LE GEORGICHE DI VIRGILIO
LE GEORGICHE DI VIRGILIO
Le Georgiche
Se con le Bucoliche Virgilio rimane nel solco della grande poesia ellenistica che aveva condizionato fortemente l’esperienza poetica romana del I secolo a.C. – pur con spunti originali e personalissimi, a cominciare dalle allusioni autobiografiche e dagli ambienti italici – le Georgiche segnano il passaggio all’arte virgiliana più matura, praticata all’ombra di Mecenate e di Ottaviano. Se le Bucoliche erano dedicate ai pastori, in un prospettiva di evasione e di idealizzazione, tra i valori dominanti del canto poetico, dell’amore e dell’otium, i quattro libri delle Georgiche sono il poema del piccolo proprietario terriero romano: una figura centrale nella propaganda di Ottaviano e nel progetto di rinascita sociale e morale – in paradossale equilibrio fra conservazione e innovazione – promosso dalla politica augustea.
Composte in un arco quasi decennale (più o meno dal 37 alla fine del 29 a.C., anche se una notizia del commentatore antico Servio fa pensare che il poema sia stato pesantemente rivisto dopo il 26 a.C., per eliminarne le lodi di Cornelio Gallio, caduto in disgrazia presso Augusto), le Georgiche dipendono dalla grande poesia didascalica greca e romana (da Esiodo a Lucrezio, attraverso gli alessandrini Arato, Eratòstene e Nicandro), ma anche dalla trattatistica scientifica sull’agricoltura (l’opera di Varrone, il De re rustica, uscì appunto intorno al 37 a.C.). In particolare la lezione di Lucrezio fa sì che Virgilio rimediti la cifra alessandrina dominante nelle Bucoliche, e giunga a conciliare, in un’opera che alcuni giudicano la più perfetta dal punto di vista formale, le istanze del preziosismo ellenistico e quelle della più alta e impegnata poesia didattica.
I quattro libri sono dedicati rispettivamente alla coltivazione dei campi, all’arboricoltura, all’allevamento e all’apicoltura. Il lavoro è al centro del poema, e la necessità del lavoro è teorizzata in un quadro teologico e provvidenzialistico di grande impegno teoretico: sicché, in una contrapposizione probabilmente schematica, si suole rimarcare l’afflato stoicheggiante che anima le Georgiche, di contro al giovanile epicureismo che sostiene le Bucoliche.
I quattro libri sono organizzati secondo un vistoso gusto delle simmetrie: tutti sono aperti da un proemio (ampio e circostanziato quello dei libri I e III, breve e tematicamente circoscritto quello dei libri II e IV) e chiusi da una digressione che in alcuni casi gode di autonoma dignità artistica: sulle guerre civili nel libro primo, sulla vita dei contadini nel secondo, sulla peste che falcidiò gli animali del Norico nel terzo, sulla vicenda di Aristèo, Òrfeo ed Eurìdice nel quarto (quest’ultimo costituisce un vero e proprio epillio indipendente, e, secondo una notizia antica assai discussa, sarebbe stato composto per sostituire un brano politicamente sconveniente, perché dedicato all’amico Cornelio Gallo, caduto in disgrazia presso Augusto). Tutto il resto è occupato da precetti di carattere didascalico, dove lo straordinario effetto estetico è suscitato dal contrasto armonico fra il tema (spesso umile) e l’altissima cura formale. Gli studiosi virgiliani, pur rimarcando la pertinenza degli argomenti scelti al programma ideologico augusteo, non hanno mancato di riscontrare nel poema tutti quegli elementi di inquietudine e di sottile lacerazione interiore che appaiono caratteristici di Virgilio, e che fanno di lui tutt’altro che il passivo portavoce di un programma politico e propagandistico.