LE PIACEVOLI NOTTI STRAPAROLA

LE PIACEVOLI NOTTI STRAPAROLA

Irene Pedergnana

Giovan Francesco Straparola

LE PIACEVOLI NOTTI

Le piacevoli notti è una raccolta di fiabe e novelle di Giovan Francesco Straparola. In parte riprende la tradizione novellistica ma è notevole anche la sua carica trasgressiva.

Fu pubblicata a Venezia nel 1550 (il Primo libro) e nel 1553 (il Secondo libro). In tutta la raccolta il reale e il fantastico si intrecciano: è un tratto in comune con la tradizione popolare degli exempla e con la novellistica medievale.

Fin da subito ebbe grande successo, è infatti assai elevato il numero di copie vendute tra il 1558 e il 1613. La raffinatezza dell’opera di Straparola soddisfece completamente le esigenze del pubblico tanto da superare il modello decameroniano.

Il Primo libro è stato dedicato “Alle piacevoli ed amorose donne” da Orfeo dalla Carta, colui che pubblicò le favole di Giovan Francesco Straparola, invece il Secondo è stato dedicato parimenti  “Alle graziose ed amorevoli donne” da parte dell’autore stesso.

Le novelle sono inserite in una cornice rappresentata dagli avvenimenti realmente accaduti durante il periodo della realizzazione dell’opera. La storia nacque dall’esilio di Ottaviano Maria Sforza, costretto a lasciare Milano. Egli, dopo la morte del genero e dopo aver affrontato disavventure a Venezia, decise di rifugiarsi in un maestoso palazzo nella cittadella di Murano. I personaggi che accompagnarono padre e figlia sono: dieci fanciulle, due dame di compagnia e tre illustri gentiluomini quali Pietro Bembo e Bernardo Cappello.

Ne Le piacevoli notti l’atmosfera conseguente l’esilio è molto dura, l’uomo non è più l’artefice del proprio destino, come era visto nelDecameron, ma si abbandona alle volontà dell’altro, non tentando in alcun modo di ostacolarle. Impotenza e limitazione divengono caratteristiche comuni nell’uomo. Nel momento in cui l’esule cerca di sottrarsi agli ordini imposti paga con la prigione o addirittura con la morte.

In quest’opera inoltre non si parla di Giornate, come nel Decameron, bensì di Notti. Esse non sono più dieci ma tredici. I racconti sono distribuiti in questo modo: cinque nelle prime dodici notti (tranne l’Ottava che ne contiene sei) e tredici nella tredicesima, per un totale di 74 novelle.

Il palazzo di Murano è un locus amoenus primaverile, sebbene la stagione in cui avvengono i fatti descritti sia l’inverno. Questa scelta va di pari passo con le fiabe popolari dell’epoca, che, per convenzione, solevano ritrarre un ambiente magico secondo uno schema prestabilito. Perciò Straparola parlava di “favole” anzichè di “novelle”, e grazie a questa sua decisione si aggiunge un’altra dissomiglianza con Boccaccio che, fra “novelle o favole o parabole o istorie”, aveva optato per “novelle”.

Notte seconda, I

Galeotto, re d’Anglia, ha un figliuolo nato porco, il quale tre volte si marita; e posta giú la pelle porcina e diventato un bellissimo giovane, fu chiamato re porco.

Quanto l’uomo, graziose donne, sia tenuto al suo Creatore che egli uomo e non animale bruto l’abbia al mondo creato, non è lingua sí tersa né sí faconda, che in mille anni a sofficienza il potesse isprimere. Però[1] mi[2] soviene una favola, a’ tempi nostri avvenuta, di uno che nacque porco, e poscia, divenuto bellissimo giovene, da tutti re porco fu chiamato.

Dovete adunque sapere, donne mie care, che Galeotto fu re d’Anglia, uomo non men ricco di beni della fortuna che de quelli dell’animo; ed aveva per moglie la figliuola di Mattias re di Ongheria, Ersilia per nome chiamata, la quale e di bellezza e di virtú e di cortesia avanzava ogn’altra matrona che a’ suoi tempi si trovasse. E sí prudentemente Galeotto reggeva il suo regno, che non vi era alcuno che di lui veracemente lamentar si potesse. Essendo adunque stati lungamente ambeduo insieme, volse la sorte che Ersilia mai non s’ingravidò. Il che all’uno e l’altro dispiaceva molto.

Avenne che Ersilia, passeggiando per lo suo giardino, andava raccogliendo fiori: ed essendo giá alquanto lassa, adocchiò un luogo pieno di verdi erbette, e accostatasi a quello, si puose a sedere; e invitata dal sonno e da gli uccelli, che su per li verdi rami dolcemente cantavano, s’addormentò.

Allora per sua buona ventura passarono per l’aria tre altiere fate; le quali, veggendo l’addormentata giovane, si fermorono, e considerata la lei bellezza e leggiadria, si consigliorono insieme di farla inviolabile ed affiatata. Rimasero adunque le fate tutta tre d’accordo.

La prima disse:

– Io voglio costei inviolabil sia: e la prima notte che giacerá col suo marito, s’ingravidi: e di lei nasca un figliuolo che di bellezze non abbia al mondo pare.

L’altra disse:

– Ed io voglio che niuno[3] offender la possi, e che ’l figliuolo, che nascerá di lei, sia dotato di tutte quelle virtú e gentilezze che si possino imaginare.

La terza disse:

– Ed io voglio che ella sia la piú savia e la piú ricca donna che si truovi: ma che’l figliuolo, che ella conciperá, nasca tutto coperto di pelle di porco, e i gesti e le maniere, che egli fará, siano tutti di porco: né mai possi di tal stato uscire, se prima non saranno da lui tre mogli prese.

Partite che furono le tre fate, Ersilia si destò: e incontinenti levatasi da sedere, prese i fiori che raccolti aveva, ed al palagio se ne tornò.

Non passorono molti giorni, che Ersilia s’ingravidò; e aggiunta al desiderato parto, partorí un figliuolo, le cui membra non erano umane, ma porcine.

Il che andato alle orecchie del re e della reina, inestimabile dolore ne sentirono. Ed acciò che tal parto non ridondasse in vituperio della reina che buona e santa era, il re piú fiate[4] ebbe animo di farlo uccidere e gettarlo nel mare. Ma pur rivolgendo nell’animo e discretamente pensando che ’l figliuolo, qual che si fusse, era generato da lui ed era il sangue suo, deposto giú ogni fiero proponimento che prima nell’animo aveva, e abbracciata la pietà mista col dolore, volse al tutto, non come bestia, ma come animal razionale allevato e nodrito fusse. Il bambino adunque, diligentemente nodrito, sovente veniva alla madre, e levatosi in piedi, le poneva il grognetto e le zampette in grembo. E la pietosa madre all’incontro lo accarezzava, ponendoli le mani sopra la pilosa schiena, ed abbracciavalo e basciavalo, non altrimenti che creatura umana si fusse. Ed il bambino avinchiavasi[5] la coda, e con evidentissimi segni le materne carezze esserli molto grate le dimostrava.

Il porcelletto, essendo alquanto cresciuto, cominciò umanamente parlare e andarsene per la cittá; e dove erano l’immondicie e le lordure, sí come fanno i porci, dentro se li cacciava. Dopo, cosí lordo e puzzolente, si ritornava a casa: e accostatosi al padre ed alla madre e fregandosi intorno alle vestimenta loro, tutte de letame gli le imbruttava; e perciò che egli gli era unico figliuolo, ogni cosa pazientemente sofferivano.

Tra gli altri un giorno a casa venne il porchetto: e messosi, sí lordo e sporco come era, sopra le vestimenta della madre, grognendo le disse:

– Io, madre mia, vorrei maritarmi.

Il che udendo, la madre rispose:

– O pazzo che tu sei, chi vuoi tu che per marito ti prenda? Tu sei puzzolente e sporco; e tu vuoi che uno barone o cavaliere sua figliuola ti dia?

A cui rispose grognendo che al tutto moglie voleva.

La reina, non sapendo in ciò governarsi, disse al re:

– Che dobbiam noi fare? Voi vedete a che condizione noi si troviamo. Il figliuolo nostro vuol moglie, né fia alcuna che in marito prender lo voglia.

Ritornato il porchetto alla madre, altamente grognendo diceva:

– Io voglio moglie, né mai cessarò infino a tanto che io non abbia quella giovane che oggi ho veduta, perciò che molto mi piace.

Costei era figliuola d’una poverella che aveva tre figliuole: e ciascheduna di loro era bellissima.

Questo intendendo, la reina subito mandò a chiamare la poverella con la figliuola maggiore, e dissele:

– Madre mia diletta, voi siete povera e carica di figliuole; se voi consentirete, tosto ve ne verrete ricca. Io ho questo figliuolo porco, e lo vorrei maritare in questa vostra figliuola maggiore. Non vogliate avere rispetto a lui che è porco, ma al re e a me; che, al fine, di tutto il regno nostro ella sará posseditrice.

La figliuola, queste parole udendo, molto si turbò: e venuta rossa come mattutina rosa, disse che per modo alcuno a tal cosa consentir non voleva. Ma pur sí dolci furono le parole della poverella, che la figliuola accontentò[6].

Ritornato il porco tutto lordo a casa, corse alla madre; la quale li disse:

– Figliuolo mio, noi ti abbiamo trovata moglie, e di tuo sodisfacimento.

E fatta venire la sposa, vestita di onorevolissime vestimenta regali, al porco la presentò. Il quale, veggendola bella e graziosa, tutto gioliva: e cosí puzzolente e sporco la intorniava, facendole col grugno e con le zampe le maggior carezze che mai porco facesse. Ed ella, perciò che tutte le vestimenta le bruttava, indietro lo spingeva. Ma il porco dicevale:

– Perché indietro mi spingi? non ti ho io fatto coteste vestimenta?

A cui ella, superba, alteramente disse:

– Né tu, né ’l tuo reame de porci, mai me le facesti.

E venuta l’ora di andare a riposare, disse la giovane:

– Che voglio io fare di questa puzzolente bestia? Questa notte, com’egli sará in su ’l primo sonno, io l’ucciderò.

Il porco, che non era molto lontano, udí le parole, e altro non disse.

Andatosene adunque a l’ora debita il porco, tutto di letame e di carogne impiastracciato, al pomposo letto, con il grugno e con le zampe levò le sottilissime linzuola, e imbruttato ogni cosa di fetente sterco, appresso la sua sposa si coricò. La quale non stette molto che s’addormentò. Ma il porco, fingendo di dormire, con le acute zanne si fortemente nel petto la ferí, che incontanente morta rimase.

E levatosi la mattina per tempo, se n’andò, secondo il suo costume, a pascersi e inlordarsi. Parve alla reina di andar a visitazione della nuora: e andatasene e trovatala dal porco uccisa, ne sentí grandissimo dolore. E ritornato il porco a casa, e agramente ripreso dalla reina, le rispose, lui avere fatto a lei quello che ella voleva far a lui: e sdegnato si partí.

Non passorono molti giorni, che ’l porco da capo stimolò la madre di volersi rimaritare nell’altra sorella; e quantunque per la reina li fusse contraddetto molto, nondimeno egli ostinato al tutto la voleva, minacciando di porre ogni cosa in roina, quando egli non l’avesse.

Udendo questo, la reina andò al re e raccontògli il tutto; ed egli le disse che manco male sarebbe farlo morire, che qualche gran male egli nella cittá facesse. Ma la reina, che madre gli era e che li portava grande amore, non poteva patire di rimanere priva di lui, ancor che porco fusse.

E chiamata la poverella con l’altra figliuola, ragionò lungamente con esse loro; e poi che ebbero molto ragionato insieme di maritaggio, la seconda accontentò di accettare il porco per suo sposo.

Ma la cosa non andò ad effetto si come ella desiderava; perciò che il porco la uccise come la prima, e di casa tostamente si partí. E ritornato all’ora debita al palagio con tanta lordura e letame, che per lo puzzore non se li poteva avicinare, fu dal re e dalla reina per l’eccesso commesso villaniggiato[7] molto. Ma il porco arditamente li rispose, lui avere fatto a lei quello che ella intendeva di fare a lui.

Né stette molto, che messere lo porco ancor tentò la reina di volersi rimaritare e prendere per moglie la terza sorella, che era vie piú bella che la prima e la seconda. Ed essendoli la dimanda al tutto negata, egli di averla maggiormente sollecitava, minacciando con spaventevoli e villane parole di morte la reina, se per sposa non l’aveva.

La reina, udendo le sozze e vituperevoli parole, sentiva nel cuore sí fatto tormento, che quasi ne era per impazzire. E messo da canto ogni altro suo pensiero, fece venir a sé la poverella e la terza sua figliuola, Meldina per nome chiamata, e dissele:

– Meldina, figliuola mia, voglio che tu prendi messer lo porco per tuo sposo: né aver rispetto a lui, ma al padre suo e a me; che, se tu saprai ben esser con esso lui, sarai la piú felice e la piú contenta donna che si trovi.

A cui Meldina con sereno e chiaro viso rispose che era molto contenta, ringraziandola assai che si dignasse accettarla per nuora. E quando altro ella non avesse, le sarebbe bastevole di poverella in uno instante esser venuta nuora d’un potente re.

Sentendo la reina la grata ed amorevole risposta, non puote per dolcezza gli occhi dalle lagrime astenere[8]. Ma pur temeva non avenisse a lei come alle altre due era avenuto.

Vestitasi la nuova sposa di ricche vestimenta e preziose gioie, aspettò lo suo caro sposo che venisse a casa. Venuto che fu messer lo porco, piú lordo e sporco che mai fusse, la sposa benignamente lo ricevette, distendendo la sua preziosa veste per terra, pregandolo che si coricasse appresso lei.

La reina le diceva che lo spingesse da parte; ma ella ricusava di spingerlo, e tai parole alla reina disse:

Tre cose ho giá sentite raccontare,
Sacra Corona veneranda e pia:
l’una, quel ch’è impossibile truovare,
andar cercando, è troppo gran pazzia;
l’altra, a quel tutto fede non prestare,
che ’n sé non ha ragion né dritta via;
la terza, il dono prezioso e raro
c’hai nelle mani, fa che ’l tenghi caro.

Messer lo porco, che non dormiva ma il tutto chiaramente intendeva, levatosi in piedi, le lingeva[9] il viso, la gola, il petto e le spalle; ed ella all’incontro l’accarezzava e basciava, sí che egli tutto d’amore si accendeva.

Venuta l’ora di posare[10], andossene la sposa in letto, aspettando che ’l suo caro sposo se ne venisse; e non stette molto che ’l sposo, tutto lordo e puzzolente, se n’andò al letto. Ed ella, levata la coltre, se lo fece venire appresso, e sopra il guanciale li conciò[11] la testa, coprendolo bene e chiudendo le cortine, acciò che[12] freddo non patisse.

Messer lo porco, venuto il giorno, e avendo lasciato il materasso pieno di sterco, se n’andò alla pastura.

La reina la mattina andossene alla camera della sposa: e credendosi vedere ciò che per lo addietro delle altre due veduto aveva, trovò la nuora allegra e contenta, ancor che ’l letto tutto di lordura e carogne imbruttato fusse. E ringraziò il sommo Iddio di sí fatto dono, che suo figliuolo aveva trovata moglie di suo contento.

Non stette gran spazio di tempo, che messer lo porco, essendo con la sua donna in piacevoli ragionamenti, le disse:

– Meldina, moglie mia diletta, quando io mi credessi che tu non appalesassi ad alcuno l’alto mio secreto, io, non senza grandissima tua allegrezza, ti scoprirei una cosa che fin ora ho tenuta nascosa; ma perciò che io ti conosco prudente e savia, e veggio che mi ami di perfetto amore, vorrei di ciò farti partecipe.

– Sicuramente scopritemi ogni vostro secreto, – disse Meldina, – che io vi prometto di non manifestarlo, senza il vostro volere, ad alcuno.

Sicurato[13] adunque messer lo porco dalla moglie, si trasse la puzzolente e sporca pelle, e un vago e bellissimo giovane rimase: e tutta quella notte con la sua Meldina strettamente giacque.

E impostole che il tutto dovesse tacere, perciò che era fra poco tempo per uscire di sí fatta miseria, si levò di letto: e presa la sua spoglia porcina, alle immondizie, sí come per l’addietro fatto aveva, si diede.

Lascio a ciascuno pensare quanta e qual fusse l’allegrezza di Meldina, veggendosi accompagnata con sí leggiadro e sí polito giovane.

Non stette guari[14] che la giovane se ingravidò; e venuta al termine del suo parto, partorí un bellissimo figliuolo. Il che al re e alla reina fu di grandissimo contento, e massimamente che non di bestia, ma di creatura umana teneva la forma.

Parve a Meldina esserle molto carico tener celata cosí alta e maravigliosa cosa; e andatasene alla suocera, disse:

– Prudentissima reina, io mi credevo esser accompagnata con una bestia; ma voi mi avete dato per marito il piú bello, il piú vertuoso e il piú accostumato giovane che mai la natura creasse. Egli, quando viene in camera per accoricarsi appresso me, si spoglia la puzzolente scorza, e in terra quella diposta, un attilato[15] e leggiadro giovane rimane. Il che niuno potrebbe credere, se con gli occhi propi non lo vedesse.

La reina pensava che la nuora burlasse; ma pur diceva da dovero[16]. E addimandatala come ciò potesse vedere, rispose la nuora:

– Verrete questa notte su ’l primo sonno alla camera mia, e trovarete aperto l’uscio, e vederete ciò che io vi dico, essere il vero.

Venuta la notte, e aspettata l’ora che tutti erano andati a posare, la reina fece accendere i torchi[17], e con il re se n’andò alla camera del figliuolo: ed entratavi dentro, trovò la porcina pelle che da l’un lato della camera era posta giú in terra; e accostatasi la madre al letto, vide il suo figliuolo essere un bellissimo giovane: e Meldina, sua moglie, in braccio strettamente lo teneva.

Il che vedendo, il re e la reina molto si rallegrorono: e ordinò il re che, avanti alcuno indi si partisse, la pelle fusse tutta minutamente stracciata; e tanta fu l’allegrezza del re e della reina per lo rinnovato figliuolo, che poco mancò che non se ne morisseno.

Il re Galeotto, veggendo avere sí fatto figliuolo e di lui figliuoli, depose la diadema e il manto regale, e in suo luogo con grandissimo trionfo fu coronato il figliuolo, il quale, chiamato re porco, con molto sodisfacimento di tutto il popolo resse il regno, e con Meldina, sua diletta moglie, lungo tempo felicissimamente visse.

Era già ridotta al suo termine la favola da Isabella raccontata, quando gli uomini e le donne sommamente si ridevano da messer lo porco tutto inlordato che accarezzava la sua diletta moglie, e, così impiastricciato da fango, con lei giaceva. […]

Commento:

Una favola magica, fantastica che raccoglie un’avventura incantevole. Narrato artificiosamente da Isabella, questo racconto si discosta leggermente dai prototipi di Straparola, qui infatti il matrimonio non è visto come fine ultimo della narrazione bensì rappresenta solo un primo passo verso la mutazione fisica della bestia. Il protagonista è investito infatti da una serie di cambiamenti, che lo condurranno dal suo essere belva al divenire vero eroe della vicenda.

È  da sottolineare l’utilizzo di elementi magici, che danno al componimento un certo fascino: è una peculiarità di molti racconti di Straparola.

È facile cogliere una vicinanza alla tradizione popolare. Il “porco” infatti rappresenta in maniera stilizzata il popolo, e la sua ascesa al trono concede ai lettori della favola una speranza di mutare la propria condizione sociale, aspirando dunque alla ricchezza dei palazzi e al potere. Ciò permette anche al più misero e reietto di sognare il raggiungimento dell’apice della società. Questo era sostanzialmente l’obiettivo dell’autore.

Addirittura ben sette eroi su tredici, nell’ intera opera, provengono da queste classi e guadagnando il comando del reame convertono in realtà il volere popolare.

Trattando poi l’atteggiamento della donna, ella è punita per la sua malvagità e premiata per la sua virtù. In questo contesto infatti solo colei che non si sofferma sull’aspetto deforme della bestia ma guarda la sua bellezza interiore è premiata. Se le prime due sorelle non vi vedono che un lordo, sporco e puzzolente maiale la terza, non soffermandosi sull’elemento estetico, se ne innamora. Un meraviglioso insegnamento per i lettori: l’uomo giudica solo rispetto a ciò che l’occhio vede e non in conformità a ciò che il cuore sente.

Bisogna inoltre evidenziare che la vicenda ha avuto inizio solo grazie a personaggi magici, quali appunto le tre fate che hanno scagliato l’incantesimo sulla madre della bestia. Dunque è la magia che fa scaturire un così fiabesco racconto. Questa particolarità accomuna molte delle favole di Straparola.

Importante è anche l’enigma in versi. Complessivamente l’autore ha inserito nell’opera settantaquattro enigmi, ovvero uno in ogni poema, di difficile interpretazione. Anche qui si trovano poche righe alquanto incomprensibili, che sono pronunciate dalla terza moglie dello sporco re. Nella maggior parte dei casi questi indovinelli sono addirittura indecenti. Ciò che li accomuna è l’ottava rima.

A questa favola di Straparola è connessa la tradizione dei racconti su La bella e la bestia, compreso il film prodotto dalla Walt Disney nel 1991.

Notte dodicesima, I

Florio, geloso della propria moglie, astutamente vien ingannato da lei; e risanato di tanta infermità, lietamente con la moglie vive.

— Più e più volte, amorevoli e graziose donne, ho udito dire, non valer scienza nè arte alcuna contra l’astuzia delle donne; e questo procede perchè elle non dalla trita[18] e secca terra sono prodotte, ma dalla costa del padre nostro Adamo; e così sono di carne e non di terra, ancor che i loro corpi al fin in cenere si riducano. Laonde[19], dovendo io dar principio a’ nostri festevoli ragionamenti, determinai di raccontarvi una novella che intervenne ad un geloso; il quale, quantunque savio fusse[20], fu nondimeno dalla moglie ingannato, e in breve tempo di pazzo savio divenne.

In Ravenna, antiquissima città della Romagna, copiosa[21] di uomini famosi, e massimamente in medicina, trovavasi nei passati tempi un uomo di assai nobil famiglia, ricco ed eccellentissimo, il cui nome era Florio. Costui, essendo giovane e ben voluto da tutti, parte perchè era grazioso, parte ancora perchè era peritissimo nell’arte sua, prese per moglie una leggiadra e bellissima giovane, Doratea per nome chiamata. E per la bellezza di lei fu da tanto timore e paura assalito che altri non contaminassero il letto uso matrimoniale, che non apparea[22] buco nè fissura alcuna in tutta la casa, che non fosse molto bene con calcina otturata e chiusa; e furono poste a tutte le finestre gelosie di ferro. Appresso questo, non permetteva che alcuno, per stretto parente che gli fusse, o congiuntoli per affinità o per amicizia, entrasse nella casa sua. Il miserello sforzavasi con ogni studio e vigilanza di rimovere tutte le cause che macchiar potessero la purità della sua moglie, e farla declinare della fede verso di lui. E avenga che, secondo le leggi civili e municipali quelli che sono carcerati per debiti, per la securità e cauzione data a’ lor creditori debbiano liberarsi e, più forte ancor, che i malfattori e delinquenti imprigionati a certo spazio di tempo si disciogliono, non però a lei in perpetua sua pena era possibile uscir mai fuori di casa e da tal servitù disciolgersi; perciò che ei teneva fedeli guardiani per custodia della casa e pe’ suoi servigi, nè meno era guardiano egli degli altri, se non che aveva libero arbitrio di uscirne a suo piacere. Non però egli si partiva giamai, come provido e gelosissimo uomo, se prima non aveva diligentissimamente ricerco tutti i buchi e le fissure di casa, e serrati tutti gli usci e finestre con suoi cadenazzi con gran diligenza, e chiavati con chiavi di meraviglioso artificio: e così passava la sua vita con questa crudel pena ogni giorno. Ma quella prudentissima moglie, mossa a compassione della pazzia del marito, imperciò che ella era specchio di virtù e di pudicizia e ad una Lucrezia romana agguagliar si poteva, deliberò sanarlo di tal pessima egritudine. Il che pensava non poterle altrimenti succedere, se con l’ingegno non dimostrasse quel che si potessero fare e operar le donne. Avenne che ella e il marito avevano pattuito insieme di andare la seguente mattina ambiduo vestiti da monaco ad un monasterio fuor della città a confessarsi. Onde, trovato il modo di aprire una finestra, vidde pe’ cancelli della ferrata gelosia che per aventura indi passava quel giovane che era ardentissimamente acceso dello amor di lei. Chiamollo cautamente, e dissegli: — Domattina per tempo andrai vestito da monaco al monasterio che è fuor della città; ed ivi aspettami fin che sotto il medesimo abito io e il mio marito venir ci vedrai. Ed allora, affrettandoti, tutto allegro ci verrai incontro, ed abbraccerámi e bascierámi, e ci darai da mangiare, e goderai la insperata mia venuta; perciò che abbiamo ordinato, io e il mio marito, ambi vestiti di abito monacale, venir domattina al detto monasterio per confessarci. Sii aveduto, di buon animo e vigilante, nè ti perder di consiglio. — Il che detto, si partì l’accorto giovane; e vestitosi da monaco e preparata una mensa con ogni maniera di dilicate vivande e abondevolmente con vini gloriosissimi, andò allo antedetto monasterio; e avuta una cella da quelli reverendi padri, ivi dormì quella notte. Venuta la mattina, fece ancora apparecchiare altre dilicatezze pel desinare, oltre quelle che già portate vi aveva. Il che fatto, cominciò a passiggiare avanti la porta del monasterio; e non stette molto, che vidde la sua Dorotea che veniva di fratesco abito coperta. A cui si fece incontro con viso giocondo e lieto, e quasi divenne meno da soverchia e inopinata allegrezza; e così diposto ogni timore, le disse: — Quanto e gioconda la tua venuta, frate Felice amantissimo lasciolo pensare a te, con ciò sia che già gran tempo non si abbiamo veduti; — e dicendo queste parole, si abbracciarono insieme, e d’imaginarie lagrimette il viso bagnandosi, si basciorono. E quelli accettando, feceli venir nella sua cella, e posegli a sedere a mensa: qual era divinamente apparecchiata, dove non mancava cosa alcuna che desiderar si potesse. Ed egli sedendo appresso alla donna, quasi ad ogni boccone dolcemente la basciava. Il geloso per la novità della cosa rimase tutto attonito e sbigottito; e da grandissimo dolor confuso, vedendo la moglie in sua presenza esser baciata dal monaco, non poteva inghiottire il boccone che tolse, quantunque il picciolo, nè mandarlo fuori. In questa dilettazione e piacere consummarono tutto il giorno. Approsimandosi la sera, il geloso addimandò licenza, dicendo che molto erano stati fuori del monasterio, e che forza era ritornarci. Finalmente non senza difficultà ottenutala, doppo molti abbracciamenti e saporiti basci, con gran dolore si partirono. Poi che furono ritornati a casa, avedutosi il marito che egli era stato la cagione di tutto questo male, ed esser cosa superflua e frustatoria voler resistere agli sottili inganni delle donne, già quasi vinto e superato da lei, aperse le finestre e gli serragli per lui fatti, di maniera che non era casa nella città più sfinestrata di quella, e disciolse tutti i legami, lasciando la moglie in libertà, e dipose ogni paura; e risanato di tanta e sì grave infermità, pacificamente con la moglie visse: ed ella, liberata dalla dura prigione, lealmente servò la fede al marito. —

Commento:

Nell’introduzione del racconto, Straparola parla di “novella” e non più di “favola”. Questa sua scelta è determinante, poiché fa trasparire uno stretto collegamento con le novelle-beffe boccacciane.

Pur essendo un breve testo contiene un’innumerevole serie di analogie con altre fonti, in particolare quelle di origine tradizionale, quali ad esempio le Novellae et fabulae di Morlini, pubblicate nel 1520. Da qui Straparola dedusse il suo pensiero riguardo l’origine della donna, fatta non di terra bensì di carne e di conseguenza sottoposta ai piaceri carnali.

Florio, protagonista della storia, uomo per natura geloso e diffidente della moglie è inserito nella scena con una’eccessiva descrizione della sua condizione sociale. Di lui si dice sia ricco ed eccellentissimo ed addirittura peritissimo nell’arte sua, questi aggettivi sono fortemente accresciuti con lo scopo di accentuare il ceto e le abilità di Florio.

Vi è, come ho accennato sopra, un’affinità con il Decameron di Boccaccio, la figura del marito geloso che controlla ostinatamente la moglie è infatti uno dei punti chiavi di questo poema. Solitamente però è racchiuso nella serie di novelle, che implicano la presenza di una determinata beffa. Un esempio lancinante è il racconto di Nastagio degli Onesti il cui inizio coincide con questa novella di Straparola: In Ravenna, antichissima città di Romagna, furon già assai nobili e gentili uomini, tra’ quali un giovane chiamato Nastagio degli Onesti […]

Analizzando poi Dorotea, immagine di virtù e lealtà, è necessario soffermarsi sulla descrizione che ce ne fa Straparola, egli afferma infatti che ad una Lucrezia agguagliar la si poteva. La leggenda di Lucrezia, seppur straziante per la violenza di Sesto Tarquinio, che abusò su di lei e di conseguenza la portò ad uccidersi, è sinonimo di fedeltà verso il marito.

Complessivamente però il testo è intriso di una certa incoerenza dal momento che il pensiero iniziale non coincide minimamente con quello finale. La figura della donna vista nell’introduzione contiene un’accezione negativa, ella infatti sembra rispondere solo a un indole carnale e non razionale. Nel corso però della vicenda si può facilmente intuire che ella è assolutamente necessaria a far rinsavire l’uomo, dunque ciò che prima appariva negativo si tramuta in qualcosa di positivo e indispensabile.

A sua volta Dorotea apporta a prima vista un rovesciamento di ciò, quasi un controsenso, poichè ella raggiunge la meta tanto ambita attraverso l’inganno. Dunque l’immagine di Lucrezia è frantumata dinanzi a questo imbroglio, svanisce totalmente. Alla fine però riemerge e ogni singolo frammento si ricolloca al posto giusto.

Da ciò si evince che la figura della donna, nelle azioni che compie, funge da insegnamento perchè partendo dall’essere virtuosa e saggia, si distrugge attraverso l’inganno e si ricrea con il ritrovamento della lealtà. Tutto ciò è espresso nel corso della storia dal personaggio di Dorotea.

BIOGRAFIA DELL’AUTORE

Riguardo la vita di Giovan Francesco Straparola si hanno pochissime notizie. Fu uno scrittore lombardo, nato verso il 1480, e poi trasferitosi a Venezia, nel poema si fa un largo uso di dialetti quali il bergamasco e il pavano. Nel 1508 pubblicò un canzoniere Opera nova di Zoan Francesco Straparola, unica opera di sua creazione certa precedente a Le piacevoli notti. La data della sua morte è di dubbia collocazione, probabilmente risale al 1557.

[1] Per questo, a questo proposito

[2] A Isabella, narrante della favola

[3] Nessuno

[4] Volte

[5] Si avvinghiava

[6] Accettò, accondiscese

[7] Ingiuriato, aspramente ripreso

[8] Tenere lontani

[9] Leccava

[10] Riposare

[11] Fece porre

[12] Affinchè, di modo che

[13] Rassicurato

[14] Non passò molto tempo

[15] Elegante, accurato

[16] Cosa vera

[17] Torce

[18] Frantumata, sminuzzata

[19] Sicchè, per la qual cosa

[20] Fosse

[21] Ricca, piena

[22] Vi era

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