti con essi, trasformandoli alla luce delle proprie esigenze – si traduce in questa raccolta in una consapevole e misurata ricostruzione del verso nella sua forma “classica”. Montale sembra dirci che una poetica che abbia come oggetto la disgregazione del senso e della vita può servirsi con più utilità, per raggiungere i suoi scopi,  di una forma chiara e semplice nella sua rigorosità costruttiva.

Si può notare in questa preferenza per lo stile classico del verso un parallelo con l’atteggiamento dannunziano, che va tuttavia distinto: in D’Annunzio il recupero del passato è funzionale ad una “messaggio” ideologico, a un “programma” poetico che intende agganciare un’idea di cultura già presente nella memoria storica con il suo bagaglio di simboli e significati. In Montale, il classico è uno strumento linguistico-formale, un contenitore trasparente (una “scatola di vetro”) che permette ai contenuti di trasparire con più evidenza. Tutto il contrario dello sperimentalismo delle avanguardie, i cui “effetti speciali” di rottura e di provocazione superano il valore stesso dei contenuti. In qualche modo si può paragonare la struttura ritmica degli Ossi di seppia a quella delle Myricae di Pascoli, per il quale vale lo stesso discorso.
La semplice classicità di Montale è arricchita da un uso straordinario, per raffinatezza e virtuosismo, della musicalità della lingua: certamente, da questo punto di vista, egli rappresenta una vetta assoluta nella poesia italiana del Novecento. Rime, assonanze e consonanze, nonché l’uso raffinato della sintassi poetica, fanno di ogni componimento degli Ossi una miniera di effetti sonori.

In sintesi: più che tentare una generica schematizzazione delle forme metriche negli Ossi, forniamo un quadro metrico dei componimenti più importanti della raccolta, da cui è facile ricavare una chiara immagine complessiva dello stile metrico dell’opera:

 

Titolo Genere metrico Versificazione
In limine Quartine irregolari a rime incrociate e alternate Endecasillabi e settenari
I limoni Verso libero Prevalentemente endecasillabi e ottonari
Corno inglese Verso libero   
Falsetto Tre strofe “a canzone” con distico finale Versi vari
Non chiederci la parola Quartine Versi vari
Meriggiare pallido e assorto Quartine irregolari Versi liberi
Mia vita, a te non chiedo Quartine Endecasillabi
Portami il girasole Quartine Versi liberi
Spesso il male di vivere Quartine Endecasillabi
Gloria de disteso mezzogiorno Quartine Versi vari
Il canneto rispunta i suoi cimelli Quartine Endecasillabi
Forse un mattino andando Quartine Versi liberi
Cigola la carrucola del pozzo    Endecasillabi
Arremba su la strinata proda Quartine Versi liberi

 

La lingua La lingua di un poeta può contare numerose e diversissime fonti di ispirazione: i modelli classici della letteratura, le letture di autori stranieri, le esperienze culturali provenienti dal mondo circostante. Così per Montale: musica e pittura, e in gran copia la lingua di Dante, di D’Annunzio e di Pascoli.

Il “dantismo” di Montale è generalmente considerato un fenomeno unico nel Novecento italiano per intensità e attualizzazione delle situazioni: la lingua pietrosa e aspra (cfr. Meriggiare) e il fascino della condizione umana “infernali” hanno trovato in Montale una eco di grande forza. Come già si diceva per le scelte metriche della raccolta, anche le citazioni non hanno lo scopo di istituire un collegamento con un passato idealizzato – quasi una sorta di passaggio di testimone tra poeti “incoronati” -, ma quello puramente strumentale di arricchire la lingua di apporti espressivi, anche se la citazione di un classico trascina sempre con sé i risvolti profondi del suo mondo di riferimento.

Si diceva, inoltre, di Pascoli e D’Annunzio. L’importanza di Pascoli nella storia della poesia del Novecento è immensa: egli fu l’artefice primo della lingua poetica del nuovo secolo, e fu sul suo modello che operarono quasi tutti i poeti tra il 1900 e il 1940. In sintesi, la lezione di Pascoli, perfettamente assorbita da Montale, fu la scelta di una terminologia esatta e specifica, soprattutto per gli elementi della flora e della fauna: la scientificità di una lingua trasformata in lente di ingrandimento per tutto ciò che è piccolo e comune, così comune da non avere nome (almeno in letteratura); il senso di una natura ostile e minacciosa; un certo “impressionismo interiore” (Mengaldo) caratterizzato dall’associazione quasi sinestesica tra eventi naturali e situazioni emotive (MediterraneoScendendo qualche volta...).

A D’Annunzio, infine, va ricondotta – come già detto – la ricerca metrico-ritmica, e il gusto per l’invenzione delle parole, che si può far risalire al rapporto privilegiato con la natura, in alcuni momenti deformata allo sguardo del poeta dalla sua stessa forza vitale – non più positiva come in Alcyone ma negativa.

Esiste un nesso tra l’”aura” fenomenologica della poetica degli Ossi di seppia e le scelte linguistiche del loro autore; seguendo la lezione critica di Pier Vincenzo Mengaldo [L’opera in versi di E. Montale, cit. pp. 653/5], possiamo così individuarlo:

1)  l’uso di parole rare non per la loro forma, ma per il loro ricorrere una volta sola in tutta la raccolta – in tal senso l’unicità oggettiva di ogni cosa è definitivamente marcata da un suo segno linguistico irripetibile;
2) la scelta di singole parole “letterarie” (soprattutto dantesche e dannunziane) private di un contesto riconoscibile, tale che il lettore possa subito vedere in trasparenza la loro origine, trasforma anch’esse in elementi espressionistici utili a marcare la rarità delle cose, più che delle parole;

l’uso di una terminologia precisa impedisce il crearsi di qualsiasi alone simbolico attorno alle parole: più che evocare qualcos’altro, la parola di Montale “rimbalza” sul lettore come una domanda che non ha ricevuto risposta.
Il soggettivismo linguistico di Montale (che consiste in una assoluta libertà di scelta nel repertorio lessicale – dalla lingua storica a quella scientifica) diviene, paradossalmente, lo strumento più efficace per denotare le cose di una forte oggettività.

 

Le occasioni Elementi che caratterizzano il secondo libro montaliano.    

l. Centralità della figura femminile, simbolo di un ideale che forse non può essere raggiunto, ma l’unico che può dare un senso alla vita. I personaggi femminili (Dora Markus, Gerti, Irma Brandeis), che corrispondono a persone realmente vissute, care al poeta, non sono mai ritratti con evidenza, nel concreto di una situazione, bensì velati dal ricordo, trasformati in simbolo; sono figure altere, corrucciate, coraggiose,enigmatiche, spesso irraggiungibili e lontane. Al “tu”di un non definito interlocutore degli Ossi si sostituisce la presenza della donna, destinatario privilegiato  del poeta. 2Ritorno allo stilnovismo: la donna diventa apparizione angelica, baluardo contro la follia del mondo, al di sopra dei conflitti e delle debolezze umane.3. Evidente influenza di Dante, non più quello petroso e infernale degli Ossi, ma quello più legato alle esperienze dello stilnovo e della poesia d’amore.4. Concezione di una poesia più elaborata, più ricca, più classica come ultimo baluardo di decenza contro una realtà “ferrigna e infernale”, la realtà del fascismo e della guerra.

La bufera e altro

Nella prima sezione del libro, intitolata Finisterre, scritta tra il 1940 e il 1942, Montale approfondisce il proprio discorso esistenziale alla luce del tragico evento storico collettivo della guerra: «La Bufera è la guerra, in specie quella guerra dopo quella dittatura [ … ]; ma è anche guerra cosmica, di sempre e di tutti», il cui riscatto «può essere tanto la pace quanto una liberazione metafisica».

Nella Bufera la tematica stilnovista assume una connotazione più fortemente religiosa: la donna è baluardo contro il male, mediatrice tra Dio e gli uomini, messaggero celeste inviato da Dio, angelo salvatore, distante e irraggiungibile (Clizia). Anche qui non si tratta di un’unica figura, ma colei che viene chiamata Clizia riassume in sé le altre, per il forte valore simbolico da cui è contrassegnata. Clizia appare agire come per emanazione divina e addirittura come rinnovatrice del sacrificio di Cristo, ma non si tratta di una conversione del poeta, la sua razionalità e la sua cultura non gli permettono di accedere alla consolazione di una fede positiva: «Dicevano gli antichi che la poesia / è scala a Dio: forse non è cosi / se mi leggi».

Accanto a Clizia, nella Bufera, appare un’altra donna chiamata Volpe, “terrestre” e sensuale, simbolo di una nuova concezione poetica, quella di una poesia che stenta a sopravvivere nella società massificata, dominata dalle due “chiese” contrapposte, della Democrazia cristiana e del Partito comunista. Una poesia costretta per sopravvivere a misurarsi con il quotidiano, costretta a scendere dal cielo alla terra.

Satura In Satura si fa strada una diversa e più relativistica concezione della poesia: essa diventa uno strumento quotidiano e quasi immediato, valido accanto agli altri, di osservazione e di riflessione. Le conseguenze di questo mutato valore della poesia sono vistose: nella semplicità e prosasticità del linguaggio, anche se solo apparente; nella rinuncia alla musicalità e al lirismo, per una musicalità più nascosta e un lirismo meno esibito – nel carattere diaristico, narrativo; nell’uso dell’ironia e dell’autoironia, ora bonaria ora amara; nell’alternanza dei registri, fra quello del Poeta con la P maiuscola e quello del “poeta feriale”; nel diverso rapporto con il lettore, che ora sollecita un più cordiale colloquio.

Le prime due sezioni di Satura, intitolate Xenia I,  Xenia II, contengono brevissimi componimenti dedicati  alla moglie Drusilla Tanzi, soprannominata “Mosca”, morta nel 1963.

Anche Mosca, come Clizia e le altre donne della di Montale, è una presenza salvifica. Ma l’abbassamento di tono, tipico della nuova poetica montaliana, fa sì che il poeta ci dia con Mosca una caricatura affettuosa e ironica, della donna-angelo, quando per es. sceglie animali tutt’altro che poetici, come l’insetto  o il pipistrello, per rappresentarla.

IL LINGUAGGIO

Ossi di seppia Il  recupero della tradizione, il rifiuto di ogni gratuito sperimentalismo sono i punti fermi intorno a cui il giovane Montale intende lavorare. Un primo dovere dei poeti per Montale, come scrive nell’articolo Stile e tradizione, pubblicato sul “Baretti” nel 1925, consiste «nello sforzo verso la semplicità e la chiarezza a costo di sembrare poveri». Il canto degli Ossi è volutamente antiretorico: il poeta intende rifiutare l’aulica retoricità dei “poeti laureati», le preziose soluzioni dannunziane, in accordo con il mutato senso dell’esistenza, con una poesia che non può offrire “formule” che spieghino il mondo, ma solo qualche «storta sillaba e secca come un ramo”. Il poeta evita così ogni facile musicalità: prevale negli Ossi un aspetto aspro, “pietroso” sia nella scelta delle parole dal suono gutturale e dal significati non immediati, sia nelle soluzioni ritmiche e sintattiche. Montale usa il verso libero, ma recupera i versi della tradizione (endecasillabi, settenari, quinari, variandoli con calcolata irregolarità. Alle scelte linguistiche, espressive e formali, il poeta attribuisce un valore etico: «In tempi che sembrano contrassegnati dall’immediata utilizzazione della cultura, del polemismo e delle diatribe, la salute è forse nel lavoro inutile e inosservato: lo stile ci verrà dal buon costume».

  Le occasioni e La bufera e altro In questi due libri Montale raggiunge la maturità espressiva e stilistica. L’obiettivo è quello di unire a una ricerca raffinata di musicalità il rigore logico dell’argomentazione, per raggiungere quella nitidezza formale di cui poeti come Hólderlin, Leopardi e Valéry sono maestri. Montale abbandona la tendenza all’espressionismo linguistico del primo libro per accostarsi alla poetica dell’ermetismo e della poesia “pura”. Il linguaggio è caratterizzato dai seguenti elementi: l’impiego di metafore sempre più ardite; una struttura sintattica complessa, spesso ricca di incisi; un gioco di rime e assonanze che legano le parole in una rete di echi e rimandi. Si tratta di una poesia difficile, allusiva e spesso oscura, ma tale oscurità appare sempre sorretta da una costruzione razionale del discorso che raramente indulge al gusto dell’analogia, delle libere immagini che caratterizzano i testi dell’ermetismo.

Satura e le ultime raccolte : Il linguaggio dell’ultimo Montale appare dimesso, semplice, quasi prosastico: non più grandi simboli, il linguaggio elevato che vi corrispondeva, ma un discorrere sottovoce di cose poco importanti, un tono svagato e ironico. In realtà si tratta di una semplicità apparente, di un lirismo meno esibito. La prosasticità del linguaggio non deve ingannare, le poesie sono infatti sempre sapientemente costruite: alla mancanza di rime regolari, fa riscontro la consueta abile tessitura di rimandi interni, attraverso l’uso della rima interna, della rima imperfetta, della consonanza, dell’assonanza.