L’AUTUNNO DEL MEDIOEVO

L’AUTUNNO DEL MEDIOEVO


INTRODUZIONE

La prima metà del Trecento è un’epoca di grandi cambiamenti, che preludono a quella vera e propria rivoluzione culturale che viene designata come civiltà umanistico-rinascimentale. Per definire questa fase di transizione si è soliti utilizzare l’espressione “Autunno del Medioevo”, coniata dallo storico olandese Johan Huizinga.

Proprio nel Trecento si assiste al declino progressivo dei poteri universali – Papato e Impero – intorno ai quali è cresciuta l’idea medioevale di civitas christiana, e all’affermarsi di nuovi centri di potere, rappresentati dalle monarchie nazionali, dalle Signorie italiane e dagli Stati regionali.

Un’altra importante trasformazione, sul piano economico e sociale, è provocata dalle carestie e dalle epidemie di peste nera, che comportano un significativo calo demografico e un malessere che sfocerà in rivolte e agitazioni, tanto nelle città quanto nelle campagne.

Sul piano culturale, gradualmente la visione teocentrica dell’universo lascia il posto ad una visione laica (spesso definita “antropocentrica”) che si può ricondurre all’affermazione della borghesia mercantile all’interno dei Comuni italiani. Il borghese nutre una rinnovata fiducia nell’uomo e nelle sue capacità, ne esalta l’intelligenza, l’intraprendenza, il successo e propone quindi una nuova visione della vita, non più concepita come momento di passaggio verso il mondo ultraterreno, ma come un’esperienza da valorizzare.

I piaceri della carne, da cui l’uomo medioevale rifuggiva, temendo che potessero ostacolare il suo cammino di fede, sono ora rivalutati e l’essere umano non è più visto come una creatura debole e incline al peccato, ma come l’artefice del proprio destino.

Ovviamente questa visione della realtà si affermerà pienamente solo nel successivo Umanesimo e Rinascimento, ma è già in atto nella prima metà del secolo.

Nella letteratura si affermano nuovi valori, di cui è portatrice la società borghese mercantile: all’ideale cortese si affiancano la masserizia, ovvero la capacità di amministrare oculatamente il proprio patrimonio, e l’industria, la capacità di affrontare e superare le difficoltà della vita. Il nuovo ideale non sostituisce del tutto il vecchio, anche se è apparentemente antitetico ad esso (si pensi al valore della liberalità, al disprezzo del denaro e del lavoro, che sono valori fondamentali della nobiltà feudale), ma convive con esso; nelle città, borghesi e aristocratici vivono gli uni a stretto contatto con gli altri e imparano ad apprezzare le abitudini e i valori che contraddistinguono ogni classe sociale: i borghesi imitano il lusso e l’eleganza dei nobili, i quali a loro volta apprendono l’importanza del denaro e del risparmio. Questa è la realtà descritta da Boccaccio nel Decameron.

La nuova visione laica si accompagna ad una riscoperta dei testi classici: gli intellettuali si rendono conto che gli autori della classicità avevano una concezione simile a quella che si viene affermando e rileggono i testi con uno spirito nuovo. Anche nei secoli precedenti gli studiosi avevano amato i classici. La loro lettura, tuttavia, era dominata da un intento utilitaristico ed edificante: si prendeva dagli antichi ciò che poteva confermare la fede e la morale cristiana, eliminando dai codici i passaggi imbarazzanti e non curandosi di ricostruire le vere intenzioni degli autori. Ora invece gli studiosi rileggono i testi con un maggiore rispetto del contenuto originario, cercando di inquadrarli in una prospettiva storica; essi studiano il latino classico e correggono gli errori compiuti dagli amanuensi nella copiatura dei manoscritti, recandosi nelle biblioteche dei monasteri alla ricerca di nuovi codici: nasce così la filologia (amore per la parola), una nuova scienza che vuole restituire la corretta interpretazione dei testi classici.

IL NUOVO PUBBLICO, I CENTRI CULTURALI E LE NUOVE FIGURE DI INTELLETTUALI

Nella società comunale il pubblico si amplia ulteriormente, arrivando ad includere la borghesia e le donne, come dimostra la dedica del Decameron, che identifica il pubblico ideale nelle donne che soffrono per amore.

La presenza di un pubblico laico, che non si limita ai professionisti della cultura, favorirà la diffusione della letteratura di intrattenimento, come la novellistica.

Accanto ai Comuni, come Firenze, che continua ad essere un centro culturale importantissimo, si affermano nuovi centri di produzione della cultura, come le corti signorili di Milano, Mantova, Ravenna, Ferrara. Un altro centro importante, presso il quale muoverà i primi passi Giovanni Boccaccio, è la corte di Roberto D’Angiò a Napoli, al quale si deve il primo tentativo di imporre i classici come modello di stile per i moderni.

Non vanno infine dimenticati la Curia papale ad Avignone, per il ruolo che avrà nella formazione di Francesco Petrarca, e il regno di Francia.

Continuano ad essere centri importanti le università, che tuttavia perdono quella autonomia di cui godevano prima della nascita delle Signorie. Spesso infatti i signori locali ne assumono il controllo, trasformandole in istituzioni destinate a formare i membri della burocrazia di Stato. Nascono nuove università, come quelle di Firenze, di Pavia e di Ferrara, mentre le università già esistenti si specializzano: Bologna diventa molto importante per gli studi di giurisprudenza, mentre Padova si specializza negli studi scientifici, medici e astronomici.

Le biblioteche, che fino ad allora erano state soprattutto centri di conservazione della cultura, si trasformano in luoghi di diffusione del sapere, diventando la meta dei filologi che viaggiano alla ricerca di antichi manoscritti. I signori italiani fondano inoltre biblioteche private, che si aprono al pubblico.

Un nuovo centro culturale è il cenacolo, un luogo, spesso una casa privata, in cui si incontrano i letterati e gli artisti. Uno dei primi cenacoli è la casa di Boccaccio che, a partire dagli anni Sessanta del Trecento, è il punto di incontro di intellettuali come Coluccio Salutati, umanista ed esponente del Comune di Firenze.

Con l’affermarsi delle Signorie, alla figura dell’intellettuale comunale si affianca quella dell’intellettuale cortigiano, ospite delle corti signorili, la cui sola presenza contribuisce a dare lustro alla corte.

Come si possono inquadrare nel nuovo panorama culturale due figure complesse come Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio, spesso accomunate a Dante sotto la definizione di “Tre corone fiorentine”?

Francesco Petrarca è stato definito un “protoumanista”, poiché anticipa alcuni aspetti del futuro Umanesimo: innanzitutto non è più un intellettuale comunale, legato storicamente e politicamente ad un Comune, ma è un cosmopolita, aperto all’ Europa e all’Italia, nelle quali ama viaggiare, spostandosi spesso; inoltre incarna la figura dell’intellettuale cortigiano, ma rivendica la sua autonomia di intellettuale, nella consapevolezza che l’attività letteraria è la più nobile delle professioni a cui l’uomo possa dedicarsi; infine considera il latino classico come la lingua letteraria per eccellenza e venera i classici, tanto da poter essere definito il primo filologo dell’Umanesimo; nei suoi viaggi, infatti, si ferma spesso nelle biblioteche dei monasteri, allo scopo di trovare nuovi manoscritti antichi.

Tuttavia Petrarca è ancora profondamente legato al Medioevo, per il dissidio interiore che caratterizza le sue opere, continuamente oscillanti tra l’aspirazione all’elevazione spirituale e l’attrazione per i piaceri della vita.

Giovanni Boccaccio svolge il ruolo di mediatore tra la generazione sua e di Petrarca e quella di Dante e dello Stilnovismo; nella sua opera sono presenti persistenze della cultura medioevale ed elementi di forte modernità. Il Decameron rispecchia una visione profondamente laica della realtà, che è assente in Petrarca, e che ha indotto i critici a definire la sua opera come la “Commedia umana”, per contrapporla a quella di  Dante, la “Divina Commedia”.

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