L’antico sistema stradale Tarquiniense centrato su Corneto

L’antico sistema stradale Tarquiniense centrato su Corneto

L’antico sistema stradale Tarquiniense centrato su Corneto


Dionigi di Alicarnasso raccontava che quando Lucumone, figlio di Demarato Corinto, si recò da Tarquinia a Roma, dove fu fatto re, passò attraverso il Gianicolo che è quell’altura <<da dove Roma comincia ad offrirsi alla vista di chi proviene dall’Etruria>>. Si diceva che il colle avesse acquisito quel nome (Ianiculum) perché era la porta (ianua) di transito fra l’Etruria e Roma. Sul luogo, secondo una tradizione, Romo, figlio di Enea, avrebbe fondato una città di nome Eneia. Un’altra città di tal nome sarebbe esistita in Etruria, ed un’altra in Tracia, fondata da Enea. Il Gianicolo si trova oltre la sponda destra del Tevere, ed era attraversato da un’antica strada che conduceva da Tarquinia al Ponte Sublicio dinanzi al colle Palatino. Si tratta della cosiddetta Via Tarquiniese, quella stessa che, nell’immaginario poetico di Virgilio, percorse inversamente Enea quando dal Palatino di Roma si recò a Corythus (oggi Tarquinia), per chiedere aiuto a Tarconte contro i Latini. Vediamo.

Gli antichi itinerari stradali di Antonino, dell’Anonimo Ravennate e di Guido descrivono un percorso che da Tarquinia passava per Acquae Apollinaris (oggi Bagni di Stigliano) e Careias (quest’ultima sulla Via Clodia), e da qui andava a Roma. Arturo Solari l’ha chiamata <<Via Tarquiniese>>; e anche noi useremo questo nome. Anche nella Tabula Peutingeriana, si vede una strada che da Tarquinia conduce ad Aquae Apollinaris; ma, diversamente dagli itinerari sopra citati, essa raggiunge Roma attraverso Bebiana (quest’ultima sulla Via Aurelia). Alcuni ritengono, forse a ragione, che si tratti dell’Aurelia vetus, altri dell’Aurelia nova. C’è pure chi ritiene si tratti della Via Cornelia. Il Solari l’ha chiamata <<Via Tarquiniese>>, come la precedente. Noi la chiameremo Via Tarquiniese bis.

Il tratto unico che da Tarquinia conduceva a Bagni di Stigliano è ancora rintracciabile e, in parte, percorribile. Qua e là ne esistono pure i resti archeologici. Sul colle di Corneto (Tarquinia) è ancora ricostruibile il percorso di una vecchia strada che dalla Porta Maddalena delle mura medioevali della città saliva verso la zona della necropoli (vedi fig. 1). Si caratterizza come etrusco almeno nel lungo tratto in cui le tombe continuamente lo costeggiano; ma già in epoca villanoviana, una strada doveva collegare l’insediamento del Castello di Corneto con quello del Calvario e con la necropli delle Arcatelle. Dai Secondi Archi la via scende e sorpassa il fosso Ranchese, oltre il quale il Pasqui vide <<dei tratti selciati e limitati da crepidini di tufo>>; risale poi l’altipiano di Monte Riccio, e ridiscende fino al fiume Mignone costeggiandolo lungo il Piano dei Marsi dove il Pasqui rinvenne avanzi di basolato. Qui, i contadini riferiscono di doverne ancora rimuovere, durante le arature. La strada superava il fiume all’altezza del ponte di Bernascone. Accanto a questo, il Pasqui riconobbe gli avanzi di tre arcate di epoca romana. Da qualche anno essi non sono più visibili perché inglobati nei lavori di deviazione del corso del fiume.

Da qui partivano tre strade che salivano i Monti di Tolfa.

a) La Via Tarquiniese (n.1). La prima, identificabile con la Via Tarquiniese, si dirigeva dapprima verso l’odierna cittadina di Tolfa. Se ne trovano tratti basolati presso il fosso Melletra, e sotto Monte S. Angelo. In località Calepine e Le Mattonelle, si vedono ancora circa 250 metri di una conservatissima selciata romana in pietra calcare locale. La strada ridiscendeva poi, forse lungo il percorso ricalcato da una strada medioevale, fino a Stigliano (Aquae Apollinaris), dove pure rimangono avanzi romani in selce basaltica. Qui la strada si biforcava. Un braccio raggiungeva Careias sulla Via Clodia, e un altro Bebiana sulla Via Aurelia. Ma i Romani iniziarono la costruzione della Clodia e soprattutto dell’Aurelia in epoca posteriore a quella in cui ricostruirono in senso inverso le antiche vie etrusche che da Tarquinia raggiungevano la valle del Tevere. Così in origine non dovettero essere le due vie provenienti da Tarquinia ad entrare rispettivamente nei tratti iniziali della Clodia e dell’Aurelia, ma piuttosto i tratti iniziali di quest’ultime a ripercorrere i segmenti finali delle precedenti. Queste dovettero essere, fin dall’inizio, le vie terrestri di penetrazione dei Tarquinienses che si recavano a Roma e nel Lazio; e da qui nelle regioni meridionali della penisola. Potrebbe non essere occasionale che a Roma, ancora nel 1366, un luogo fuori Porta Turrionis (oggi Porta Cavalleggeri) donde usciva la Via Aurelia, era chiamato Terquinio che è la forma medioevale del nome di Tarquinia.

b) La Tarquinia- Rio Fiume (n. 2). La seconda, ancora in parte percorribile, aveva forse il tratto iniziale (dal ponte di Bernascone al fosso Melletra) in comune con la via precedente. Sale sino ad Allumiere, attraversa la zona mineraria della Tolfaccia e ridiscende in più rami, a pioggia, sulla via Aurelia fino al Km. 57,3, presso la foce di Rio Fiume, ai limiti del territorio. Il Pasqui vide <<numerosi avanzi di selciato lungo il fosso della Melletra fin sopra alle Allumiere>>.

Dalla Tolfaccia scendeva, a sua volta, un’altra strada che conduceva alla Castellina del Marangone.

c) La Tarquinia – Aquae Tauri – Castrum Novum (n. 3). La terza, riportata dalla Tabula Peutingeriana, aggirava a mezza costa i versante sud-occidentale dei Monti di Tolfa. Appartengono a questa via la tagliata del Poggio dell’Aretta, e alcuni basoli che il Pasqui, alla fine dell’800, vide inseriti nelle mura di Cencelle e in quelle dell’omino casale, nonché lungo il sentiero che traversava il Piano dell’Asco. Nella stessa località Aretta, il Bastianelli trovò alcuni blocchi di crepidine di una strada romana.

Dopo dodici miglia, la strada giungeva ad Aquae Tauri (presso l’odierna Civitavecchia), e dopo altre e sette, raggiungeva la Castellina del Marangone e Castrum Novum (vedi fig. 2). Aquae Tauri era poi collegata anche col mare dell’odierno borgo Odescalchi di Civitavecchia.

Una strada che dal Ponte di Bernascone conduceva sotto Aquae Tauri e a Civitavecchia è ancora visibile nelle mappe secentesche, settecentesche e ottocentesche. Durante il Medio Evo, e fors’anche in epoca etrusco romana, un diveriticolo (oggi ripercorso dalla provinciale Civitavecchia-Tolfa), dovette collegare Corneto con Castrum Ferrariae per lo sfruttamento delle vene di ferro esistenti sui monti di Tolfa. Il minerale grezzo veniva poi esportato dai Cornetani, come si evince dal trattato commerciale stipulato da questi con Pisa nel 1173. Lo sfruttamento del ferro tolfetano era forse la naturale continuazione di quello già operato da Tarquinii in epoca etrusca.

Il tratto da Aquae Tauri alla Castellina del Marangone è tuttora percorribile. Passa per Colline dell’Argento e Monte Paradiso per discendere poi lungo la sponda destra del torrente Marangone fino all’omonima torre.

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Un’altra via conduceva al Ponte di Bernascone partendo dal nodo stradale di villa Falgari ai piedi del versante marino del colle di Corneto (km. 91 della vecchia Aurelia). Si tratta della attuale Via dell’Acquetta (n. 4). Il suo tratto iniziale risale all’età del ferro perché costeggia due necropoli protoetrusche. Nel suo nascere, incrocia la strada romana che veniva dal porto di Gravisca, poi sorpassa il fosso Ranchese, e raggiunge il Mignone nei pressi di Casale Rina. Secondo Stefano del Lungo, quest’ultimo tratto corrisponde alla <<via pubblica quae pergit ad vadum Ripae Albae>>, menzionata in un documento farfense dell’anno 939. Dai pressi di Casale Rina, la via si dirama in due direzioni. Una raggiunge il Ponte di Bernascone. Un’altra sorpassava qui il Mignone, sul luogo dell’antico <<vadum Ripae Albae>>, per biforcarsi ancora in altre due rami. Uno va a collegarsi alla strada che va sui Monti. L’altro va a congiungersi con la vecchia Tarquinia-Aquae Tauri. In antico, la Via dell’Acquetta era parte del percorso che univa il porto di Gravisca alla zona mineraria dei vicini Monti di Tolfa.

La Via Tarquinia-Rapino (n. 5). Dai piedi del colle di Corneto partivano altre e due strade che s’immettevano sulla Via Aurelia Romana: quella per il porto di Rapino, e la “Consolare” per Alga. La prima, ancora lungamente percorribile, partiva dal km. 90 della vecchia Aurelia, e raggiungeva l’Aurelia Romana in località Carcarello. Da qui proseguiva verosimilmente per la foce del Mignone dov’era il porto di Rapino (etr. *Rasino?). Fino a qualche anno fa erano visibili avanzi di basolato presso il casale posto a Km. 3,8 dal bivio della Strada del Lupo.

La <<Consolare>> Tarquinia-Algae (n. 6) partiva dalle mura medioevali di Corneto e ripeteva grossomodo il percorso dell’attuale Via Aurelia fino alla Mattonara (l’antica Algae) di Civitavecchia (Centumcellae). In un documento dell’807 d.C., un tratto molto vicino a Corneto (dal km. 85 al km. 87) è nominato come via publica, termine spesso tipico delle strade consolari romane rimaste in uso nel Medioevo. Un altro tratto, passante ai piedi del colle di Corneto, sotto la città , è menzionato con il nome di Silicata in un documento dell’XI sec.. Silicata, ovvero Selciata, era la denominazione spesso data, nel Medioevo, alle antiche strade selciate di epoca romana. Stefano Del Lungo ritiene che si tratti della Aurelia Vetus. Ancora agli inizi del XVIII sec., la strada conservava il nome di Selciata fino al ponte sul Marta forse perché se ne vedevano ancora gli antichi basolati.

Nella carta di Filippo Ameti del 1696, la strada partiva da Corneto, attraversava la parte inferiore degli Uliveti, sorpassava a destra il Taccone di Sacchetti, superava il fosso Ranchese, il fiume Mignone e il fosso Meletta, attraversava il Sugareto, passava in mezzo tra la Fornace di mattoni e la Torre di Orlando, e confluiva sulla via Aurelia Antica al vecchio Ponte del Diavolo sul fosso Fiumaretta vicino Civitavecchia. Nei carteggi riguardanti una sua restaurazione avvenuta, senza variazioni di percorso, nel 1752, è chiamata <<Consolare>>, nome che era dato alle antiche strade nazionali romane. Erroneamente il Dasti, e dietro a lui acriticamente F. Melis, F. R. Serra e, da ultimo, M. Harari anno creduto che la strada fosse stata costruita di bel nuovo nel 1752 con un percorso diverso dalla precedente. Divenuta inagibile per cattivo stato di manutenzione nei primi decenni del XIX sec., fu restaurata una seconda volta, senza sostanziali variazioni, fra il 1837 e il 1853, e denominata Aurelia. P. Manzi e V. Annovazzi spacciarono la via come nuova, sicché ancora acriticamente F. Melis e F. R. Serra, e da ultimo M. Harari, hanno creduto che si trattasse di una nuova strada e che avesse un percorso diverso dalle precedenti. Harari è arrivato addirittura a confondere la <<Consolare>> del 1752 con la Via dell’Acquetta. Viceversa, il Kiepert ritenne che si trattasse della antica via Aurelia romana; e ci fu pure chi la denominò Aurelia Etrusca. Recentemente, Stefano del Lungo l’ha identificata con la romana Aurelia Vetus o comunque con un precedente percorso romano.

Oggi si trova compresa nella moderna Via Aurelia nazionale. La romana Aurelia Nova passava, invece, più vicina al mare, grossomodo dove oggi corre la Strada Litoranea di Bonifica; ma già in epoca imperiale dovette venir lastricato il doppione che da Algae si dirigeva al colle di Corneto per poi ridiscendere sull’Aurelia Nova all’altezza di Forum Aurelii (oggi Montalto di Castro). E’ in sostanza il percorso della moderna Via Aurelia. Se si guarda la Tabula Peutingeriana, ci si accorge, infatti, che, già in epoca imperiale, colui che, venendo da Roma lungo la marina, avesse voluto recarsi a Tarquinia, avrebbe trovato che, a Centumcellae, la romana Aurelia Nova s’interrompeva, evidentemente per le paludi e la malaria che appestavano la costa.

Il disfacimento del paesaggio romano, iniziato già nel basso impero, e la conseguente impraticabilità delle strade sulla fascia costiera tarquiniese, dovette naturalmente riattivare nel Medio Evo il sistema viario interno di probabile origine etrusca, e porre le premesse della sua continuità di utilizzo fino ai nostri giorni. E’ questo il motivo dell’enorme interesse dei documenti cartografici secenteschi, settecenteschi ed anche ottocenteschi. Essi, fissando le strutture viarie ricalcate sul paesaggio medioevale prima dello sconvolgimento operato dalle ruspe del nostro tempo, permettono di enucleare percorsi all’apparenza estranei alla viabilità romana, ma talvolta di origine etrusca.

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Ad ovest di Corneto, sul proseguimento ideale dell’antica strada che percorreva il colle omonimo nella sua lunghezza, troviamo il ponte romano sul fiume Marta. Da qui, in epoca medievale partivano varie strade che ripetevano verosimilmente antichi percorsi etrusco-romani.

La Via di Montalto (n. 7). E’ l’attuale Via Aurelia, e corrisponde all’antica <<Consolare>> che da Algae, presso Centumcellae (Civitavecchia) conduceva dapprima fin sotto il colle di Corneto, poi si dirigeva ad ovest, fino al Km. … della attuale via Aurelia. Da qui un ramo piegava a sinistra verso Regisvilla, sul mare, e un altro proseguiva diritto per Forum Aurelii (Montalto).

La Via delle Grottelle (n. 8). Conduce ancora al pagus etrusco delle Grottellle, lungo il fiume Marta, e all’antico porto di Maltano sul mare.

La Via di Quintiano (n. 9). In un documento farfense del XII sec. si parla di una <<Via de Quintiniano>> che partiva dalla ripa delle mura medioevali di Corneto. Probabilmente il redattore del documento scrisse Quintiniano invece di Quintiano. Quest’ultimo era il nome di una località marina etrusco-romana che l’antico Itinerarium Maritimum poneva sulla Via Aurelia Nova a nord di Gravisca; la località prese poi il nome di Cazzanello. Potremmo trovarci davanti alla sopravvivenza del nome di un’antica strada romana che, partendo dai dirupi nordoccidentali del colle di Corneto, conduceva a Quintiano attraverso il ponte romano sul Marta. Si tratta della strada vicinale oggi denominata <<del Pidocchio-Castellaccia>>.

La Via della Castellaccia e Regisvilla (n. 10). E’ la stessa della precedente, ma proseguiva fino al Castellaccio oltre il torrente Arrone.

La Via di Vulci (n. 11). Nella carta di Filippo Ameti (del 1696), essa partiva dal ponte romano presso Corneto e arrivava al ponte sul Fiora presso il Castello dell’Abbadia (Vulci). La strada è ancora parzialmente in uso. Il suo tratto iniziale corrisponde all’attuale Via della Roccaccia.

La Via Tuscanese (n. 12). Costeggia il fiume Marta, e conduce tuttora a Tuscania e all’antico Lacus Tarquiniensis (oggi Lago di Bolsena).

La Via della Portaccia (Via per il porto di Gravisca) (n. 13). In una vecchia carta di fine ’700 si vede una strada che da Corneto, dopo aver attraversato in tutta la sua lunghezza la zona Portaccia, giungeva al Casalino delle Lancie in corrispondenza dell’antica Gravisca (il porto di Tarquinia). Nel 1885, quando il Pasqui la descrisse, partiva dalla cosiddetta <<Porta Murata>> delle mura di Corneto, e giungeva al Casalino delle Lancie. Oggi non è più percorribile, ma è riconoscibile nelle foto aeree. Vi si vede la traccia di una strada che, partendo dal porto, giunge a Vigna Grazia dove si divide in due rami. Uno piega verso le mura di Corneto secondo il percorso, ancora in parte esistente, indicato dal Pasqui; un altro, rilevato solo dalle foto aeree, prosegue diritto fino al Km. 90,6 della attuale Aurelia. Da qui, sulla destra, partiva la via dell’Acquetta che collegava Gravisca al bacino minerario dei vicini Monti di Tolfa. Sulla sinistra, un percorso rilevato dalle ricognizioni aeree dell’Adamesteanu, girava attorno al colle di Corneto, e raggiungeva Tarquinii da nord. E’ stato ipotizato anche un percorso più breve, ma molto più disagevole e non documentato né residui tratturi né da foto aeree. Esso poteva salire verso i Primi Archi per congiungersi alla grande via (larga più di 11 metri) che collegava il colle di Corneto a Tarquinii.

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Non dovrebbe esser privo d’importanza il fatto che tutte le strade esaminate non erano collegate direttamente alla città di Tarquinii, ma al colle di Corneto. Questo era a sua volta collegato con Tarquinii da più strade.

La Via delle Cave (n. 14). Essa parte dalle cave di macco etrusche che sono nei dirupi di Corneto vicino Porta Nuova, passa accanto al tempietto etrusco dell’Ortaccio, e si dirige verso Tarquinii.

(?) La Via dei Secondi Archi (n. 15). Partiva da Tarquinii e si collegava con la Necropoli del colle di Corneto ai Secondi Archi.

La via dei Primi Archi (n. 16). E’ la più larga strada etrusca che si conosca. Era a due carreggiate spartite da un cordolo centrale, per una larghezza di m. 11, 6. Usciva da Tarquinii attraverso una porta situata a SO dell’Ara della Regina, scendeva nella valle del S. Savino, e risaliva il colle di Corneto fin sotto l’acquedotto medioevale dei Primi Archi. La Melis e la Serra ipotizzano, come abbiamo visto, che questa strada avesse scollinato fino a congiungersi con la via per Gravisca. E’ anche probabile ch’essa avesse ridisceso il colle di Corneto fino all’attuale Aurelia (la cosiddetta Consolare) e avesse proseguito, come dimostrano le foto aeree, fino a congiungersi con la Via di Rapinio nel punto in cui questa attraversa la ferrovia.

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La via Latina (n. 17). la cosiddetta Via Latina, riportata dalla Tabula Peutingeriana e descritta dal Pasqui, partiva direttamente dalla città di Tarquinii, e conduceva a Blera e Tuscanica collegandosi con la Clodia.

Corneto Etrusca? Non dovrebbe essere privo di importanza il fatto che il Ponte di Bernascone, dal quale partivano tutte le sopra menzionate strade per il sud, non era direttamente collegato al colle di Tarquinii, ma a quello attiguo che noi chiameremo Cornetum. Proprio sotto Cornetum, sulla attuale Via Aurelia, c’era poi l’altro ponte romano che garantiva i collegamenti sia con le strade che andavano al ovest lungo la costa, sia con quelle che, attraverso la valle della Marta, conducevano nell’Etruria interna e settentrionale.

Già Hugh Hencken, esaminando l’insieme delle strade tarquiniesi, notava che mentre la via Latina <<andava direttamente verso l’interno partendo dall’antica città, (Tarqunii) la comunicazione con la costa passava sopra i Monterozzi (Cornetum) e attraverso la odierna Tarquinia (Corneto) che è come una via di congiunzione e un punto strategico costruito sulla sommità dalla quale si poteva dominare il mare dall’alto>>. Lo studioso americano, inoltre, dopo aver rilevato l’esistenza di documenti archeologi risalenti sia all’età del ferro che a quella etrusca e romana, ha ipotizzato che <<la moderna città potrebbe essere stata un luogo antichissimo>>. Ha poi aggiunto che, a preferenza del più grande, ma meno accessibile vicino colle di Tarquinii, <<il sito della presente Tarquinia, posto sullo sperone di Monterozzi, potrebbe essere stato un luogo importante che divenne l’anello di congiunzione delle strade che conducevano sull’Aurelia ed altrove>>.

Tutta la collina è cosparsa di villaggi e necropoli dell’età del Ferro. Alcuni resti di mura, l’esistenza di un tempietto extraurbano e di un acquedotto di tipo etrusco nel sottosuolo della città, nonché il fatto che l’antica viabilità era centrata sul colle di Cornetum, portarono il Pasqui ed altri studiosi a ritenere che questa fosse la sede più antica di Tarquinii. Questa tesi è stata demolita da Pallottino che ha contrapposto al Pasqui l’ipotesi di un centro premedioevale diverso da Tarquinii.

A nostro avviso, il fatto che le antiche strade confluissero primariamente sul colle di Cornetum, piuttosto che su quello della vicina Tarquinii, richiama alla mente, la funzione di centro di riunioni federali che i colli e la città di Corythus o Corinthus(Cornetum?) assumono nella tradizione virgiliana (vedi ultra).

Corito, Virgilio e i Micenei. Il nome <<Co-ri-(n)to>> è presente nelle Tavolette micenee, e pare che non sia riferibile alla città greca di Corinto, ma a un luogo non ancora identificato.

Esistono documenti archeologici che testimoniano come, a partire dal XIV sec. a.C., i mercanti micenei dalla Grecia siano venuti a sbarcare sulla spiaggia della futura lucumonia tarquiniese, ed abbiano risalito la valle del fiume Mignone almeno fino a Monte Rovello (Allumiere), a Luni (Monte Romano) e a S. Giovenale (Blera). Nella stessa Tarquinia è stato rinvenuto uno specchio miceneo del XIII-XI sec. a.C.. Dal suo canto, Micene presenta reperti archeologici che testimoniano la presenza di maestranze venute dall’occidente. Le leggendarie scambievoli migrazioni di popolazioni tirreno-pelasgiche fra Corinto d’Etruria e il bacino orientale del Mediterraneo, cantate da Virgilio, potrebbero dunque essere il riflesso di antichissimi contatti. Pare, del resto, che anche un’altra iscrizione micenea, ataro (Aitalia? = Elba) turupteija ono, possa essere riferita a contatti fra il mondo miceneo e l’Etruria.

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Il sistema stradale tarquiniese di età etrusco-romana era centrato, come abbiamo visto, su Corneto. Ciò è importante perché Virgilio, nell’Eneide, presenta la città di Corinto proprio come centro federale della Lega Etrusca in epoca arcaica. E’ qui, infatti, che Tarconte, secondo il poeta, riunì i capi della federazione etrusca con i rispettivi eserciti (En. VIII, 597-604); da qui, poi, inviò sul Palatino di Roma le proprie insegne del potere centrale (En. VIII, …); qui, infine, cedette al troiano Enea la propria carica (En. X. …). Il luogo aveva forse qualche cosa a che vedere con quello in cui, secondo il mito, le grida di stupore, emesse dallo stesso Tarconte dinanzi al prodigio della nascita del divino Tagete, convocarono sul posto tutti i prìncipi etruschi (Cicerone, De repubblica, …).

Corneto (Corinto/Corito), o comunque il suo colle, fu probabilmente il luogo dove si stanziò, nel VII sec. a.C. , Demarato Corinthius con la sua gente, quando dalla città greca di Corinto (detta anche Corito) emigrò in Etruria, e <<divenne re della città che lo ospistò>>.

Secondo Marta Sordi, l’altura di Corneto, in territorio tarquiniese, sarebbe il luogo dove, tra il 133 e il 121 a.C. , i Romani dedussero la colonia che Frontino (I sec. d. C.) diceva occupare la zona che andava dal colle al mare.

Abbiamo pochi dati archeologici del formarsi di questa ipotetica città attorno alla metà dell’VIII sec.a C.; ma esse potrebbero giacere sotto le fondamenta della mediovale Corneto (la odierna Tarquinia). Nella zona del Castello, sono stati travati avanzi dell’età della pietra e di quella del bronzo, alcuni che potrebbero scendere all’età del Ferro, ed altri che appartengo al periodo orientalizzante. Gli scavi effettuati sul luogo sono stati purtroppo molto brevi, limitati e certamente inadeguati rispetto alle potenziali implicazioni storiche offerte dal luogo. L’attribuzione di materiali all’età del Ferro rimane, pertanto, dubbia; ma la mancanza di elementi certi per un’età intermedia tra Bronzo ed orientalizzante, può dipendere da circostanze fortuite, tanto più comprensibili nel caso di una zona sottoposta, nelle varie epoche storiche, a tante profonde alterazioni strutturali. L’insediamento potrebbe essere stato comunque rioccupato durante la fase recente del primo ferro secondo un modello noto di ripopolamento in Etruria meridionale in questo periodo.

Per il periodo orientalizzante (VII sec. a.C.) abbiamo varie tombe disseminate attorno a Corneto (soprattutto alla Cartiera? e a villa Falgari). Queste sepolture sono indicative dell’esistenza, in zona, di abitazioni. Né il loro uso contrasta con quello del cimitero unico dei Monterozzi (nato dagli sviluppi di quello delle Arcatelle), in quanto, al cimitero unico di ogni città etrusca, si affiancavano sempre piccoli nuclei sepolcrali sparsi qua e là introno alla città.

Tutta la città medioevale è attraversata da un cunicolo con pozzi, la cui tipologia etrusca è identica ad altri trovati a Tarquinii.

Avanzi di mura di tipologia etrusco-romana si trovano in vari punti delle mura medioevali, soprattutto alla Barriera San Giusto e sotto il piano dei locali delle caldaie per il riscaldamento di Palazzo Vitelleschi.

Sotto le mura di Porta Nuova, in località Ortaccio, sono stati trovati gli avanzi di un tempietto extraurbano del III sec. a.C.. Nella medesima zona sono state scavate tombe etrusche di epoca tarda (?).

20. Corneto Etrusca? Non dovrebbe essere privo di importanza il fatto che il Ponte di Bernascone, dal quale partivano tutte le sopramenzionate strade per il sud, non era direttamente collegato al colle della Civita (Tarquinii), ma a quello di Corneto (oggi Tarquinia). In un prossimo articolo vedremo come la quasi totalità delle altre antiche vie che andavano oltre il territorio strettamente tarquiniese gravitasse attorno al colle di Corneto.

Tutta la collina è cosparsa di villaggi e necropoli villanoviani . Alcuni resti di mura, l’esistenza un acquedotto di tipo etrusco nel sottosuolo della città, nonché il fatto che la viabilità medioevale conducente a Corneto ripeteva il tracciato di più antiche strade etrusco-romane, potrebbero avvalorare l’ipotesi, già sostenuta da vari autori, dell’esistenza di un centro etusco-romano. Espressioni medioevali giuridiche, poi, come <<in castellu turre de Corgnitus qui Civita vocatur>> frequente nei Documenti Amiatini , oppure <<in castello et civitate Corgnito>> dei Documenti Farfensi, potrebbero suffragare l’ esistenza di una precedente Civitas etrusco-romana accanto al luogo della Torre e del Castello medioevali.

In particolare, Hugh Hencken, dopo aver rilevato l’esistenza di documenti archeologi risalenti sia all’età del ferro che a quella etrusca e romana, ha ipotizzato che <<la moderna città potrebbe essere stata un luogo antichissimo>>. Ha poi aggiunto che, a preferenza del più grande, ma meno accessibile vicino colle di Tarquinii, <<il sito della presente Tarquinia, posto sullo sperone di Monterozzi, potrebbe essere stato un luogo importante che divenne l’anello di congiunzione delle strade che conducevano sull’Aurelia ed altrove>>.

Ma il fatto che le antiche strade confluissero primariamente sul colle di Corneto, piuttosto che su quello della vicina Tarquinii, richiama pure alla mente, la funzione di centro di riunioni federali che il colle e la città di Corito (Corneto?) assumono nell’Eneide di Virgilio(vedi par. 8).

21. Corito, Virgilio e i Micenei. Il nome <<Corinto>> è presente nelle Tavolette micenee, e pare che non sia riferibile alla città greca di Corinto, ma a un luogo non ancora identificato.

Esistono documenti archeologici che testimoniano come, a partire dal XIV sec. a.C., i mercanti micenei dalla Grecia siano venuti a sbarcare nel mare della futura Tarquinia, ed abbiano risalito la valle del fiume Mignone almeno fino a Monte Rovello (Allumiere), a Luni (Monte Romano) e a S. Giovenale (Blera). Dal suo canto, Micene presenta reperti archeologici che testimoniano la presenza di maestranze venute dall’occidente. Le leggendarie scambievoli migrazioni di popolazioni tirreno-pelasgiche fra Corinto d’Etruria e il bacino orientale del Mediterraneo, cantate da Virgilio, potrebbero dunque essere il riflesso di antichissimi contatti. Pare, del resto, che anche un’altra iscrizione micenea <<ataro (Aitalia? = Elba) turupteija ono>> possa essere riferita a contatti fra il mondo miceneo e l’Etruria.

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