LE COMMEDIE TERENZIO

LE COMMEDIE TERENZIO

Sono 6, tutte palliate. Le didascalie e i prologhi ci sono utili perché contengono notizie, cronologie, indicazioni per l’allestimento scenico, nomi degli edili e dei consoli dell’anno in cui si svolgeva la prima rappresentazione, nomi degli attori, dei compositori delle musiche, persino degli strumenti musicali che venivano di volta in volta adoperati.

ANDRIA (La fanciulla di Andro) 166

Panfilo ama Glicerio, ragazza di Andro (isola dell’Egeo), ma il padre di lui, Simone, lo vuole sposo alla figlia del suo amico Cremete, il quale si oppone alle nozze quando sa dell’amore di Panfilo per Glicerio. Il servo Davo cerca di risolvere la questione ma ne ingarbuglia ancor più la matassa. Alla fine si scopre che Glicerio non è figlia della cortigiana Criside ma proprio di Cremete e che era stata creduta morta da bambina in un naufragio dal quale si era invece salvata. È presente la contaminatio tra due commedie di Menandro (da cui Terenzio pesca molto), e sarebbero la stessa Andria e Perinthia. Lo stile è elegante ed emerge la finezza dell’introspezione psicologica, con invenzione delle caratteristiche della palliata, fatta di intrecci molto precisi.

HECYRA (La suocera) 165 – 160

Panfilo ama la cortigiana Bacchide. I genitori invece lo vogliono sposare a Filumena, figlia di un vicino di casa. Infatti sposa Filumena. Panfilo parte per un viaggio e Filumena torna dai suoi. Si pensa che la colpa dei dissapori tra i due sposi sia della madre di lui, Sostrata, cioè la suocerca, che si dice non sopporti la nuora, mentre è impegnata al contrario a salvare il matrimonio del figlio che lei stessa aveva voluto. Al ritorno di Panfilo dal viaggio, Filumena sta per dare alla luce il figlio di una violenza subita prima del matrimonio. Panfilo lascia credere che davvero ci sia odio tra la nuora e sua madre per non gettare fango sulla moglie, che adesso ama. Ma la nascita del bambino peggiora tutto. Lachète, padre di Panfilo, si rivolge alla cortigiana Bacchide pensandola responsabile. La donna non c’entra e salverà la situazione, perché porta al dito l’anello (donatole da Panfilo) che è stato sottratto a Filumena nella notte in cui lui le aveva usato violenza, quindi è proprio lui il padre del bambino. Di ciò si accorge l’altra suocera, cioè la madre di Filumena, che riconosce l’anello come proprietà di sua figlia.

La derivazione è Menandro, l’Eritrepontes (L’arbitrato), il quale a sua volta pare l’avesse ripresa da Apollodoro di Caristo, un commediografo del IV sec. a. C. alla prima rappresentazione del 165 (anno in cui è stata scritta)  fu un insuccesso. Il pubblico se ne va a vedere i funamboli, avvertito da qualcuno che aveva interesse a boicottare Terenzio. Ma anche nel 160, la prima volta è un insuccesso e la gente esce dal teatro dopo poche battute per andare a vedere i gladiatori. Al terzo tentativo, invece, durante i LUDI ROMANI, lo spettacolo riesce e ottiene un buon successo.

Al centro del testo ci sono le qualità morali e il concetto di Humanitas, importante in Terenzio.

HEAUTONTIMORUMENOS (Il punitore di se stesso) 163

Il vecchio Menedèmo lavora come un matto la propria terra per punirsi di aver costretto il figlio Clìnia a non sposare l’umile Antìfila e averlo costretto ad andare mercenario in Asia. Il vicino Cremète lo avverte che Clinia sta per tornare e che il suo patrimonio è in pericolo, ma Menedèmo è contento di ciò e pronto a tutto per espiare la sua colpa.

Siro, servo di Cremete, frega i soldi al suo padrone perché servono al figlio di questi, Clitifone, per saldare un debito con la cortigiana Bacchide, che il padre crede sia Antifila. Grazie ad un anello si scopre che Antifila è figlia di Cremete, abbandonata dalla madre alla nascita perché lui la voleva uccidere per non essere poi costretto a darle una dote. Clinia e Antifile si sposano e Clitifone promette al padre di lasciare Bacchide e sposare una ragazza onesta.

La commedia è ripresa dall’omonima di Menandro. Il tema è quello dell’educazione dei figli: il severo e tormentato Menedèmo e il comprensivo (diventatolo con gli anni) Cremete. Valori e disvalori sono equilibrati in tutti i personaggi, in amniera edificante ed educativa. Il messaggio terenziano è quello della tolleranza.i vecchi devono avere meno pregiudizi e i giovani devono essere meno esuberanti e non andare contro il mos maiorum. È in questa commedia che Terenzio afferma quello che attualmente viene considerato il suo motto e il punto più alto del suo messaggio umano, universale, valido per tutti i tempi. HOMO SUM: HUMANI NIHIL A ME ALIENUM PUTO. (sono un uomo; nulla di ciò che è umano ritengo a me estraneo). L’humanitas terenziana qui precorre ilenso cristiano della fratellanza universale.

EUNUCHUS (L’eunuco)

La crotigiana Taide ama Fedria, ma di lei è innamorato il ricco soldato Trasòne. Questi le dona la schiava Panfila a cui taide Taide vuole molto bene perché sono cresciute insieme, prima che Panfila fosse venduta come schiava ad un avido zio. Taide la vuole liberare, anche perché si copre che Panfila proviene da una buona famiglia. Chèrea, fratello di Fedria, ama Panfila. Fedria dona a Taide un eunuco e Cherea prende il posto dell’eunuco, fingendosi tale, violenta Panfila e scappa. Taide cerca il fratello di Panfila Cremete e lo avverte che in casa sua c’è sua sorella. Trasòne, trovando Cremete con la donna si ingelosisce e rivuole Panfila con la forza. Taide impone a Chèrea di riparare il torto fatto a Panfila sposandola. Fedria avrà Taide ma accettando che vada ogni tanto con Trasòne che in cambio li deve mantenere tutti e due.

Qui la contaminatio è tra l’omonima di Menandro e l’ Adulator. È una commedia brillante, quasi vicina allo stile plautino, in certi momenti. Ottiene infatti un grande successo al punto da essere replicata due volte, straordinariamente, in uno stesso giorno. Frutterà a Terenzio 8000 sesterzi, una soma per quel tempo notevole. Emerge l’umanità della cortigiana Taide, anche se una certa mescolanza tra stili diversi la rende meno lineare e precisa di altre prove terenziane.

PHORMIO (Formione)

Cremete e Demifòne sono fratelli e Fedria e Antifòne i rispettivi figli. I padri, in occasione di un viaggio, affidano i figli al servo Geta, che li vuole aiutare a sposare le donne che amano. Per questo chiede aiuto al parassita Formione.

Antifòne sposa Fanio, ragazza libera ma senza dote. Al ritorno di Demifòne questi vuole annullare il matrimonio. Cremete voleva che Antifone sposasse una sua figlia segreta avuta molti anni prima. Formione sposerebbe Fanio in cambio di 30 mine per l’annullamento del precedente matrimonio; le 30 mine sono le stesse che occorrono a Fedria per sposare una suonatrice di cetra di cui è innamorato. Ma Cremete scopre che Fanio è proprio sua figlia e non vuole più l’annullamento.

Formione, che vuole combinare anche il matrimonio di Fedria con la citarista e così non potrebbe, rivela alla moglie di Cremete (Nausistrata) l’infedeltà del marito che aveva avuto una figlia da un’altra donna, ma alla fine viene perdonato dietro pagamento della somma che serviva anche per l’altro matrimonio. Tutto finisce per il meglio.

I modelli sono l’ Epidikazòmunos (Il pretendente) di Apollodoro di Caristo (probabilmente ricavato però da Menandro) e Plauto per quanto riguarda l’intreccio. Apprezzata dal pubblico ma non (come sarebbe accaduto nel teatro di Plauto) per la forte caratterizzazione dell’astuto parassita Formione, bensì per il tenero e realistico ritratto della dolce Fanio, la ragazza povera e di buoni sentimenti.

ADELPHOE (I due fratelli)

Il vecchio Dèmea ha due figli: Ctèsifone (allevato dallo stesso Dèmea, uomo di campagna che incarna l’ideale rigore catoniano, secondo rigidi modelli di comportamento) ed Èschino(allevato dal fratello di Dèmea, cioè lo zio Micione, uomo più tollerante, indulgente e comprensivo).

Eschino rapisce ad un lenone la citarista Bacchide e sembra che abbia avuto ragione Dèmea a impartire una severa educazione a Ctesifone, mentre sembra che l’educazione permissiva di Micione abbia prodotto pessimi risultati. Ma Eschino, che in realtà ama Panfila, ha rapito la suonatrice perché di lei è innamorato suo fratello che però era incapace di commettere un gesto del genere perché troppo bloccato dall’educazione rigida ricevuta. Panfila, che ha un figlio da Eschino, è disperata per il gesto dell’amato e si ingelosisce.

Ctesifone si gode la sua suonatrice e Demea, quando copre come sono andate realmente le cose e perché, capisce di aver sbagliato e non solo dà ragione a Micione, ma convince il fratello (tollerante sì ma scapolo incallito) a prendere in moglie la vecchia madre di Panfila e liberare due dei suoi schiavi. Quindi diventa più comprensivo e tollerante dello stesso fratello.

Modelli sono la commedia omonima di Menandro e l’altra, Synapothneskontes (coloro che muoiono insieme). Il tema è quello dell’educaizone dei figli, con adeguata meditazione per scegliere tra modelli educativi rigidi, alla latina, e sistemi troppo permissivi, alla greca. Come al solito il messaggio di Terenzio è rivolto all’equilibrio e alla moderazione. Lo stile misurato e comico. Tipico di Terenzio,  si vede in questa commedia  molto bene.

 

Caratteristiche del teatro terenziano

Terenzio evita accuratamente gli eccessi verbali e fantasiosi dell’atellana e di Plauto. Il suo è un teatro misurato che mostra una classica compostezza. Punta sui significati e meno sul significante, sulla profondità e sull’intimità raffinata piuttosto che su un’esteriorità esuberante e accattivante. Tradizione ed innovazione convivono con equilibrio in un continuo rinnovamento dall’interno di idee e di forme.

Svetonio ci dice che Terenzio fu apprezzato da Cecilio Stazio, rappresentante della tradizione nel teatro. A Terenzio si deve un dibattito allargato sui grandi temi della convivenza umana, dibattito che deriva dalla sensibilità nuova dell’elite colta del “circolo” degli Scipioni.

Gli argomenti sono: l’educazione dei figli, il ruolo della donna, il matrimonio, il rapporto padroni-servi, il rapporto padri-figli e vecchi-giovani, i diritti e i doveri dell’individuo. Il tutto drammatizzato, presentato e discusso, in una contrapposizione di idee contrapposte agite con attenzione e intelligenza, in una continua problematizzazione dei temi che si arricchiscono nel confronto dialettico.

Altro concetto importante è quello dell’humanitas, l’attenzione per l’uomo, cioè la consapevolezza delle responsabilità e il trionfo della magnanimità e della tolleranza critica, ragionata, consapevole verso gli altri uomini.

Terensio esprime anche una coscienza stilistica nuova, sia per quanto riguarda la lingua che negli aspetti tecnici della fabula; emerge in lui la risposta ad una richiesta di teatro più intimo e più utile, rispetto alla grassa comicità plautina. I registri linguistici terenziani sono volutamente medi e pacati, quotidiani, privi di vezzi o di trovate bizzarre come quelle di Plauto, benché fossero altamente poetiche e coinvolgenti, affascinanti e fantastiche. Terenzio tende a dare effetti di verosimiglianza. La sua è una koiné linguistica (cioè lo stile del linguaggio inteso come ricerca di elementi lessicali e comunicativi) pura e garbata (come i messaggi che lancia), tipica di ceti evoluti e beneducati, tesi al miglioramento, al superamento di vecchi steccati ideali e comportamentali, troppo legati ad un conservatorismo anche ottuso (quello dei nemici del circolo degli Scipioni).

Terenzio non usa artifici linguistici perché non vuole inquinare i suoi messaggi, i suoi contenuti, con fuorvianti diversivi; non vuole distrarre da ciò che ama comunicare, ciò su cui vuole riflettere, perché si capisce che gli sta a cuore. Quindi niente neoogismi, niente arcaismi, niente giochi di parole. La sua metrica è volutamente monotonica; egli riduce i cantica e inserisce invece molti deverbia in più rispetto a Plauto. Naturalmente il teatro di terenzio è privo della ricchezza polimetrica, retorica ed espressiva che caratterizzava la composizione plautina. Talvolta inserisce qualcosa di simile ma più per compiacere il pubblico, forse, che per reale convinzione. Spesso i cantica sono poco utili allo sviluppo dell’intreccio e sembrano inseriti apposta per accontentare qualcuno, anche perché risultano ingiustificati dall’assenza di quella comicità assoluta che faceva la forza di Plauto.

Terenzio modifica le strutture tradizionali della palliata nel prologo, nell’intreccio, nelle parti recitate, nella caratterizzazione dei personaggi, nelle battute rivolte al pubblico (meno giocose e divertenti) e nelle parti cantate.

Il prologo stesso ha una funzione del tutto originale e nuova: nella Commedia Nuova e in Plauto serviva per informare il pubblico circa la trama ed era recitato da uno dei personaggi: in Terenzio invece costituisce lo spazio per chiarire la poetica e le tematiche che egli ha voluto considerare centrali, oltre che per rispondere alle critiche (come quelle del MALEVOLUS POETA LUSCIO LANUVINO) sull’uso della contaminatio come plagio (di questo fu accusato dai suoi detrattori Terenzio, benché della contaminatio si servissero anche Ennio, Nevio e lo stesso Plauto).

In Terenzio è assente il teatro nel teatro, in quanto l’effetto che il commediografo africano vuole dare è quello della REALTÀ. VERE VIVERE, cioè vivere con franchezza, è un’altra frase che racchiude bene lo spirito delle commedie terenziane.

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